Meglio votare, prima che sia troppo tardi

Considerati gli infiniti danni provocati da questo governo non ha senso sostenere che la situazione generale richieda stabilità politica. La maggioranza è in decomposizione e le elezioni sono l’unica possibilità per cercare di uscire dal pantano in cui la destra ha trascinato il paese

Il definitivo disfacimento della coalizione di governo appare irreparabile. Comunque non è detto che il giorno del giudizio sia il 14 dicembre. Quando cioè alla Camera si voterà la mozione di sfiducia. Tuttavia, si può ragionevolmente prevedere che il futuro del governo non sarà di mesi. Ma, al più, di settimane. Sul cosa possa succedere dopo c’è ancora molta confusione. Non stupisce che molti italiani fatichino a farsi un’idea. Tanto più tenuto conto che nella discussione pubblica la propaganda quasi sempre sostituisce il ragionamento sensato.  Cerchiamo quindi di districarci.

 

Secondo una parte dell’establishment e dei media, malgrado il giudizio critico sul governo, la stabilità politica (considerato l’ammontare del nostro debito pubblico ed il dilagare di manovre speculative sui mercati finanziari) deve essere anteposta ad ogni altra pur legittima esigenza. Si tratta però di posizioni che dietro una maschera di apparente buon senso prescindono totalmente dalla realtà. In effetti i guai del paese, più che dai mercati finanziari, sono fin’ora derivati dal governo in carica. Intanto a  causa del discredito interno ed internazionale originato dalla figura del premier: per la sua intollerabile pretesa di impunità; per l’improntitudine con cui fa valere i suoi conflitti di interesse; per l’indecenza dei suoi comportamenti privati in cui, ormai incapace di controllare le sue pulsioni di vecchio erotomane, non esita a ricorrere anche all’abuso di potere. Se non bastasse l’anomalia di un premier di tal fatta, il consiglio dei ministri, con i suoi Bondi, i suoi Vito, i suoi Rotondi, i suoi Calderoli, i suoi La Russa, le sue Brambilla, le sue Gelmini, più che a un governo, assomiglia ad una “corte dei miracoli”. Del resto i risultati prodotti da una simile compagine sono sotto gli occhi di tutti.

 

Il debito pubblico sta infatti raggiungendo il picco del 120 per cento del prodotto interno lordo. L’evasione fiscale ha toccato i 120 miliardi di euro. La corruzione i 60 miliardi. I programmi ed i soldi (virtuali) per le infrastrutture sono solo sulla carta. La disoccupazione (compresi gli scoraggiati) ha ormai superato l’11 per cento. Quella giovanile è al 30 per cento. Nel 2010 le ore di cassa integrazione giungeranno a superare il miliardo. La crescita del Pil arriverà a malapena all’1 per cento, mentre la Germania toccherà il 3,6 per cento. Divario allarmante. Tanto più tenuto conto che Berlusconi e Tremonti avevano spergiurato, per tutto il 2009, che l’Italia sarebbe uscita dalla crisi prima e meglio di tutti gli altri. Purtroppo le cose non andranno meglio neanche nel 2011. Difatti i tagli dei fondi alla scuola, alla ricerca, alla cultura, non potranno che peggiorare ulteriormente le prospettive ed anche le distanze tra noi ed i principali paesi europei.

 

Qualche commentatore, particolarmente comprensivo nei confronti del ministro dell’Economia, sostiene però che, per quanto sgradevoli, i tagli rispondono alla necessità di arginare un disavanzo altrimenti incontenibile. La cosa che costoro tendono ad ignorare è che, malgrado le strettoie del bilancio, le risorse per confortare i “confortati” sono state invece trovate. Basterà ricordare che si è provveduto alla totale abolizione dell’Ici, a premiare gli evasori con lo “scudo fiscale”, a tassare gli affitti con l’aliquota secca del 20 per cento, invece che con l’aliquota marginale applicabile per le diverse classi di reddito. Si può quindi dire che, con un ruolo attivo del governo, si è passati dai deliri psudo-rivoluzionari degli “espropri proletari” degli anni settanta al fanatismo degli “espropri proprietari” di oggi. Politica non solo assecondata, ma concretamente sostenuta, da una compagine governativa che non si è mai tirata indietro nel fare delle diseguaglianze la propria cifra. Al punto che, mentre l’imposta sul reddito delle persone fisiche continua ad essere pagata per oltre il novanta per cento da lavoratori e pensionati (a cui è invece destinata solo meno della metà del reddito prodotto) anche il costo delle misure a favore dei benestanti ed in generale dell’aggiustamento economico è stato scaricato sulle spalle  di chi sta in basso nella scala sociale. Insomma, per “fare tornare i conti” non si è trovato di meglio che tormentare i “tormentati”.

