L'orologio che vale una vita

L'edizione russa di "Newsweek" ha pubblicato un'inchiesta, ripresa dalla "Pravda" on line in inglese, sugli orologi dei potenti: il più prezioso lo possiede il nostro presidente del Consiglio

La città di Ginevra, nel corso della sua storia, è sempre stata un luogo importante per
lo scambio di idee e merci. A ben vedere, questa vocazione è solo in apparenza
duplice, perché nei bei palazzi che si affacciano sul lago Lemano si è in prevalenza
dato vita a un pensiero scientifico e politico, un sapere orientato allo sviluppo
economico. L'arte non è quasi mai stata la benvenuta a Ginevra, basti ricordare la
messa al bando della musica, avvenuta nella seconda metà del '500 ad opera di
Calvino: l'unica forma lecita di canto erano i Salmi, da intonarsi con voce grave. In
tempi più recenti alcuni filantropi hanno fatto nascere qui la Croce Rossa, ma è
altrettanto vero che la città ospita la sede del WTO, l'Organizzazione Mondiale del
Commercio.

Non vi è dubbio che Ginevra rappresenta, per le innumerevoli storie di
successo che la abitano, un luogo simbolo della cultura d'impresa, un mito a cui
riferirsi quando si parla di denaro e del suo accrescimento. Tra le tante success stories
una è degna di menzione, non tanto per pubblicizzarla ma perché è pertinente a questo
articolo. Si tratta dell'avventura iniziata nel 1755 da Jean-Marc Vacheron che,
esattamente duecentocinquanta anni orsono, iniziò a produrre orologi di pregio. Oggi
la ditta Vacheron Constantin è, nel suo comparto, la più antica al mondo e attira una
clientela composta da magnati, banchieri, sceicchi e politici. Le ragioni del successo
dell'azienda vanno ricercate non solo nella reputazione che godono i suoi orologi, ma
anche nelle sensazioni che evocano in chi li indossa: aver raggiunto il vertice,
appartenere ad un'élite.

Questa tesi è avvalorata da un articolo comparso nell'edizione russa di Newsweek e
ripreso dal quotidiano moscovita Pravda nella sua versione online in inglese.
L'articolo riferisce sulle preferenze in tema di orologi di alcuni nomi di spicco della
politica. Accanto a Putin e Bush figura anche il presidente del Consiglio italiano: così
scopriamo che quest'ultimo esibisce l'orologio più costoso tra i politici oggetto
dell'inchiesta, un Vacheron Constantin del valore esorbitante di 540.000 $, circa
413.000 euro.

La notizia non è tra quelle che passano inosservate senza lasciare traccia nel lettore.
Superato un primo momento di stupore, in cui ci si chiede se la cifra è reale o frutto di
un refuso, emergono alcune considerazioni. Iniziamo col definire un comportamento
lecito: qualsiasi anonimo miliardario può recarsi a Ginevra e spendere ingenti somme
in oggetti di lusso, se ciò rientra nelle sue disponibilità. Si tratta di un fatto inerente
alla sfera privata, ognuno è libero di sperperare il proprio denaro come meglio crede,
ma che dire se il miliardario in questione perde il suo anonimato, se una luce
d'improvviso gli illumina il volto e ne svela l'identità? A questo punto i passanti lo
riconoscono, il suo nome passa di bocca in bocca: quell'uomo ricopre un'alta carica
istituzionale, dovrebbe occuparsi della res publica, del bene della collettività,
dovrebbe garantire giustizia ed equità. Dice la gente: non ci piace vedere un premier
che mostra poco rispetto per chi fatica ad arrivare alla fine del mese, ogni
ostentazione sfrontata di ricchezza è per noi come un insulto.

Nel nostro paese molte persone possono, a pieno titolo, ripetere queste parole. Ad
esempio, non avrebbero alcuna difficoltà a farlo coloro che nel 2004 hanno contratto
debiti per 40 miliardi di euro, una cifra superiore del 14% rispetto ai crediti al
consumo erogati l'anno prima. Anche quelli in cerca di un'occupazione, l'8,6% della
popolazione attiva, fanno fatica a concepire un orologio che vale come un'intera vita
di lavoro.

Se non fosse un altro discorso, verrebbe voglia di liquidare questo fastidioso oggetto
come avviene nel film Easy Rider: Peter Fonda, prima di partire per un viaggio lungo
le strade d'America, si sfila l'orologio dal polso e lo getta nella polvere. Ma, lo ripeto,
questo è un altro discorso.

 

Mercoledì, 2. Marzo 2005
 

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