Meno tasse? Va bene. Ma dove si taglia?

Il responsabile economico del Pd disegna un nuovo e condivisibile atteggiamento rispetto al fisco. Ma quel programma costa e per essere attuato ha bisogno di interventi su vari versanti, inclusi i tagli di spesa. Come e dove si pensa di farli?

L’intervento di Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, sul Foglio, ricordato da Carlo Clericetti nell’ultimo articolo redazionale, segna indubbiamente una svolta nella politica del Pd e indica, anche nella critica della proposta di Cesare Damiano di finanziare la cassa integrazione con un aumento dell’imposta diretta sui redditi più elevati, il tentativo del partito di liberarsi dalla connotazione di partito delle tasse.

 

Fassina ricorda come secondo i dati Ocse l’Italia sia ai primi posti nel mondo per pressione fiscale e che i lavoratori italiani hanno una delle più pesanti tassazioni europee sulle proprie buste paga. Sostiene quindi che si deve spostare il prelievo da chi paga a chi non paga, dai redditi da lavoro e impresa alla rendita e al patrimonio, dalle attività green e sostenibili alle attività black e dannose per l’ambiente. La riforma fiscale che abbiamo in mente, afferma Fassina, deve premiare i produttori, i lavoratori, i professionisti – artigiani e commercianti – e naturalmente gli imprenditori. In sostanza, il carico fiscale pro capite sul lavoro e sull’impresa – ovvero Irpef, Ires e Irap – deve scendere…

 

Politica di larghe alleanze dunque, non dissimile nelle intenzioni a quella proposta dal segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni in merito alla riforma fiscale. Un’alleanza di questo tipo è certamente dettata da molte considerazioni, non ultima quella del peso degli autonomi e della piccola impresa nella nostra economia. A fronte di un una percentuale attorno al 10% dell’occupazione autonoma sul totale in Germania e Francia, in Italia il peso degli autonomi si avvicina al 25%. Un peso economico – ma anche elettorale e politico – sensibile che spiega molto delle difficoltà della lotta all’evasione nel nostro paese.

 

Risulta tuttavia difficile immaginare come questa larga alleanza possa produrre politiche tendenti al recupero di basi imponibili e a creare altre fonti entrata. In altre parole la lotta all’evasione deve colpire qualcuno per essere efficace, se ci si allea con tutti come si fa a farla? Non si tratta di qualificare come evasori da colpire l’insieme di alcuni settori, come giustamente sottolinea Fassina, ma qualche paletto va indicato e fissato sia nella priorità nella diminuzione del carico fiscale, Irpef, sia nel riequilibrio settoriale tra riduzione del carico fiscale pro capite e l’emersione di nuova base imponibile (Ire e Irap).

 

Fassina espone alcune idee sulla riforma della tassazione sui redditi. Anche se molto generali sono tuttavia rivelatrici di una idea di riforma molto lontana dalle tradizionali posizioni della sinistra italiana.

 

La riforma dell’Irpef dovrebbe prevedere una riduzione della prima aliquota dal 23 al 20%, una riduzione del numero delle aliquote, una semplificazione di deduzioni e detrazioni. In questo la proposta non è lontana dalle posizioni di Tremonti, sia del libro bianco del 1994, sia di quelle attuali.

 

Importante l’affermazione che baricentro della riforma deve essere la tassazione dei redditi, di tutti i redditi, con un’aliquota di riferimento al 20%, corredata dalla proposta di tassazione al 20% dei redditi da affitto e da capitale, e da quella di dare la possibilità di scegliere un’imposta del 20% sostitutiva di Irpef, dell’Iva, e dell’Irap ai lavoratori autonomi e professionisti che si trovano al di sotto dei 70 mila euro di fatturato annui. Mi pare che con questa proposta si abbandoni la difesa tradizionale della progressività basata sull’Irpef prendendo atto che tutta una serie di redditi non sono rilevabili fiscalmente o lo sono con molta difficoltà. Ad una, solo teorica, equità fiscale basata sulla progressività di un’imposta si preferisce, sul modello di altri paesi, un’imposta proporzionale su redditi strutturalmente portati ad evasione nell’ottica di una riduzione del danno. L’idea non mi scandalizza, anzi, trovo giusto ragionare sulla realtà e non sulla teoria o sull’immaginario; mi chiedo solo se il forfettone indicato dia un minore o un maggiore introito fiscale rispetto agli attuali studi di settore.

