Metalmeccanici, le linee per il nuovo contratto

Il panorama diversificato della ripresa spinge a spostare sul livello aziendale la contrattazione salariale, fatta salva la difesa del potere d'acquisto al livello nazionale. Da affrontare anche l'inquadramento unico e il "tetto" all'utilizzo dei precari
Il quadro economico entro il quale si realizzerà il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici lancia segnali non univoci. Il peggio della crisi è ormai alle spalle: molte aziende hanno ordini in portafoglio e prevedono un incremento di fatturato, anche se denunciano contemporaneamente una compressione dei margini di guadagno. Permangono ancora aree di crisi, con ricorso alla cassa integrazione e alla mobilità e la produttività media del settore si muove verso l'alto, ma in modo ancora incerto e insufficiente. Infine le aziende beneficeranno della riduzione del cuneo fiscale.
Complessivamente ci troviamo di fronte una situazione migliorata rispetto a due anni fa, ma ancora piena di problemi, di aree di crisi, di incertezza.
 
Se il quadro economico è questo, la strategia che deve ispirare il contratto è quella di realizzare le condizioni per un rafforzamento della contrattazione aziendale. Solo a quel livello infatti è possibile selezionare e adattare la politica rivendicativa alla specifica situazione delle aziende, che si presenta molto diversificata. A questa ispirazione di fondo va aggiunta la conquista di alcune norme nazionali che facciano da barriera alla unilateralità aziendale, soprattutto sulla questione della crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro.

Per questo motivo Fim, Fiom e Uilm riproveranno a chiedere che il contratto nazionale introduca la percentuale massima di utilizzo dei contratti a termine e interinali, che oggi è impossibile introdurre a causa delle numerosissime casistiche che la legge 276 prevede come esenti, appunto, dalla apposizione di percentuale. Quella legge va cambiata, a partire dalla eliminazione del divieto di sottoporre a vincolo percentuale i contratti di durata inferiore ai sette mesi: su questo punto dovrà produrre risultati il tavolo interconfederale che si sta aprendo.
 
Sulla parte salariale del contratto vogliamo due riforme importanti: quella dell'inquadramento unico e quella di una quota aggiuntiva di salario a favore dei lavoratori che non possono beneficiare della contrattazione aziendale.

L'inquadramento si deve riformare prevedendo la costituzione di cinque fasce salariali, ciascuna con un minimo e un massimo di salario, la cui definizione spetta al contratto nazionale, tramite la scrittura di nuove declaratorie. Il posizionamento del lavoratore all'interno della fascia è demandato alla contrattazione aziendale, che acquista perciò un peso maggiore di prima nella definizione dell'inquadramento effettivo e ridà, in questo modo, al sindacato spazi di intervento nella definizione del salario effettivo dei lavoratori.

La riforma dell'inquadramento è matura, non solo per il nuovo respiro che può dare alla contrattazione salariale, ma per il significato di riappropriazione da parte del sindacato della capacità di dire la sua in merito al riconoscimento della professionalità effettivamente conseguita da ciascun lavoratore. Per questo è necessario che i delegati tornino a interessarsi del lavoro concreto, di come si svolge quotidianamente in fabbrica, da quali contenuti professionali vecchi e nuovi è caratterizzato. È questo un primo passo necessario per tornare a essere interlocutori dell'azienda sui temi dell'organizzazione del lavoro.

Per la quota aggiuntiva di salario da destinare a chi non fa contrattazione aziendale, si tratta di irrobustire, ampliare e rendere strutturali i 130 euro conquistati nell'ultimo rinnovo, introducendo eventuali "clausole di uscita" da quest'obbligo per le aziende che dimostrano lo stato di crisi.

La tensione salariale che c'è nella categoria va perciò orientata prevalentemente verso il secondo livello contrattuale, fermo restando il recupero del potere d'acquisto da realizzare a livello nazionale con una rivalutazione dei minimi.
 
Dovremo poi affrontare di nuovo la questione degli orari, sulla quale la controparte ha annunciato una nuova offensiva, cercando di limitare al massimo le possibilità di comando unilaterale delle aziende a favore della contrattazione. Per questo prevediamo di chiedere miglioramenti della normativa sulla banca delle ore.

Infine dobbiamo irrobustire le logiche partecipative: prevediamo la costituzione di un Ente bilaterale che gestisca la formazione e incorpori gli Osservatori di comparto, già definiti nel contratto nazionale. E, in aggiunta, c'è da recepire l'avviso comune in materia di consultazione dei lavoratori, siglato da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria.
 
A livello più generale possiamo dire che questo rinnovo contrattuale ha un compito riformatore importante. Perché, a fronte di una crescente unilateralità delle aziende nelle politiche salariali, in quelle di scelta dei rapporti di lavoro da attivare, degli orari, dei percorsi di carriera, tenterà di riportare sotto il controllo della contrattazione collettiva una buona parte di queste leve, che restano decisive nella regolazione del rapporto di lavoro.
Martedì, 30. Gennaio 2007
 

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