Meglio un centrosinistra vincente che ortodosso

C'è chi teme che una lista unica possa far perdere la connotazione di "sinistra". Ma l'identità socialista si è da tempo evoluta in tutta Europa e c'è da fronteggiare un partito conservatore che non si è posto un analogo problema

Con un lungo ed argomentato intervento, Mauro Beschi, Sergio Ferrari e Renzo Penna, dell'Associazione Labour "Riccardo Lombardi", avanzano obiezioni "di principio" alla proposta Prodi, rilanciata da Fassino e D'Alema, di una lista unitaria di centrosinistra alle elezioni europee, da collocare a sua volta nella prospettiva della costruzione di una nuova formazione politica federativa tra Ds, Margherita e Sdi: in sostanza, sostengono gli amici e compagni dell'Associazione Labour, i Ds starebbero abbandonando la loro ispirazione socialista, con ciò condannandosi anche a perdere la connotazione di forza della sinistra.

Si tratta di obiezioni diffuse e, per così dire, "non manifestamente infondate", dunque da prendere sul serio. Per farlo, è tuttavia indispensabile intendersi sui termini, a cominciare dal termine "socialismo". Cosa sia il socialismo nella storia delle idee è tema di per sé complesso, alludendo la parola "socialismo" ad un genere del quale fanno parte numerose e assai diverse specie. Cosa sia il socialismo oggi è tema ancor più complesso, al punto da rendere inevitabile una sua (almeno parzialmente) più modesta riformulazione: cosa debba intendersi per "socialismo" nell'Europa di oggi.

Anche a questa domanda, la risposta dovrebbe tuttavia essere lunga e complessa, aperta e problematica. Ai fini della nostra discussione, basterà tuttavia constatare come in Europa, oggi, non si dia in natura un "socialismo" allo stato puro. In quasi ogni esperienza nazionale, il socialismo effettuale esiste solo in quanto contaminato con altre culture politiche, in particolare di matrice liberale e di matrice religiosa. Storica è la derivazione del Labour inglese da radici umanitario-cristiane assai più che materialistico-marxiste. E il New Labour di Blair, comunque lo si voglia giudicare, è un partito che deve la sua identità ad una netta assunzione di paradigmi liberal-progressisti.

Ma anche la Spd di oggi è difficilmente sovrapponibile a quella di Bad Godesberg, sul piano ideologico, prima ancora che programmatico: altrimenti non si capirebbe nulla dello scontro di Schroeder con Lafontaine. Quanto al Psf, tutti sanno come sia nato, ad Epinay, dalla confluenza tra formazioni progressiste e riformiste molte delle quali, a cominciare dai repubblicani di Mitterrand e dai cristiano-sociali di Delors, tutto erano, fuorché socialiste. E dirà pure qualcosa la circostanza che il presidente dell'Internazionale socialista, il portoghese Antonio Guterres, sia un credente dichiarato, formatosi nei circoli intellettuali della gioventù universitaria cattolica.

Da tempo, insomma, il socialismo democratico, europeo e occidentale, non si concepisce e percepisce più come una cultura autosufficiente, ma come una corrente politica larga e aperta, attraversata da molteplici apporti culturali. Guai a noi se non fosse così, guai se pensassimo che le grandi e per molti versi inedite sfide del mondo del Duemila potessero essere affrontate con le categorie culturali dell'Ottocento: non a caso, siamo tutti alla ricerca di paradigmi nuovi, scomponendo e ricomponendo tradizioni culturali classiche e combinandole con suggestioni nuove, quali quelle che emergono da apporti novecenteschi, come il movimento ambientalista o la rivoluzione femminile.

Non tutti i risultati di questa ricerca sono ugualmente convincenti, ma le frequenti delusioni di inventori frettolosi non sono ragione sufficiente per riproporre tradizionali ortodossie. La proposta di Prodi, per come mi riesce di comprenderla e di interpretarla, si inserisce in questo orizzonte, ma si propone una più precisa concretizzazione politica. La costruzione europea ha bisogno di un motore politico. E questo motore politico oggi non c'è, perché è venuto meno il tradizionale asse europeistico tra democristiani e socialisti. Ciò è accaduto per la crisi dei partiti democristiani, con la scomparsa della Dc italiana e la trasformazione della Cdu-Csu tedesca. E per la conseguente mutazione genetica del Ppe, che non è più il partito dell'unità dei democristiani europei, ma il partito dell'unità dei conservatori europei.

