Ma così si eludono i problemi reali

Il referendum è una mossa ideologica che ostacola un vero dibattito ancorato alla realtà
Siamo ormai prossimi all’appuntamento referendario del 15-16 Giugno. Le posizioni in campo sono ormai abbastanza chiare. E’ stato da più parti osservato che il referendum sull’art. 18 avrebbe diviso, al di là degli intendimenti dei singoli promotori, il sindacato e i partiti. Un fatto che puntualmente si è determinato e che non era difficile prevedere. Del resto l’impostazione, poco di merito, ma molto ideologica che ha caratterizzato l’azione prima del governo sull’art.18 e poi di chi gli ha contrapposto il referendum non poteva creare le condizioni per un dibattito argomentato e soprattutto ancorato alla realtà. Un dibattito tutto teso a misurare il grado o meno di flessibilità del nostro sistema economico e del mercato del lavoro, non capace invece di affrontare i problemi reali che gravano sulla nostra economia e che ne frenano lo sviluppo. Mi riferisco al divario ancora presente tra nord e sud, all’ ineguale distribuzione del reddito, all’eccessiva segmentazione del mercato del lavoro italiano, all’assenza di una politica industriale degna di questo nome, alla mancanza di risorse investite in ricerca ed innovazione ed infine alla rigidità delle infrastrutture e dei sistemi formativi. Problemi altri rispetto all’art.18 e che purtroppo non hanno trovato lo spazio adeguato nell’agenda politica e sociale e che, se affrontati, invece, avrebbero cominciato ad avviare a soluzione i problemi endemici di un sistema produttivo come quello italiano, che soffre di nanismo industriale. Pur tuttavia, nel quadro mediocre offerto dal dibattito economico e sociale, l’impostazione che ha teso dare la CGIL è stata improntata a due chiari elementi: il no a qualsiasi modifica sull’art.18; l’esigenza della predisposizione di una soluzione legislativa che determinasse le condizioni per l’estensione modulata delle tutele e dei diritti a coloro che oggi ne sono privi (non solo i lavoratori nelle imprese sotto i 15 dipendenti ma anche i cosiddetti lavoratori atipici. In questo quadro, sono state raccolte oltre cinque milioni di firme a supporto delle leggi di iniziativa popolare. La proposta avanzata dalla CGIL non prevede una estensione meccanica della legge 300, relativamente all’art. 18. E’ proprio partendo da queste considerazioni che appare del tutto incoerente e sbagliata una campagna per il SI'. Incoerente perché non corrisponde, per quanto mi riguarda, alle opzioni politico-sindacali sin qui messe in campo. Sbagliata, perché il nostro sistema economico-produttivo non ha assolutamente bisogno di uno scontro ideologico, ma di una pratica politica che sia in grado di creare un rapporto armonico tra crescita del sistema delle imprese ed estensione delle tutele e dei diritti. Queste sono le ragioni che mi portano a dire che il referendum è sbagliato, perché non risolve le questioni in campo e perciò andrebbe posto nelle condizioni di non ipotecare il futuro. Il nostro paese ha la necessità di un nuovo quadro legislativo, in grado di favorire sviluppo e diritti. Occorre che tutte le forze riformiste lavorino per questo obbiettivo. Antonio Panzeri è segretario della Camera del Lavoro di Milano.
Mercoledì, 4. Giugno 2003
 

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