Metalmeccanici, un bilancio dopo la battaglia

I segretari di Fim, Fiom e Uilm spiegano e commentano l'accordo raggiunto per il contratto e tracciano le linee per gli sviluppi del prossimo futuro

Giorgio Caprioli

Segretario generale Fim-Cisl

 

La piattaforma per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici era caratterizzata per il fronte molto ampio di argomenti che sollevava. Praticamente tutti i temi fondamentali di un contratto venivano affrontati: dalla prima parte, all’inquadramento, dal mercato del lavoro all’ambiente, dall’orario al salario. Questa caratteristica, che privava la piattaforma di un punto forte su cui concentrare le energie, derivava da una serie di questioni rinviate dai contratti precedenti (mercato del lavoro, inquadramento e orario) e dall’inevitabile logica di sommatoria delle differenti priorità di Fim, Fiom e Uilm che provenivano dal contratto separato del 2003.

 

Dall’altra parte del tavolo abbiamo trovato una controparte molto divisa al suo interno, che, a sua volta, anziché fare sintesi tra le diverse posizioni, le metteva tutte insieme presentandosi priva di un disegno proprio e facendo prevalere al suo interno le differenti rigidità che andavano manifestandosi. L’unica parola d’ordine unificante per la controparte è stata la ricerca di maggior flessibilità dell’orario di lavoro, declinata peraltro in modi differenti, in base all’assunto che la maggior flessibilità è l’unica strada per innalzare la produttività.

 

È mancato perciò al tavolo un confronto vero sul tema della produttività, che è composta anche da altri elementi, come gli investimenti in tecnologia e organizzazione e la scommessa sul binomio professionalità – percorsi di carriera, che costituiscono la base  fondamentale di ogni azione volta ad aumentare le performance aziendali. Partendo da queste due condizioni il confronto è stato molto faticoso e privo di quel clima di fiducia reciproca, che è una delle basi fondamentali di ogni trattativa. Si è lavorato più a togliere argomenti dal tavolo che ad arricchire, ed è stato fondamentale l’intervento, in fase conclusiva, del ministro del Lavoro.

 

Si possono riassumere i risultati dividendoli in 5 grandi capitoli: i diritti, il mercato del lavoro, l’inquadramento, l’orario e il salario.

 

Sui diritti il risultato è senz’altro positivo: si costituirà l’Ente bilaterale, che si occuperà innanzitutto di formazione, ma lavorerà in stretto collegamento con gli Osservatori e le Commissioni già previste dal contratto; si abbassa la soglia dei diritti di informazione e consultazione come previsto dalla Direttiva europea; si eleva il monte ore a disposizione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, cui sono attribuiti anche compiti di maggiore controllo dei documenti aziendali riguardanti la prevenzione dagli infortuni; si attiva una commissione nazionale per l’integrazione dei lavoratori migranti; si realizza la piena parità normativa tra operai e impiegati dopo 36 anni dall’introduzione dell’inquadramento unico. Si tratta, in sostanza, di un avanzamento importante su varie materie.

 

Sul mercato del lavoro il bilancio non è altrettanto positivo: non si realizza né l’introduzione di percentuali massime all’utilizzo dei contratti a termine e di somministrazione, né il “bacino”, cioè un meccanismo che, prevedendo il diritto di precedenza nelle assunzioni a termine oltre che a tempo indeterminato, realizza nel tempo, combinato con un periodo massimo oltre il quale il lavoratore ha il diritto all’assunzione a tempo indeterminato, la stabilizzazione del lavoro precario. Si attua semplicemente la recente legge sul tempo determinato fissando in 44 mesi il periodo massimo oltre il quale scatta l’assunzione a tempo indeterminato, comprensivi dell’eventuale proroga (prevista per legge oltre i 36 mesi) o dei casi in cui il lavoratore abbia avuto sia rapporti a tempo determinato che di somministrazione. Ha pesato sul negoziato una forte riserva ideologica della controparte tesa ad avere le mani libere in questo campo. La normativa che esce dal contratto è migliorativa della legge, ma siamo ancora lontani dall’impedire gli abusi.

