Migranti, il viaggio infernale

Il diario di un Rom che, dopo aver raggiunto l’Italia dopo molte peripezie, ha fondato una Onlus che si occupa di organizzare carovane dall’inferno dei campi profughi verso luoghi dove si può sperare in una vita migliore

Il viaggio verso un campo di rifugiati e la lunga sosta davanti al campo, chiuso per una rivolta, è l'occasione per leggere il quaderno rosso di Kiril, il diario in cui ha annotato la storia della sua famiglia, della sua vita da ragazzo e da adulto e poi dell'impegno nella Onlus "Stay Human", fondata come riscatto e come solidarietà.

E' la storia di una famiglia ROM macedone che parte dalla miseria di Salonicco su una vecchia auto, per raggiungere dopo molte traversie l'agognata Italia. Padre, madre, Kiril e due altri fratellini più piccoli. E' uno dei tanti esodi, tra i pochi fortunati, che apprendiamo da quelle memorie.

Il volume, uscito con il «supporto morale ed economico della CGIL», affronta il tema drammatico della migrazione e del popolo ROM nella fuga disperata dagli orrori della violenza e della miseria.

Lo fa, narrando la vita e l'impegno di Musli Alievki, migrante a sua volta e poi fondatore della Onlus "Stay Human" (Restiamo Umani) che organizza carovane umanitarie nell'inferno dei campi greci, prima meta di esodi biblici dai paesi confinanti.

Il volume prende le mosse da una carovana, questa volta del solo potagonista Kiril (alias Alievski) diretta in Grecia da Pesaro dove vive e lavora. Quella Grecia, piagata da politici indegni, dalla cinica finanza e dai governi europei.

Sulla nave incontra Bruno, un giovane elettricista di Modena, in solitaria vacanza che è più una fuga da una relazione affettiva malamente interrotta. Si scambiano brevi, imbarazzate presentazioni sulle proprie destinazioni, ma sarà poi lo stesso giovane a cercarlo dopo lo sbarco e a salire sul furgone di Kiril.

L'accattonaggio mortificante, il lavoro schiavistico, l'emarginazione sin da piccoli, il rifiuto dello "zingaro", ma anche l'accoglienza, la maestra Antonietta che lo aiuta ad integrarsi nella scuola, e che gli ritorna in sogno da adulto, l'orgoglio di non sentirsi inferiore ad altri, di guadagnarsi la vita con un lavoro dignitoso e soprattutto cercare di alleviare le condizioni dei più sfortunati di lui che vivono in condizioni disperate nei campi; meta di esodi biblici di siriani, afgani, iracheni e di tutti quelli che fuggono da una guerra civile o da una crisi umanitaria. Di qui la fondazione di una ONLUS e l'organizzazione di carovane con volontari che rinunciano alle ferie per portare, spendendo spesso del proprio, generi alimentari, vestiario, biciclette, prodotti sanitari e igienici.   

E così anche noi con Kiril, Bruno e i suoi volontari, conosciamo l'orrore del disumano, la nausea per il tanfo degli escrementi e dell'orina, del sudore inacidito dal caldo insopportabile e dalla mancanza di acqua per lavarsi; la folla di donne, uomini e bambini che si accalcano e si liticano, e strappano dalle mani dei volontari, le cose distribuite, più spesso lanciate al di là dei cancelli serrati, sempre tragicamente insufficienti. 

Carovane partite con animo fiducioso ed ottimista e che ritornano con profonda amarezza e senso di inadeguata impotenza.

E così conosciamo anche noi quelle riuscite imitazioni dei lager nazisti che a suo tempo uccisero mezzo milione di ROM, e decisero di sterilizzare i bambini sopra i 12 anni per estinguere la razza.  