 

Ruggero Paladini (Fisco, idee per la riforma) si mantiene su una linea più tradizionale e si limita ad esporre alcune idee sulla riforma dell’Irpef. Riduzione delle aliquote del 20 e del 38%, modifica delle detrazioni per lavoro e del limite di reddito per essere considerato a carico. Il tutto costerebbe circa 25 miliardi di euro di minori entrate a cui, secondo Paladini, dovrebbe aggiungersi la spesa necessaria per affrontare il problema dell’incapienza.

 

Sia che lo si affronti attraverso il fisco o attraverso il welfare il tema dell’incapienza e della povertà non è eludibile come ricorda Carniti (Chi declina e chi no) soprattutto se la riforma fiscale prevedesse una, sia pur parziale, compensazione tra riduzione dell’Irpef e aumento dell’Iva. Ad occhio sarebbero necessari per un intervento di questo tipo almeno 5 miliardi di euro. Saremmo così a 30 miliardi, circa due punti di Pil.

 

Data la situazione dei conti pubblici è inimmaginabile che una riduzione di entrate e un incremento di spesa di queste dimensioni possa avvenire pesando sul bilancio dello Stato. La strada allora è quella di trovare le risorse necessarie nella lotta all’evasione, nella compensazione tra le diverse imposte e nel taglio della spesa pubblica.

 

Sulla lotta all’evasione le indicazioni di Fassina e di Paladini sono chiare e condivisibili: tracciabilità, uso delle banche dati e accesso da parte dell’Agenzia delle entrate alle informazioni bancarie. Si potrebbe aggiungere una riforma del contenzioso.

 

Più definite, e diverse, dovrebbero essere a mio avviso le indicazioni sul fronte delle compensazioni tra le diverse imposte. Concordo nel respingere una compensazione limitata al solo scambio riduzione dell’Irpef/aumento dell’Iva. E’ necessario insistere che la compensazione deve avvenire tra una diminuzione dell’imposta sulle persone e l’aumento di quella sulle cose e che questa debba riguardare consumi, patrimoni e rendite finanziarie. Una tassazione dei patrimoni e una maggiore tassazione delle rendite finanziarie sono indispensabili, ma non si può escludere del tutto una compensazione parziale tra Irpef e Iva.

 

Dove l’intervento di Fassina è assolutamente carente è nei tagli alla spesa pubblica. Certo vi è l’affermazione che “niente riforma fiscale se non si ridiscute, oltre al recupero di evasione, sul modo in cui viene gestita, e spesso sperperata, la spesa pubblica”, ma non vi è alcuna indicazione sul come e dove fare questi tagli. L’articolo sul Foglio era rivolto a specificare le posizioni del Pd sul fronte fiscale e Fassina avrà certamente delle idee ben precise sul come tagliare e riqualificare la spesa pubblica. Si conoscono le sue posizioni sul fronte pensionistico, ma presumo che le sue idee di intervento non si limitino a questo versante. Sarebbe utile e interessante conoscerle in un altro articolo o magari nelle proposte ufficiali del Pd.

 

Le dimensioni della riforma fiscale proposta e lo stato dei conti pubblici induce a pensare che possa essere finanziata non da un intervento su di un solo versante, ma, tenendo anche conto della necessità di ridurre il debito, da un insieme di interventi che riguardano la lotta all’evasione, la compensazione attraverso il sistema fiscale e il taglio alla spesa pubblica. Se sommiamo le risorse necessarie alla riforma fiscale con quelle che dovranno essere trovate per la riduzione del debito e del deficit non siamo lontani dai 60/70 miliardi nel prossimo triennio con i debiti scongiuri per l’aggravarsi della situazione.

 

Manovre di questo tipo per essere attuabili comportano necessariamente un taglio della spesa pubblica. Tremonti è intervenuto con l’accetta con tagli orizzontali (efficaci dal punto di vista dei conti pubblici) e in settori in cui “a breve” minore e politicamente più agibile era il danno sociale (scuola elementare). Difficile e sbagliato continuare su questa strada, ma allora dal Pd servono indicazioni chiare. E’ positivo che si voglia cambiare l’immagine del partito sul fronte fiscale e che si voglia intraprendere una nuova strada, ma è altrettanto importante renderla credibile.

Domenica, 16. Maggio 2010
 

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