 

Sull’inquadramento la controparte ha tenacemente rifiutato il confronto di merito a cui era peraltro impegnata dal contratto del 2005. Ha tentato di sviare il confronto proponendoci il tema della parificazione normativa tra operai e impiegati che abbiamo accettato e realizzato. Il confronto proseguirà tra le parti fino al febbraio 2009.

 

L’esito è quanto mai incerto perché è legato alla disponibilità di Federmeccanica di rimettere in gioco consolidati meccanismi di potere unilaterali realizzati negli ultimi venti anni attraverso la progressiva espropriazione dei meccanismi di valutazione delle carriere e dei relativi compensi dalla funzione del personale a quella delle risorse umane. Questo rimane un tema chiave delle relazioni industriali del futuro, perché il progressivo aumento delle richieste ai lavoratori di polifunzionalità e di disponibilità continua ad arricchire la loro prestazione non può rimanere privo di un corrispettivo riconoscimento professionale contrattuale, a meno che ci si rassegni a lasciare tutta questa materia esclusivamente nelle mani delle aziende.

 

L’orario di lavoro era il terreno su cui scambiare concessioni con benefici salariali e normativi. Abbiamo ottenuto risultati importanti come l’abolizione della franchigia sulla banca delle ore, la riduzione del periodo di preavviso minimo (da 25 a 15 giorni) per ottenere il godimento individuale dei permessi annui retribuiti (par), l’aumento delle maggiorazioni in caso di orario flessibile plurisettimanale. Abbiamo concesso un meccanismo più esigibile e flessibile sull’utilizzo delle 64 ore di flessibilità plurisettimanale, 8 ore in più di straordinario “comandato” dalle aziende e la possibilità di spostare il godimento di un “par” (su 13) dell’anno in corso a quello successivo.

Si tratta di concessioni limitate a cui è corrisposta un’analoga limitatezza di disponibilità di Federmeccanica in termini di inquadramento, di parificazione operai-impiegati e, in parte, di salario.

 

Sul nodo della crescita di produttività il contratto si chiude sulla difensiva: scarsa apertura da parte nostra sull’orario e scarsa risposta di Federmeccanica sull’inquadramento e dintorni.

La risposta contrattuale nazionale appare insufficiente ad affrontare il problema e ad allargare gli orizzonti nel binomio flessibilità-produttività oltre quelli ristretti della flessibilità di prestazione (orario) per abbracciare anche quelli della flessibilità professionale (inquadramento) e di ingresso (mercato del lavoro). Questo terreno va ripreso a partire dai prossimi rinnovi dei contratti aziendali.

 

Infine il salario. Su questo terreno abbiamo anzitutto reso strutturale l’elemento perequativo, destinato a tutti i lavoratori privi di contrattazione aziendale e di superminimi individuali. Si tratta di un passo significativo, che può tornare utile anche in vista dell’imminente ridiscussione dell’accordo del luglio ’93, perché questa voce potrebbe essere la base minima da cui partire per realizzare la contrattazione territoriale. L’aumento sui minimi di 127,00 euro medi rappresenta un record dal ’92 ad oggi, ma appare insufficiente a risolvere il problema salariale, su cui si concentrano tante attenzioni, a partire dalla politica. Corrisponde a 7,2% su 30 mesi, pari al 2,88% su base annua, superiore all’inflazione media e in linea con quella tendenziale.

 

Sono evidenti due osservazioni. La misurazione dell’inflazione da parte dell’Istat solleva da tempo dubbi e perplessità: è necessario rivedere il paniere e i criteri di calcolo. In secondo luogo il problema salariale va affrontato da una adeguata politica fiscale che abbatta le trattenute sui redditi medio-bassi, come previsto dalla piattaforma di Cgil, Cisl e Uil.

 

In conclusione possiamo dire che si tratta di un contratto accettabile, viste anche le condizioni in cui era arrivata la trattativa, con da una parte la decisione di Federmeccanica di dare il via libera alle aziende sugli aumenti unilaterali e dall’altra lo stato di stanchezza in cui versava il movimento di lotta. Le grandi diversità che convivono in un’area contrattuale così vasta  (1.600.000 lavoratori interessati) producono crescenti difficoltà a fare sintesi virtuose al tavolo delle trattative.