 

In una situazione del genere è evidente che coloro i quali sostengono che l’interesse generale esiga stabilità politica parlano solo: o per difendere dei privilegi, o per dare “aria alla bocca”. Dovrebbe al contrario risultare sempre più chiaro a tanti (compresi quanti faticano ad interpretare il “teatrino” della politica) che più rimane in sella questo governo e più il paese viene trascinato a fondo. Con sempre più flebili possibilità di riuscire poi a risollevarsi.

 

Per Hegel “ciò che è razionale è reale”. Ma evidentemente nella politica italiana prevalgono altre categorie. La conferma viene tra l’altro dal fatto che per esorcizzare una crisi di governo, che da tutte le persone normali dovrebbe essere considerata opportuna ed urgente, Berlusconi e Bossi (assieme alle rispettive corti) agitano come una clava la minaccia di elezioni. L’intento è quello di scoraggiare ed intimidire i finiani e verosimilmente almeno una parte anche della attuale opposizione. Per fare buon peso essi aggiungono che un “ribaltone” non sarebbe tollerato dagli elettori. I quali non mancherebbero di esprimere, anche nei modi più vivaci, la loro collera.  Chiaramente nessuno li deve avere messi al corrente che in un sistema parlamentare, quale quello previsto nel nostro ordinamento, la parola “ribaltone” non trova riscontro nel lessico di nessun manuale di dottrine politiche. Ed in ogni caso che non spetta al governo in carica stabilire se, una volta caduto, si debba andare a votare oppure si possa invece formare una nuova maggioranza ed un nuovo governo. Per questo le minacce brandite da Berlusconi e Bossi dovrebbero lasciare il tempo che trovano. A patto, naturalmente, che i destinatari non siano disposti a farsi intimidire. La condizione perché ciò si verifichi è che facciano propria la lezione impartita a don Abbondio dal cardinale Federico, secondo il quale: “l’iniquità non si fonda soltanto sulle sue forze, ma sulla credulità e lo spavento altrui”.

 

Resta in ogni caso il dato di fatto che la maggioranza di destra appare ormai in via di decomposizione. La formalizzazione  della crisi di governo dovrebbe quindi essere solo questione di tempo. Perciò la domanda che non andrebbe elusa è la seguente: quali scenari si possono realisticamente prefigurare per il dopo crisi? Una prima ipotesi è che si riesca a costituire un nuovo governo, con un nuovo premier, ma sempre sorretto da una maggioranza di centro-destra, sia pure allargata all’Udc.  In teoria l’ipotesi non è da escludere, ma in pratica appare francamente piuttosto improbabile. La destra ha infatti il “matto” in casa ed, almeno allo stato, non sembra in grado di neutralizzarlo. Un’altra eventualità è quella postulata dal Pd. L’idea consiste nel dare vita ad un governo di transizione (o di responsabilità nazionale) per varare una legge elettorale, meno truffaldina  di quella in vigore, ed affrontare, nel contempo, alcune delle maggiori emergenze economiche e sociali. Anche in questo caso si tratta però di una eventualità che appare più volonterosa che realistica. Intanto perché per i finiani può risultare piuttosto ostico partecipare, nella medesima legislatura, ad una maggioranza diversa rispetto a quella in cui erano stati eletti. Ma soprattutto perché, se Bossi e soprattutto Berlusconi riuscissero a tenere unite le rispettive truppe parlamentari, il nuovo governo risulterebbe privo di maggioranza al Senato.

 

Lo scenario più plausibile è quindi quello di nuove elezioni. Non perché minacciosamente pretese da Berlusconi (per disperazione) e da Bossi (che pensa invece di raccogliere i dividendi di una ondata xenofoba e razzista che si sta propagando in Europa), ma perché sono l’unica possibilità per cercare di uscire davvero dal pantano in cui la destra ha trascinato il paese. Stando così le cose, la sola preoccupazione dovrebbe essere quella che ci si arrivi in tempo. Cioè prima che la situazione precipiti irrimediabilmente.

Venerdì, 3. Dicembre 2010
 

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