L'insostenibile leggerezza del Wto

Il nulla di fatto del vertice di Hong Kong conferma la crisi di questo organismo. Ma le forze progressiste dovrebbero capire che la sua scomparsa faciliterebbe ancora di più il gioco di pochi paesi forti
L'attesa conferenza dei ministri dei paesi aderenti al Wto si è tenuta a Hong Kong dal 13 al 18 dicembre: si trattava della sesta riunione di questo tipo, coordinata dal nuovo direttore dell'organizzazione, il francese Pascal Lamy,  che ha assunto la funzione solo tre mesi prima dell'apertura della conferenza.
 
La conferenza ha preso le mosse da un progetto di risoluzione messo a punto nell'ultima riunione preparatoria tenutasi a Ginevra a inizio dicembre. Presentando tale testo, più ricco di problemi che si soluzioni, Lamy ha premesso due considerazioni:
- di non disporre, anche se in questo caso sarebbe stato più che utile indispensabile, di alcuna bacchetta magica;
- che i problemi che il progetto di risoluzione mette a fuoco sono molti, complessi e per lo più senza risposte al momento condivise, ma il termine fissato per il Doha round è la fine del 2006, ciò che lascia ancora un anno di lavoro.

Ha poi concluso con due indicazioni immaginifiche:
- un proverbio cinese: "Se uno non si avventura nella tana della tigre non riuscirà mai a catturarla", a commento delle difficoltà, largamente condivise nel mondo, di immaginare una qualunque conclusione positiva della conferenza, il cui fallimento tuttavia comporta un  ulteriore e forse definitivo decadimento dell'immagine del WTO;
- un confronto tra i bilanci per il 2006 del WTO - 140 milioni di dollari - e della FIFA (la federazione internazionale del calcio) - 700 milioni di dollari - a commento del divario tra l'importanza degli obiettivi del WTO e la modestia dei mezzi disponibili per realizzarli.
 
In effetti esiste ormai un divario tra l'ambizione attribuita dalla stampa internazionale al WTO di poter agire quale punta strategica del sistema delle istituzioni internazionali e la pochezza non solo dei mezzi, ma soprattutto delle volontà degli interlocutori forti presenti sul mercato mondiale, di prendere sul serio quanto si  discute e soprattutto si realizza nell'ambito delle sue iniziative. E infatti la conferenza si è conclusa nel nulla; un nulla tuttavia carico di pericoli, poiché rimette alla struttura operativa del WTO, e non più ai suoi soci/azionisti, il compito di sciogliere i nodi che sono entrati aggrovigliati nella riunione di Hong Kong e ne sono usciti com'erano entrati, con la sola opzione di fiducia "date tempo al tempo". Che cosa saranno capaci di architettare, in articulo mortis, i dirigenti del WTO che in tutta evidenza rispondono al richiamo di una quindicina di paesi forti piuttosto che agli oltre cento paesi membri, piccoli, deboli, marginali? 
 
Per afferrare le dimensioni dello scacco subito dal WTO a Hong Kong basta mettere a fuoco una delle poche conclusioni che la conferenza ha raggiunto, in materia di sostegno all'agricoltura dei paesi "ricchi": un impegno, condito di se e ma, a cancellare i sostegni all'esportazione, solo all'esportazione (senza parlare dei sostegni alla produzione e dei dazi protettivi che i paesi ricchi mantengono e manterranno verso le importazioni di prodotti agricoli in provenienza dai paesi poveri), che i paesi ricchi erogano per invadere i mercati dei paesi più poveri, e ciò a partire dal 2013. Per capire il perché di una data così lontana occorre ricordare che solo qualche giorno prima la trattativa di Bruxelles sul bilancio prossimo dell'Unione Europea  si era conclusa rinviando a dopo il 2013 ogni decisione sul sostegno in atto delle produzioni agricole, che ingombra e blocca la parte principale della spesa dell'Unione Europea.
 
In realtà i paesi forti (in atto, o in prospettiva quali saranno o credono di poter essere Cina, India, Brasile, SudAfrica) da una parte magnificano a parole il ruolo del WTO nel raggiungimento di un obiettivo di liberalizzazione totale ed accelerata dei mercati (da alcuni sostenuta, da altri accettata con sofferenza) mediante accordi a carattere generale, dall'altra operano concretamente, mediante una fitta e crescente tessitura di accordi bilaterali e multilaterali e lo sviluppo di aree di libero scambio (Unione Europea, Nafta e Mercosur e in futuro mercato continentale delle americhe, zona di libero scambio Cina/Asean), nell'intento di realizzare blocchi politico/economici intorno ai quali stabilire un ordine (o disordine) mondiale che circoscriva e coordini intorno a paesi o  poli  forti,  paesi ed aree meno avanzate, disinnescando le loro potenzialità di protesta, anche sommessa.
 