Ora si apre la stagione della contrattazione aziendale nella quale come sindacato dovremo affrontare con un’ottica meno difensiva i problemi della flessibilità, della precarietà e dell’inquadramento e, contemporaneamente, fare uno sforzo per estendere il numero di lavoratori in essa coinvolti.

 

 

 

Gianni Rinaldini

Segretario generale Fiom-Cgil

(Intervista a cura di Carlo Gnetti, da “Rassegna sindacale” n. 4/2008)

 

“Non c’è dubbio che un passaggio della trattativa stava a indicare la volontà, almeno di una parte della Federmeccanica, di far saltare il contratto nazionale”. Così Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom-Cgil, ricostruisce la vicenda che lo scorso fine settimana ha portato alla firma dell’accordo nel settore metalmeccanico. Un evento la cui importanza è difficile sottovalutare, considerato che si tratta del primo accordo normativo unitario raggiunto dopo 8 anni e mezzo e tenuto conto dei segnali assolutamente negativi che lo avevano preceduto, come le elargizioni unilaterali messe in busta paga da parte di alcune grandi aziende a partire da ottobre 2007.

 

Qual è il passaggio della trattativa in cui hai avuto l’impressione che si volesse far saltare il contratto nazionale?

 

Era difficile non avere questa impressione dopo una lunga giornata di sospensione della trattativa, al termine della quale Federmeccanica si è presentata con un testo finale che voleva dire ‘prendere o lasciare’. A quel punto, domenica 13 gennaio, abbiamo rifiutato di continuare la discussione e abbiamo chiesto un intervento del ministero per verificare se vi fossero le condizioni per la ripresa del negoziato. Allora Federmeccanica si è dichiarata disponibile a raccogliere l’invito del ministero a sospendere qualunque iniziativa unilaterale purché il sindacato rinunciasse a promuovere scioperi nel paese. E noi abbiamo reagito dicendo: facciano pure ciò che ritengono più opportuno; noi non facciamo accordi su questioni che riguardano le scelte autonome delle parti sociali. Dico questo per ricordare che la crescita delle iniziative di lotta, anche vivaci, in tutto il paese ha costituito un elemento decisivo ai fini della riapertura del negoziato, perché ha fatto capire cosa sarebbe successo di fronte all’ipotesi di far saltare il contratto nazionale dei metalmeccanici.

 

Considerando le premesse da cui si è partiti, in cosa l’accordo può essere considerato un successo e quali sono invece i punti dolenti?

 

Diciamo che nella situazione data abbiamo raggiunto un compromesso soddisfacente, che presenta alcuni aspetti controversi. Penso ad esempio alla vicenda delle otto ore di straordinario, oppure al rinvio della riforma dell’inquadramento che noi avevamo chiesto. Aspetto quest’ultimo che, tra l’altro, rende esplicita la strumentalità della campagna su chi è innovativo e chi no, tenuto conto che l’inquadramento attuale risale al 1973 e che la controparte ha respinto la nostra richiesta di cambiamento. Del resto, per capire qual era la posta in gioco, basta leggere le reazioni di chi sostiene che il contratto è arcaico ed è impossibile fare cose innovative con un sindacato così conservatore. Assolutamente positiva e importante è invece la parificazione dei trattamenti tra operai e impiegati su vari aspetti, comprese le ferie e gli orari di lavoro, a valere per tutti i nuovi assunti. Sono aspetti di non poco conto, che riaprono la discussione sulla riduzione degli orari in una fase in cui ovunque si cerca di aumentarli. Anche la nostra piattaforma sul mercato del lavoro chiedeva cose più consistenti. Ma proprio su questi punti si è avuta la reazione della Confindustria che, da un certo momento in poi, ha seguito passo per passo la trattativa, contestando tutti i passaggi in cui si poteva arrivare a un accordo.

 

Dunque, possiamo definirlo l’ultimo contratto della vecchia fase o il primo di una nuova fase?

 

Io lo definisco un contratto di tenuta, ma certo non è l’ultimo. Chi dice il contrario ha un obiettivo preciso: sostenere che i prossimi contratti nazionali dovranno essere più leggeri. Questa è una strada non praticabile. Si apre una fase in cui viceversa la riforma della struttura contrattuale non deve indebolire il ruolo del contratto nazionale. Va rafforzata la contrattazione aziendale e va rafforzato il contratto nazionale. Speriamo poi che la conclusione positiva di questa vicenda possa favorire la conclusione dei contratti tuttora aperti.

