L'inaccettabile pretesa degli ordini professionali

Gli Ordini professionali tendono a costituirsi come un sindacato della categoria. Aldo Amoretti spiega come questo danneggi i cittadini

E’ comparso nelle scorse settimane su grandi giornali nazionali un avviso a pagamento
promosso dal Consiglio Nazionale Forense (sotto il simbolo della Repubblica Italiana e “Presso ministero della Giustizia”) contenente sollecitazioni a Governo, Parlamento e forze politiche “ad approvare in tempi rapidi” un progetto di riforma “così come unitariamente maturato in seno alla categoria forense” in una Assemblea del 17 ottobre che avrebbe riunito “L’Avvocatura italiana tutta”.

Va osservato in primo luogo che si tratta di un abuso insopportabile da parte del sistema degli Ordini professionali, che non possono costituirsi in sindacato della categoria.  La funzione degli ordini è caso mai fare il sindacato dei clienti. Cioè dettare norme deontologiche, sorvegliare il loro rispetto da parte degli iscritti, garantire alla clientela che sia adeguato il livello di competenze del professionista al quale ci si rivolge. La difesa degli interessi di categoria, più o meno fondati, va assunta da libere associazioni  finanziate con contributi volontari degli associati.

Nel merito delle rivendicazioni osservo:
- al punto 5)  si rivendica la “riserva professionale di consulenza legale”. Non si parla della difesa in Tribunale, ma della consulenza sicché non ci si potrebbe rivolgere a un giovane laureato in giurisprudenza neppure per ottenere un consiglio.
- al punto 6) la “legittimità dei minimi tariffari inderogabili”. Va ricordato che minimi inderogabili non ci sono neanche per “Cipputi” dal momento che non c’è l’erga omnes dei contratti collettivi di lavoro e quindi l’impresa non associata all’organizzazione imprenditoriale firmataria non è vincolata ad applicarli. Sicché non sarebbe possibile, per il cliente, negoziare l’onorario mentre rimane libero l’avvocato di chiedere per chiedere più della tariffa.
- “divieto del patto di quota lite”. La riforma Bersani  aveva previsto la possibilità di un patto preventivo secondo il quale “se si vince ti pago magari in proporzione alla entità della vittoria. Se si perde abbiamo perso tutti e due”. Mi pare un buon sistema che tra l’altro obbliga gli avvocati ad una più severa selezione delle cause da intentare e li sconsiglia dal perditempo.  Si vuole tornare all’obbligo secondo il quale “se perdiamo mi paghi lo stesso”.

Mi auguro che la politica sia capace di non farsi ricattare e che chi di dovere intervenga ad impedire lo snaturamento totale della funzione degli Ordini di modo che siano condotti a fare il loro mestiere e la smettano di fare il sindacato della categoria.

*Consigliere Cnel


 

Lunedì, 2. Novembre 2009
 

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