Questa mutazione genetica ha fatto del Ppe il principale partito europeo, maggioritario a Strasburgo e a Bruxelles, cioè sia nel Parlamento che nel Consiglio. E' così impensabile che sull'altro lato dello schieramento politico, quello di centrosinistra, prenda le mosse un processo politico diverso ma speculare, che porti nel tempo che sarà necessario ad una Casa comune, se non subito a livello di partito, quanto meno di gruppo parlamentare europeo, delle forze di centrosinistra? E non dovrebbe essere l'europeismo "forte", mi si passi il termine sbrigativo, uno dei tratti politico-programmatici salienti di questa nuova aggregazione?

Qui entra in scena il problema italiano. In Italia quel processo di aggiornamento, apertura, contaminazione del socialismo, che ha caratterizzato i principali paesi europei, non c'è stato. Per la semplice ragione che non c'è mai stata, in Italia, una forza socialista paragonabile, per dimensioni e ruolo politico, al Labour o alla Spd. La storia della sinistra italiana è diversa, segnata dalla minorità dei partiti socialisti, dalla presenza del più grande partito comunista dell'Occidente e da una robusta tradizione, per mezzo secolo maggioritaria, del riformismo cattolico-democratico.

A quasi quindici anni dal crollo del Muro, dalla svolta di Occhetto, dalla fine del Psi e della Dc, il campo di forze che in tutti gli altri Paesi europei è occupato stabilmente da un grande partito socialista, in Italia vede la compresenza, la sovrapposizione, la competizione tra almeno tre forze politiche: i Ds, la Margherita, lo Sdi. Tre forze politiche che sono tutte e tre di "centrosinistra": difficile definire più "di sinistra" lo Sdi, che pure è certamente la forza più "socialista"; di "centrosinistra" e non "di sinistra" si definisce da tempo la maggioranza degli elettori dei Ds; e la Margherita, al contrario del Ppi, non è un partito "di centro", ma di nuovo "di centrosinistra".

Sia Ds che Margherita hanno al loro interno un nucleo riformista e una minoranza radicale. Sia Margherita che Sdi sono irriducibilmente insofferenti alla cosiddetta "tentazione egemonica" dei Ds, ai quali viene ancora imputata la natura di partito "ex-comunista". Una situazione che non è tra le ragioni meno importanti della fragilità della coalizione di centrosinistra. Come ama ricordare Fassino, in tutta Europa il bipolarismo è pluripartitico. Ma in tutta Europa le coalizioni poggiano su una forza politica "a vocazione maggioritaria". E in nessun Paese europeo il centrosinistra è così frammentato.

Frammentato nei suoi assetti, ma non disomogeneo sul piano programmatico: in particolare tra Ds, Margherita e Sdi, e in particolare sui temi del futuro dell'Europa, tra queste forze politiche c'è una sostanziale identità di vedute. Una lista comune alle europee non sarebbe quindi un'operazione a tavolino, ma il frutto di una convergenza vera sul terreno programmatico e una spinta forte a rilanciare l'iniziativa per la costruzione, anche in Italia, di una grande forza riformista "a vocazione maggioritaria".

Se poi questo fatto nuovo, l'unità dei riformisti italiani, riuscisse anche a rappresentare l'elemento catalizzatore di un più ampio processo di aggregazione dei riformisti in Europa, oltre i confini del Pse, sarebbe un risultato straordinario. Qualche segnale positivo, in questa direzione, sembra si cominci a vedere, come è emerso dalla recente riunione a Bologna del gruppo Pse al Parlamento di Strasburgo. Se sono rose (è proprio il caso di dirlo) fioriranno. Meglio immaginare un futuro plurale e vincente del centrosinistra, in Italia e in Europa, che una discussione tutta minoritaria sulle ortodossie socialiste.

Su questo tema il dibattito è aperto. EL è a disposizione per quanti volessero intervenire sullo stesso argomento. (n.d.r.)

Sabato, 25. Ottobre 2003
 

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