 

Come valuti il fatto che l’accordo è stato raggiunto unitariamente, dopo un periodo non certo facile neppure dal punto di vista dei rapporti con le altre federazioni? È l’inizio di una nuova stagione?

 

Abbiamo portato a compimento un percorso iniziato due anni fa, nel gennaio 2006, con il rinnovo del biennio. Allora avevamo alle spalle due accordi separati, quelli del 2001 e del 2003. Oltre al merito, la piattaforma unitaria del 2005, che ha poi portato a un accordo concluso unitariamente, definiva le regole democratiche che prevedono, tra l’altro, il referendum tra i lavoratori, uno dei punti su cui si era determinata la divisione. Adesso ripartiamo da un accordo unitario, sapendo che sul merito continuano a esistere posizioni diverse.

 

 

 

Antonino Regazzi

Segretario generale Uilm-Uil

 

Dopo una vicenda negoziale complessa e travagliata, domenica 20 gennaio è stato raggiunto l’accordo per il rinnovo del Contratto nazionale dell’industria metalmeccanica. L’intesa si è raggiunta anche con l’autorevole contributo del ministro del Lavoro Cesare Damiano che, registrando l’esaurirsi del negoziato in sede naturale, ha lavorato per far riprendere il tavolo negoziale prima presso il ministero stesso e, per l’ultima fase, nella sede di Federmeccanica.

 

Le trattative sono durate oltre sei mesi, ma da giugno ad ottobre hanno stentato a entrare nel vivo, poiché l’associazione degli imprenditori si è a lungo sottratta alla discussione, offrendo appena sessantasei euro e trincerandosi dietro una ostinata difesa dell’accordo del “93. Il confronto è entrato nel vivo solo a dicembre, allorquando le parti hanno affrontato con realismo i punti dirimenti: salario e flessibilità. Tuttavia il dialogo è proseguito con incertezza, a causa delle reciproche diffidenze, ed ha corso il rischio di arenarsi sotto la minaccia, in parte attuata, di “ultimatum” (15 dicembre e 15 gennaio) delle imprese e, poi,di procedere ad elargizioni unilaterali.

 

Anche stavolta, però, il pragmatismo ed il senso di responsabilità hanno vinto le pregiudiziali ideologiche ed hanno condotto ad un accordo soddisfacente sia per i lavoratori sia per le imprese. Innanzitutto è stato ottenuto un aumento dei minimi contrattuali del 7,23%, corrispondenti a 127 euro medi, da erogare in tre tranche di 60 euro a gennaio 2008, 37 euro a gennaio 2009 e 30 euro a settembre 2009, sia pure allungando la vigenza contrattuale da 24 a 30 mesi e portando la scadenza contrattuale al 31 dicembre 2009. Sempre sotto il profilo economico, è stato stabilizzato e raddoppiato nell’ammontare un istituto denominato “Elemento perequativo”, introdotto in modo sperimentale nello scorso rinnovo del 2006: 230 euro annuali saranno riconosciuti a coloro che non svolgono la contrattazione di secondo livello.

 

Pur con l’allungamento di sei mesi della vigenza contrattuale, è in ogni caso la prima volta che gli aumenti ottenuti superano la richiesta sindacale, pari a 117 euro per 24 mesi. Anche altre volte in passato si era proceduto ad analoghi allungamenti, di recente nel 1997 e nel 2006, ma mai la cifra raggiunta con l’accordo aveva superato quella contenuta nella piattaforma. Un dato positivo ed importante, che costituisce una prima risposta all’emergenza salariale del nostro paese. Si tratta, però, solo di una prima risposta, poiché ci vorranno molti anni e molteplici strategie di intervento, per recuperare la perdita del potere di acquisto protrattasi negli anni ‘90 e culminata con l’adozione dell’euro.