Naturalmente l'obiettivo reale di queste due strategie, l'una a parole, l'altra nei fatti, va molto al di là della questione dei prodotti agricoli, ed attiene piuttosto alla liberalizzazione della circolazione dei prodotti industriali ed alla apertura della articolata e multiforme area dei servizi privati e pubblici, dei brevetti e della proprietà intellettuale.
 
Alla luce di questa ipotesi si capisce meglio come la dotazione di fondi del WTO sia inferiore a quella della FIFA, o perché, parallelamente, il Fondo monetario internazionale sia più largo di giudizi (non richiesti e non raramente sbagliati) sull'equilibrio socioeconomico delle singole nazioni che in  finanziamenti di riequilibrio, esilissimi prima ancora che connessi con condizioni capestro, o ancora perché la Banca mondiale abbia inaugurato una politica di microfinanziamenti in sostituzione di quelli - faraonici e quindi altrettanto dannosi - in grandi progetti infrastrutturali che la avevano caratterizzata nel passato.
 
Il gioco prosegue sui due tavoli in parallelo: sul tavolo delle istituzioni internazionali si parla molto e si spende poco; su quello delle intese bilaterali si spende di più (a livello del finanziamento degli investimenti) o si concede di più (a livello degli accordi del tipo "nazione più favorita"). Da qui la lesina sul finanziamento, ma perfino sulla credibilità delle istituzioni internazionali, che ormai sono sottoposte a commenti beffardi ai quali partecipano, senza capire fino in fondo in quale gioco si trovino coinvolti, i vari movimenti antiglobal. E' indicativo che solo alcuni giorni prima della riunione di Hong Kong si siano svolte importanti riunioni riguardanti tre blocchi: nell'ordine la gita di Bush in Sudamerica per sponsorizzare la graduale apertura del Nafta (USA, Canada, Messico) ai paesi dell'America Latina; la riunione dei ministri dell'Unione europea riguardante i bilanci dell'Unione fino al 2013; il primo incontro Cina/Asean sul futuro di un blocco regionale del sudest asiatico.
 
Ormai tutti sembrano dimenticare l'origine delle Nazioni Unite e degli organismi internazionali di contorno, che furono creati alla fine di una guerra mondiale, distruttiva come mai prima,  nella prospettiva di generare un mondo libero e solidale. Tali istituzioni si sono senza dubbio nel tempo corrotte e da tempo non rispondono più al ruolo per il quale sono state originariamente create. E tuttavia la storica considerazione di Churchill sulle ragioni del primato della democrazia (non è perfetta, ma finora non si è trovato nulla di meglio), si attaglia a consigliare alla sinistra di non unirsi al coro del dileggio delle istituzioni democratiche internazionali, ma ad operare per un recupero delle loro funzionalità e onorabilità perdute.
 
E dunque, si può provare a non cadere nella provocazione che ci viene offerta quale specchietto per le allodole, che mentre badano allo specchietto sono impallinate morte da veri fucili? Si può smettere di sentirsi a disagio perché non eravamo a Hong Kong, e prima a Cancun, e prima a Vancouver e prima, o in futuro, chissà dove altro a rompere gli specchietti per allodole del WTO?
 
Quindi,  nel corso del 2006, sarà bene spendere del tempo per tenere d'occhio seriamente il WTO e cosa si escogiterà all'interno di questa struttura per evitarne la definitiva e ignominiosa rottamazione, ma anche per incoraggiare i possibili margini di recupero di un suo dignitoso ruolo sui mercati mondiali. Saranno tempi sempre meglio spesi di quelli che tanta parte della sinistra investe nel contestare una riunione assolutamente interlocutoria nei fatti, come non poteva non essere la riunione di Hong Kong. Il WTO infatti, anche se screditato, non è inoffensivo: se è vero che le istituzioni internazionali contano ormai come il due di coppe, nessuno dei potenti che le hanno gradualmente e consapevolmente spinte ai margini della "governance" del mondo, trascura di trarne occasionalmente vantaggi, anche se piccoli, similmente al miliardario, che, visto un euro negletto per terra, ci mette sopra una scarpa prima che un poveretto qualunque possa ghermirlo prima di lui.
 
Mercoledì, 21. Dicembre 2005
 

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