E sono i nomi di Softex («lasciate ogni speranza o voi che entrate»), Polikastro, Vaiociori, Oraiocastro, Diavata, Idomeni, il primo campo visitato da Kiril: 

«Idomeni è un covo di anime che non riesce a trovare pace.
Idomeni è una madre che tiene stretto un neonato stanco di piangere a vuoto.
Idomeni è un padre che tira pugni contro il vento bravo a restituirgli polvere.
Idomeni è un figlio che gioca con altri figli: nessuno di loro sa se rivedrà il giorno dopo.
Idomeni sono anche io, troppo piccolo per tutto questo, troppo testardo per mollare».  

«Non è raro vedere ragazzini iracheni e afgani prostituirsi nei bagni pubblici per pochi euro, giusto quelli che servono per mangiare».

E «considerate se questo è un uomo».

Sul concitato trambusto o sul misero tramestìo di una giornata snza senso, nel penetrante lezzo di umanità abbandonata, sorge ancora una volta, rabbiosa, l'invettiva di Primo Levi contro chi vuole ignorare e dimenticare: «che i  vostri nati torcano il volto da voi».   

Viaggi avventurosi e fughe di singoli, di famiglie, di  folle, su mezzi di fortuna e spesso a piedi; mete – se raggiunte – spesso peggiori dei luoghi di partenza.

«Voi non potete immaginare cosa significhi caricarsi sulle spalle una bambina, la tua bambina, prendere per mano la donna che ami e andare incontro alla sorte, sapendo che ad ogni chilometro potrebbe accaderti  di tutto. Eppure ce l'abbiamo fatta, o almeno all'inizio pensavo così, poi una volta arrivati in Grecia ci hanno preso e portati a Salonicco, nel campo di Diavata ed è stata duirissima, perché ci siamo accorti che non c'era differenza con la Siria »

Di dimensione ben più drammatica, ricordano l'epica, dolorosa, disillusa storia narrata in Furore da Steinbeck e cantata nella ballata The Ghost of Tom Joad di Bruce Springsteen: ma a differenza dell'eroe americano che scende in lotta e organizza rivolte, il nostro protagonista  preferisce il più modesto, pacifico, ma non meno proficuo aiuto volontario.  

«Nulla di indimenticabile, ma ho fatto del mio meglio»

Una drammatica epopea ancora in corso, narrata con linguaggio lieve del diario e scanzonato nei dialoghi tra i due ormai amici che, sappiamo, continueranno a  viaggiare insieme in molte altre carovane. Ma traluce sempre, seppure pudicamente trattenuta, la commozione e la profonda pena per quell'umanità vilipesa.

Una vicenda che peserà per sempre sulla coscienza dell'Europa e non solo: aver negato o lesinato nell'offrir loro «una speranza, una soltanto», una speranza che non deluda i paventati «invasori».

La lettura del volume ci aiuta a comprendere la fortuna di essere nati, senza alcun merito, nel luogo giusto e di come tanti altri siano invece nati, senza alcun demerito, nel luogo sbagliato.

Ai quali, in lacrime di commozione, nella recente funzione pasquale, papa Francesco ha lavato e baciato loro i piedi. 

A questi, a chi li soccorre per rendere loro conforto e giustizia, si puo ben dedicare l'augurio pasquale di Erri De Luca: «Pasqua è voce del verbo ebraico "pèsah", passare. Non è festa per residenti, ma per migratori  che si affrettano nel viaggio. Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri ad ogni costo, atleti della parola pace. Buona Pasqua».

«Gelem, Gelem, dice la mia gente
Andiamo, andiamo, direbbe la tua».

 

(Giuseppe Amari  è Segretario del Comitato scientifico della Fondazione Giacomo Matteotti)

Carlo Albè
Gelem, Gelem. Io Alievski
a supporto di Stay Humam, dicembre 2020. Prefazione di Francesco Perna. Pag. 229, Euro 15, 00.

www.stayhumanonlus.org; www.carloalbe.com


 

Domenica, 9. Maggio 2021
 

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