Maternità e lavoro nel torinese: le ombre di un miracolo

L'Istat accredita, in questo territorio, un sorprendente 65% di occupazione tra le donne che hanno un figlio con meno di cinque anni. Un dato che sembra in contrasto con l'esperienza diretta del sindacato, che osserva svariati casi di discriminazione della maternità, specie tra le lavoratrici precarie
Mentre nel nostro paese cresce a vario titolo e talvolta eccede il dibattito politico sulla famiglia, dalla fine di gennaio siamo entrati ufficialmente nell'anno europeo delle "pari opportunità".

La Finanziaria 2007, recentemente approvata, contiene alcuni provvedimenti normativi ed economici in materia di assegni per il nucleo familiare; detrazioni fiscali per carichi di famiglia; conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; riscatto del periodo di interruzione del lavoro per motivi di famiglia; estensione alle collaboratrici della tutela relativa alla maternità. Si tratta di importanti misure la cui portata pratica in favore dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro famiglie deve ancora essere concretamente percepita.

Nel nostro territorio ogni donna ha mediamente 1,1 figli, al di sotto della media nazionale e continentale. Mentre in base ad una elaborazione statistica dell'ISTAT le madri che hanno un figlio di età fino a 5 anni e sono occupate sarebbero il 65% (La Stampa 2/2/2007 - B. Berta: "Il primato delle donne al lavoro"). Un dato da gridare al miracolo che ci pone sul piano sociale ai vertici europei.

Eppure chi è chiamato, come il sindacato, ad operare nella tutela del pianeta delle lavoratrici madri, non può che rimanerne stupito, al punto da interrogarsi se non siamo come di fronte alla luna, di cui si può scrutare la faccia visibile  e illuminata e non se ne vede l'altra buia e nascosta.

Certamente concorrono a spiegare questa positività diversi elementi: lo spirito di sacrificio e le tradizionali capacità logistiche e di ingegneria del tempo quotidiano delle mamme; il crescente contributo nella cura dei bambini di nonni in salute e padri un po' più disponibili; il ricorso al baby sitting; una maggiore disponibilità di posti nei nidi e nelle materne pubbliche e private.

Ciò detto dal nostro punto di osservazione constatiamo invece l'esistenza di aziende che rifiutano l'accoglimento del part-time per esigenze familiari; di altre che impongono alle lavoratrici di spezzare le due ore di allattamento durante il giorno; di lavoratrici che non guadagnano abbastanza per potersi pagare il nido o la baby sitter e rinunciano al lavoro; di lavoratrici con contratto temporaneo a cui non viene rinnovato il contratto, una volta emerso lo stato di gravidanza; di lavoratrici a cui all'atto della assunzione viene chiesto di assicurare che non intendono diventare madri; di lavoratrici licenziate durante il periodo di maternità.

Ci si dirà che si tratta di episodi minoritari e marginali; ma  crediamo sia lecito pensare che esistono casi che rimangono  nell'ombra o non vengono del tutto alla luce.
Ci chiediamo quindi se fra le molteplici ragioni oggettive della scarsa fecondità nel nostro territorio siano da annoverare non solo la mancanza di adeguate ed organiche politiche familiari e di sostegno alla natalità, ma pure, talvolta, un clima e una cultura ostile alla maternità, che aleggia nei luoghi di lavoro.

Lungi da noi affermare apoditticamente che stiamo riferendoci alla generalità delle imprese, degli imprenditori, dei manager; però, dove la precarietà del rapporto di lavoro la fa da padrona; la prestazione è flessibile ma l'organizzazione è rigida; il legame fra lavoratrice e luogo di lavoro è debole e sottomesso; dove il sindacato viene tenuto fuori e lo Stato è assente dal sorvegliare e controllare, ciò è più probabile che si manifesti.

Non c'è bisogno di altre norme o di nuovi diritti e tutele; quelle che ci sono basterebbero; alcune andrebbero sicuramente ancora migliorate, come sul part-time, sui congedi parentali, in materia di ammortizzatori sociali; altre andrebbero sistematizzate e pianificate meglio come i benefici fiscali e di welfare sociale nazionali e locali.

Quello di cui si ha veramente bisogno è di una disponibilità all'innovazione, di una duttilità gestionale e nei comportamenti, all'insegna di una responsabilità sociale di tutti gli attori economici privati, delle strutture pubbliche, dello stesso sindacato attraverso la contrattazione e negoziazione collettiva, che rendano realmente esigibili le facilitazioni già previste per le lavoratrici madri, tanto più se capofamiglia. Anche perché, come si sa, i miracoli sono eventi eccezionali e non durano a lungo soprattutto in una comunità, come quella torinese,  che sta invecchiando molto e si sta riproducendo poco e per farlo pare avere bisogno di madri che lavorano.
(Nanni Tosco è Segretario Generale della CISL di Torino)
Mercoledì, 28. Febbraio 2007
 

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