Nebbie e bugie sulle pensioni

***

E’ difficile trovare un tema altrettanto tecnicamente complesso e politicamente sensibile come quello delle pensioni. Queste caratteristiche dovrebbero sollecitare da parte di chi se ne occupa attenzione, chiarezza, responsabilità nel trattare i dati di riferimento.
Ma in Italia, all’insegna di un governo sempre più confuso e arrogante, succede il contrario. La confusione alimentata dal governo e dalle sue contraddizioni interne oscura i dati di fatto, blocca quella che potrebbe essere una riflessione utile, minaccia di sfasciare i risultati importanti già realizzati. Proviamo a verificare in sei punti le incongruenze e le vere e proprie falsificazioni che confondono il tema delle pensioni.

L’Italia ha bisogno di una riforma strutturale.
L’Italia è il paese che ha fatto per prima in Europa, a metà degli anni 90, una riforma radicale del sistema pensionistico, passando dal metodo retributivo a quello contributivo. Gli interventi recenti come in Francia o semplicemente proposti come in Germania presentano al confronto un carattere marginale rispetto ai sistemi tradizionali.

La riforma ha tempi d’attuazione troppo lunghi ed è perciò inefficace.
La sua efficacia è dimostrata dal fatto che la spesa previdenziale che secondo le previsioni era destinata a una traiettoria esplosiva è stata bloccata ed è addirittura in riduzione. ·

Il sistema non reggerà nel prossimo mezzo secolo l’impatto della transizione demografica col relativo invecchiamento della società.
La transizione demografica è in corso e vale per tutti i paesi. Ma è proprio la riforma attuata che, secondo le previsioni ufficiali di Bruxelles, consentirà all’Italia, nel peggiore dei casi, uno splafonamento di due punti che rappresentano la metà o un terzo di quanto si prevede per la maggior parte degli altri paese dell’Unione europea.

La spesa pensionistica è più elevata della media europea.
E’ vero, ma dipende dal fatto che le pensioni hanno assunto in Italia il carattere di ammortizzatore universale e in particolare nei confronti della disoccupazione. Se si sommano queste due voci, la spesa in rapporto al PIL diventa comparabile. In ogni caso, la spesa sociale in Italia rimane al di sotto della media europea.

Bisogna ridurre il disavanzo dell’INPS.
Primo: il disavanzo del sistema previdenziale deve essere calcolato tenendo conto della spesa di carattere assistenziale, di cui è giusto si faccia carico l’intera collettività e non solo i lavoratori. Secondo: se, in ogni caso, c’è un problema di risorse, che dipende dalla quantità di contributi versati, perché la delega del governo si propone di ridurre di tre-cinque punti i contributi dei nuovi assunti?

Poiché l’attesa di vita si allunga, bisogna innalzare l’età della pensione.
La riforma Dini porta, in effetti, l’età della pensione a 65 anni. Opportunamente, lascia una flessibilità nella scelta, nel senso che il pensionamento può essere richiesto a partire da 57 anni, ma senza spesa aggiuntiva per il sistema, essendo la pensione attuarialmente correlata all’età del ritiro dal lavoro.

Una volta stabilito che questi punti di contestazione della riforma non hanno fondamento, vi sono questioni che, in prospettiva, meriterebbero una riflessione, possibili aggiustamenti, un negoziato con i sindacati? Certamente, ve ne sono. A cominciare dai problemi di tanti giovani che hanno un lavoro precario e quindi difficoltà ad accumulare i contributi che serviranno da base alla pensione. Vi sono problemi connessi al rapporto previdenza/assistenza. Vi sono elementi di privilegio che sopravvivono per alcune categorie. Come vi sono possibilità di intervento sui tempi della transizione verso la piena attuazione della riforma. Ma cosa c’entra con tutto questo il polverone in corso, il gioco delle tre carte a cui si dedicano i partiti della maggioranza? Per il 2005 è fissata la scadenza della prima verifica sull’andamento della riforma. I sindacati hanno dichiarato di essere pronti a quella verifica.

Ma il governo è indifferente alle leggi, agli accordi stipulati, a tutto ciò che rende rispettabili le istituzioni. Ciò che conta per il governo è cercare di annebbiare di fronte all’Unione europea una finanziaria indecente sostenendo che (in compenso!) promuove una riforma strutturale. Non a caso dal 2008: vale a dire, dopo le elezioni europee del 2004 e le politiche del 2006.

Questo è Tremonti. Intanto Maroni presenta una delega che tende a peggiorare i conti dell’INPS. E il governatore della Banca d’Italia, che non ha condiviso sin dall’inizio la riforma Dini (ma non ha nemmeno condiviso l’entrata dell’Italia nell’euro), vorrebbe interventi più drastici, il cui sbocco potrebbe solo essere la privatizzazione sostanziale del sistema con una crescente incidenza dei Fondi a capitalizzazione. Un sistema che sta rivelando i suoi fallimenti nei paesi dove sono storicamente più sviluppati, a partire dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

 

Giovedì, 25. Settembre 2003
 

SOCIAL

 

CONTATTI