 

Il prossimo fronte dovrà essere l’alleggerimento del peso fiscale e contributivo sul lavoro dipendente, nonché la diffusione della contrattazione di secondo livello. La caduta del governo Prodi, purtroppo, rinvia nel tempo questa discussione, che certamente Cgil, Cisl e Uil porranno all’attenzione del prossimo esecutivo. Si pensi che, a dispetto dei proclami, gli aumenti dei lavoratori oggi sono sottoposti a una tassazione più pesante che nel passato: il 9,49% di contributi (+0,10%) ed il 27% di irpef (+4%), senza considerare le addizionali regionali e comunali aumentate quasi ovunque. Forse pochi soffermano la loro attenzione sul fatto che un operaio, che guadagna 1.000 euro netti al mese, su ogni euro di aumento paga oltre il 40% fra tasse e contributi.

 

Dal punto di vista normativo, il rinnovo contrattuale ha affrontato il fondamentale tema della flessibilità. Abbiamo difatti esteso la possibilità di utilizzare l’orario plurisettimanale (strumento negoziato per la stagionalità dei prodotti), tramite un accordo con le Rsu, a tutto il settore metalmeccanico; è stata aumentata di otto ore annuali la quota di straordinario obbligatorio; è stata data alle aziende la possibilità di utilizzare un permesso collettivo retribuito, lasciando la fruizione individuale per l’anno successivo. Si tratta di modifiche della disciplina dell’orario di lavoro che consentono una migliore reattività delle imprese ai cambiamenti, oggi oggettivamente bruschi, del mercato. Soprattutto si fa strada nel sindacato l’idea che la competitività del nostro apparato industriale deve essere sostenuta, nell’interesse precipuo dei dipendenti che vi lavorano.

 

Con questo rinnovo abbiamo, inoltre, preso la storica decisione di superare ogni differenza di trattamento fra operai ed impiegati, finalmente interessati da una disciplina unica. Ciò ha portato, ad esempio, ad estendere agli operai la disciplina di maggior favore prima dettata per i soli impiegati in tema di ferie: dopo dieci anni di anzianità è previsto un giorno in più di ferie, dopo diciotto anni ulteriori quattro. Ancora, abbiamo esteso agli operai la più favorevole disciplina impiegatizia degli scatti di anzianità, che non verranno più assorbiti dai passaggi di livello, bensì verranno conservati e rivalutati in caso di promozione.

 

Infine nell’accordo abbiamo stabilito un tetto massimo per il susseguirsi di contratti a termine e di somministrazione, pari a 44 mesi, nonché alcune importanti modifiche relativamente alla sicurezza sul lavoro. Più in particolare abbiamo implementato sia gli strumenti, attraverso la possibilità di appendere il documento di valutazione dei rischi e il registro degli infortuni, sia le ore di permesso dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, elevate a cinquanta ore nelle imprese da cinquanta a cento dipendenti e a settanta ore per le imprese con oltre cento dipendenti.

 

L’esito positivo raggiunto con l’accordo non può, però, far dimenticare le difficoltà incontrate durante le trattative. Probabilmente potevamo conseguire il medesimo risultato in tempi più rapidi e, forse, perfino fare qualcosa di più. La dialettica odierna delle relazioni sindacali ci appare, infatti, falsata dalle reciproche diffidenze e frenata da due tendenze fra loro speculari: quella del sindacato di arrestarsi alla difesa dei diritti in passato acquisiti e quella degli industriali di acquisire, in nome della modernità, una flessibilità senza regole a scapito della qualità della vita dei lavoratori.

 

Entrambi questi orientamenti, apparentemente antitetici, a ben vedere si fondano sul medesimo pregiudizio, vale a dire che la creazione della ricchezza e la sua equa distribuzione siano esigenze fra loro contrapposte. In definitiva si alimenta un paradosso, l’idea secondo cui per arricchire la società dobbiamo impoverire i suoi cittadini o, viceversa, che si possa avere cittadini più ricchi in una società che non produce ricchezza. Rovesciando tale vetusta e irragionevole opinione, dobbiamo considerare la competitività delle imprese come un obiettivo comune a datori e prestatori di lavoro. Gli imprenditori, da parte loro, devono abbandonare l’illusione di cancellare la storia di emancipazione dei cittadini lavoratori, come hanno provato a fare con la minaccia di azzerare il

Lunedì, 10. Marzo 2008
 

SOCIAL

 

CONTATTI