L'uovo di Colombo per la previdenza

Esiste un sistema molto migliore del conferimento del Tfr ai Fondi pensione per migliorare le pensioni future, che con le attuali norme saranno insufficienti. Permettendo ai lavoratori di aumentare i contributi all'Inps si otterrebbe tra l'altro un miglioramento dei conti pubblici dell'1% del Pil per tutto il prossimo decennio
Dopo le riforme degli anni '90, che molto hanno tenuto conto anche dell'invecchiamento demografico, ci stiamo avviando verso una situazione di generalizzata insufficienza della copertura pensionistica: andando in pensione a 60 anni con 35 di anzianità, i lavoratori parasubordinati matureranno una copertura pari a meno del 30% dell'ultima retribuzione, mentre anche i lavoratori dipendenti non arriveranno al 50%.

Equivocando tra le problematiche economiche di breve e di lungo periodo connesse all'invecchiamento demografico e semplificando i suoi molteplici effetti sul sistema produttivo e su quello finanziario, c'è chi ritiene che per migliorare l'equilibrio previdenziale sia necessario aumentare subito l'età di pensionamento; tuttavia, in presenza degli attuali bassi tassi di occupazione - tra i minori nei paesi sviluppati - forzare il prolungamento dell'attività di chi vorrebbe smettere, equivale - oggi - a precludere l'impiego dei giovani che invece vorrebbero lavorare.

Il risultato nell'immediato sarebbe di ostacolare ulteriormente il ringiovanimento degli occupati, la crescita della produttività, il rinnovamento del sistema produttivo e, dunque, la possibilità di avviare un aumento duraturo e socialmente equilibrato della crescita.

Nella pubblica amministrazione, invece, molti - spesso gli stessi commentatori - sostengono l'opportunità contraria di anticipare l'età di pensionamento e i più rigoristi optano per il licenziamento mediante decimazione.
 
Un'altra posizione presente tra le forze di governo, la cui razionalità economica è scarsamente comprensibile, è quella di chi continua a pensare che la preoccupante inadeguatezza del nostro sistema pensionistico possa essere risolta puntando sulla previdenza a capitalizzazione, ovvero trasferendo tutto o buona parte del Tfr ai Fondi privati, la cui funzione diventerebbe sostitutiva e non complementare rispetto al sistema pubblico.

Questa scelta, tanto per cominciare, determinerebbe un sensibile aggravio per il bilancio pubblico che arriverebbe fino allo 0,3% del Pil. La copertura pensionistica diventerebbe meno sicura; anche il reddito della vecchiaia verrebbe legato agli altalenanti rendimenti borsistici. Pensando alle più complessive esigenze di rinnovamento del nostro sistema economico è importante tener conto che, dal punto di vista finanziario, il trasferimento di tutto il Tfr ai Fondi privati determinerebbe il dirottamento all'estero  di una consistente quota del risparmio nazionale, che in 5-6 anni arriverebbe a circa 100 miliardi di euro. Già oggi i Fondi pensione, che pure gestiscono risorse dieci volte più piccole, solo per il 2,3% le investono in titoli azionari nazionali poiché le nostre piccole imprese hanno difficoltà a quotarsi in Borsa. Ben il 77% di quel risparmio previdenziale viene investito all'estero dove si finanziano i nostri concorrenti.
 
Se non si è abbagliati da pregiudiziali ideologiche contro la previdenza pubblica, è proprio a questa che si deve far ricorso se si vuole risollevare nel modo più sicuro la bassa copertura pensionistica che si prospetta con il sistema attuale; e lo si può fare attuando una proposta già presente nel Programma dell'Unione, una proposta che avrebbe il grande pregio aggiuntivo di contribuire a migliorare, e non a peggiorare il nostro bilancio pubblico, generando e non assorbendo risorse per il finanziamento delle politiche di sviluppo.

Il provvedimento consiste nell'introdurre la facoltà per i singoli lavoratori di aumentare la loro contribuzione al più affidabile sistema pubblico. Attualmente i lavoratori dipendenti, contando sugli accantonamenti per il TFR e sull'apporto delle imprese, dispongono di risorse da versare ai Fondi privati pari a quasi il 10% del costo del lavoro. Tuttavia, non possono impiegare queste disponibilità, nemmeno parzialmente, per aumentare la propria posizione contributiva e la corrispondente pensione maturata presso il sistema pubblico. E' una discriminazione assurda, penalizzante per i lavoratori e controproducente per l'economia.

Simulazioni svolte nel Rapporto sullo stato sociale 2006 (ed. Utet) indicano che se la libertà di scelta desse luogo ad una contribuzione aggiuntiva del 5 % (e ne rimarrebbero altrettanti da distribuire tra il finanziamento del TFR e dei Fondi privati), le pensioni salirebbero dal 48% al 64% dell'ultima retribuzione, andando in pensione a 60 anni con 35 di contributi, e dal 64% al 74%, ritirandosi a 65 anni con 40 di contributi. Le prestazioni nette migliorerebbero ulteriormente se il loro trattamento fiscale fosse simile a quello immotivatamente più di favore attualmente riservato alla previdenza complementare.

In aggiunta al consistente aumento della copertura pensionistica, le maggiori entrate contributive migliorerebbero il bilancio pubblico di circa l'1% dei Pil per tutto il prossimo decennio.

Si tratta di una proposta tanto semplice quanto efficace, quasi l'uovo di Colombo; ma non è detto che riuscirà a trovare lo spazio adeguato nel complesso equilibrio delle visioni economiche e degli interessi che premono sulla Finanziaria.

Il provvedimento, per i suoi effetti strutturali e immediati sul bilancio, potrebbe essere inserito nella Legge finanziaria, anche se - contemporaneamente - va sostenuto il rinvio di altri eventuali interventi in materia previdenziale ad un disegno di legge sul quale avviare il dibattito nella maggioranza e con le parti sociali.

Il governo ha di fronte problemi, specialmente quelli economici, obbiettivamente complessi; la sua azione, finora, ha manifestato segni d'incertezza che riflettono anche il non ancora definito assestamento degli equilibri tra le forze politiche che lo sostengono. Questa instabilità, da un lato, ostacola l'esigenza d'interventi omogenei in tempi rapidi; d'altro lato, lascia ancora aperta alle forze della sinistra la possibilità d'incidere maggiormente sulle scelte. Un coordinamento delle loro rappresentanze parlamentari e al governo - che dovrebbero dotarsi di una corrispondente struttura tecnica per operare efficacemente anche nella fase della concertazione interministeriale - sarebbe un passo estremamente utile per ribaltare la condizione di marginalità relativa che attualmente limita la capacità d'azione di ciascuna di esse singolarmente presa.
Domenica, 8. Ottobre 2006
 

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