Nel discorso di Draghi manca l'orizzonte

E' assente il concetto che la politica economica non deve solo reagire alla situazione esistente, ma anche progettare il futuro, che non basta denunciare la disuguaglianza ma bisogna anche dire come si vuole combatterla, che i fenomeni economici si possono governare in relazione agli obiettivi che ci si propongono

Di norma, in una giornata uggiosa i colori si appiattiscono e fanno perdere la prospettiva del paesaggio. È un modo per ricordare che le idee e le ambizioni sono condizionate dall’ambiente, mentre la grigia scienza si trova a proprio agio nell’asettico paesaggio. Paradossalmente dobbiamo trovare un luogo geograficamente non rappresentabile, cioè uno spazio di ricerca inedito che fuoriesce dalla così detta scienza normale che, come in tutte le grandi crisi, potrebbe condizionare i grandi cambiamenti che interessano l’analisi economica e sociale.

Il governo del cambiamento richiede una riflessione sul ruolo delle istituzioni nel capitalismo contemporaneo. Sebbene controverso, il discorso del primo ministro poteva almeno immaginare un orizzonte di società (l’Europa è una geografia economica che appoggio, ma deve pur cambiare assieme alla società). In fondo, il cambiamento è una legge della vita e coloro che si ostinano a guardare sempre solo al passato o si concentrano unicamente sul presente, possono essere sicuri di perdersi il futuro. Non può esserci progresso se le persone non hanno fiducia nel domani.

Osservare che la distribuzione del reddito è sbagliata, concentrata e financo ingiusta è una ovvietà. Il primo ministro doveva consegnare al Parlamento una scelta e una opzione, magari rifacendosi a qualche grande figura del nostro tempo, intendo come intellettuali che abbiamo studiato. Quando si discute di reddito, indaghiamo il reddito nel mercato primario o post tassazione? Siamo poi sicuri che riarticolando il sistema fiscale si rimuovano le differenze sociali? Presidente Draghi, ricordo che un grande del Novecento come Anthony B. Atkinson sosteneva che “l’elevato livello di disuguaglianza di oggi può essere ridotto efficacemente solo affrontando la disuguaglianza nel mercato”. Dobbiamo pur scegliere quale è il terreno privilegiato del governo, perché al Governo si “governano le grandi questioni sociali”. Perché piegarsi al diritto naturale nell’elencazione delle criticità? Perché non aggrapparsi al diritto positivo nella soluzione delle grandi questioni del Paese? Abbracciare il diritto positivo avrebbe reso manifesto che il benessere è direttamente proporzionale alla sua reale disponibilità, cioè che occorrono le risorse finanziare adeguate a rendere effettivo questo diritto. Ricordare che nelle società moderne i diritti di seconda generazione, cioè i diritti sociali, necessitano di un sistema di tassazione abbastanza elevato era così forte? Perché non raccogliere Luigi Einaudi quando nelle lezioni del ’44 parlava dei diritti presi sul serio, o che il mercato senza altre istituzioni non può esistere?

La scelta di avere più o meno investimenti, più reddito da lavoro o da profitti, di privilegiare le esportazioni rispetto alla domanda interna, di coordinare e indirizzare il mercato creditizio e finanziario rispetto all’arbitro (arbitrio?) del mercato, sono politiche che non solo appartengono a diverse interpretazioni dei fenomeni economici, ma rispondono a valori e consapevolezze diverse circa la società, agariolo sviluppo e il benessere. Il compianto Paolo Leon mi ha insegnato che la pura elencazione delle coppie del capitale, che possiamo riassumere in più-meno salari/profitti, più-meno investimenti privati/pubblici e più-meno credito/finanza, semplificano la scelta politica e di campo, ma la semplificazione non può raccontare cosa si cela dietro la dinamica dei redditi, degli investimenti e della finanza.
Quello che emerge, in realtà, è la necessità di governare i fenomeni economici legati alle variabili considerate, le quali impattano sulla società in misura differente per i diversi soggetti analizzati:
1) abbiamo la necessità di sostenere i redditi da lavoro non tanto e non solo per ragioni di giustizia, ma anche per guidare-governare il mutamento quali-quantitativo della domanda, la quale condiziona e indirizza la produzione di beni e servizi verso i settori emergenti;
2) abbiamo sicuramente la necessità di sostenere gli investimenti, ma la dinamica degli investimenti e del profitto atteso sono condizionati dal contenuto tecnico della domanda sottesa all’incremento del reddito;
3) abbiamo la necessità di una adeguata remunerazione del profitto legato ai settori emergenti a discapito del profitto ricavato dai settori tradizionali;
4) abbiamo la necessità di selezionare e qualificare il credito alle imprese dove il soggetto pubblico possa farsi carico dei rischi relativi ai settori emergenti (governo della domanda potenziale) e garantire il flusso di liquidità per le imprese che operano nei settori tradizionali;
5) abbiamo bisogno di qualificare la spesa pubblica e/o bilanciarla tra spesa in conto capitale e corrente, lasciando che quest’ultima sia strettamente legata e coerente con la pressione fiscale.

Paolo Sylos Labini ha segnato la ricchezza delle idee. La lascio con un suo richiamo: “In una analisi dinamica lo sviluppo economico è da riguardare, non semplicemente come un aumento sistematico del prodotto nazionale concepito come aggregato a composizione data ma, necessariamente, come un processo di mutamento strutturale, che influisce sulla composizione della produzione e dell’occupazione e che determina cambiamenti nelle forme di mercato, nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi”.

Lunedì, 22. Febbraio 2021
 

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