L'imposta di cittadinanza

Ci sono molti buoni motivi per ripristinare la tassazione della successione, del resto prevista nel programma del centro sinistra: anche se il gettito dovesse essere simbolico
"L'imposta di successione? Una ingenuità averla messa nel programma perché ci ha fatto perdere un sacco di voti". Così Romano Prodi in uno dei tanti interventi che animano le feste politiche di fine estate. Se questa è la concezione del ruolo che ha il potere impositivo e dell'uso che può farne la politica, non è superfluo richiamare qualche considerazione prima sulle funzioni del prelievo fiscale, quindi sulla connotazione politica che queste possono assumere.

Il sistema fiscale - questo lo sanno tutti - risponde all'esigenza di ottenere un gettito col quale finanziare la spesa pubblica. L'entità di questa spesa in rapporto al prodotto interno lordo, e dunque la pressione fiscale, è già una connotazione saliente della politica seguita da un governo dando la misura, sia pure in prima approssimazione, del livello di intervento svolto dalle istituzioni pubbliche sul sistema economico-sociale. Ma una connotazione ancor più qualificante della politica che un governo ed una maggioranza intendono perseguire è la distribuzione del prelievo. Il passaggio dal "quanto" al "come" può definire, infatti, la seconda funzione delle imposte, che è quella di indurre nel sistema economico in genere, e più specificamente nell'assetto socio-economico del Paese, le modificazioni che si ritengono necessarie per renderlo non solo più efficiente, ma anche più coerente con i principi ed i valori che la parte politica al governo intende affermare. Quelle modificazioni, c'è da aggiungere, che traducono in prassi operativa i progetti ed i programmi sui quali è stato chiesto ed ottenuto il consenso maggioritario del corpo elettorale. Se così non fosse, del resto, che in un sistema bipolare come il nostro la maggioranza dei consensi vada all'una o all'altra coalizione non avrebbe poi una sostanziale rilevanza.

Così stando le cose, è davvero singolare che il presidente del Consiglio consideri l'imposta sulle successioni e donazioni alla stregua di un prodotto da valutare in termini di marketing; e non lo è meno che altri esponenti autorevoli del centro-sinistra abbiano liquidato la questione con la sbrigativa argomentazione che il gettito di questa imposta (un miliardo di euro nella ipotesi del suo ripristino sui patrimoni più consistenti come definiti prima della totale esenzione voluta dal centro-destra nella passata legislatura) sarebbe talmente modesto da non poter costituire una priorità. Non può esservi dubbio che un miliardo, rispetto alla dimensione della spesa pubblica, o anche solo rispetto alla correzione da compiere sul disavanzo, sia ben poca cosa. Anzi, si potrebbe aggiungere, da questo punto di vista, che è una imposta facilmente aggirabile con molti espedienti difficilmente individuabili e perseguibili. Ma la finalità delle imposte, come si è detto, non è solo di generare gettito. E l'imposta di successione è proprio tra quelle che di altre finalità ne hanno, e tanto rilevanti da poter costituire reali elementi distintivi, e dunque anche priorità, per un governo di centro-sinistra che non si definisca tale solo perché contende il favore dell'elettorato ad una coalizione che si definisce di centro-destra. Sono finalità che attengono, infatti, il perseguimento di un assetto socio-economico più rispondente ai principi ed ai valori dei quali le forze più progressiste sono, o dovrebbero essere, le prime portatrici.

A sostegno di questo assunto possono bastare due considerazioni che riguardano il principio dell'egualitarismo ed il valore della cittadinanza. In nessun caso l'imposta di successione potrà mai essere sufficiente, da sola, a determinare il livellamento delle condizioni che dipendono dal grado di agiatezza dei genitori. E tuttavia dovrebbe essere avvertita l'importanza di una imposta che agisca, seppure di poco, magari solo emblematicamente e pedagogicamente, in questa direzione. Il suo senso non va considerato solo puntualmente, ossia in relazione ad una sola transizione ereditaria. Va considerato piuttosto nel tempo quando, sommandosi più imposte su più passaggi, il privilegio di essere nati da genitori con beni al sole e conti in banca si erode fino a disperdersi per lasciar campo a quanto le successive generazioni avranno saputo costruirsi. Per altro, ciò coincide con la natura umana, la quale rende massima per i figli una cura che poi scema man mano che il pensiero si rivolga ai propri discendenti di un futuro più lontano. 

La totale franchigia da questa imposta, al contrario, perpetua quel privilegio al quale, sempre considerandolo soprattutto su tempi lunghi, non può essere riconosciuto alcun carattere di equità.

C'è poi un aspetto più concreto da considerare a sostegno della utilità di questa imposta proprio sui patrimoni di maggiore consistenza. Sia pure in funzione della sua misura, l'imposta favorisce, spesso impone, la mobilità dei cespiti; e la mobilità della ricchezza - come si sa - è una condizione per la sua allocazione di tempo in tempo più produttiva ed efficiente. A questo proposito, merita una replica la tesi dell'ex ministro dell'Economia Tremonti il quale, argomentando contro la reintroduzione dell'imposta prevista dal programma del centro sinistra, ha sostenuto un suo potenziale dannoso soprattutto per le imprese che ne verrebbero colpite - ha detto - nella fase particolarmente delicata del loro passaggio generazionale.
 
Se così fosse davvero, l'argomentazione dell'ex ministro andrebbe del tutto rovesciata a favore della reintroduzione dell'imposta. Il passaggio generazionale, in un sistema come il nostro fatto prevalentemente da imprese troppo piccole e troppo dipendenti dalle vicende di una famiglia, può essere il momento nel quale sottrarre le imprese stesse da un futuro semplicemente inerziale, introducendo un fattore, l'imposta di successione appunto, che metta alla prova la volontà degli eredi di impegnarsi per mantenerla e svilupparla, e che in caso contrario ne induca la parziale o totale cessione.  Ben vengano, dunque, le difficoltà delle quali ha parlato Tremonti se dovessero valere a selezionare gli imprenditori, a favorire il conferimento delle aziende in complessi produttivi di maggiori dimensioni, o almeno la ricerca di soci il cui ingresso, determinando una maggiore articolazione della struttura proprietaria, possa allentare il legame che vincola la vita di troppe aziende alle vicende di una famiglia, al genere ed alle inclinazioni dei figli, all'accordo tra di loro, spesso precludendo prospettive di crescita anche nei casi in cui ne esistono i presupposti.

L'imposta di successione vale anche ad affermare il senso di cittadinanza e di appartenenza ad una comunità nazionale: altri valori, questi, verso i quali una politica di centro-sinistra dovrebbe distinguersi per nutrire qualche sensibilità in più. È senz'altro vero, infatti, che è una imposta soggettivamente invisa per il fatto che decurta la disponibilità di una proprietà particolarmente sentita perché frutto di capacità e di impegno profusi, talvolta con sacrificio, per realizzarla, accumularla, integrarla. Tutto questo è vero; in questi termini è vero, come ha detto Prodi, che fa perdere voti. Ma è anche vero, specie nel caso di proprietà formate o incrementate da chi ci ha lasciato o sta per lasciarci, che per accumulare quella poca o tanta ricchezza non sono bastati impegno, capacità, sacrificio, ma la combinazione di queste virtù con un ambiente che gli ha consentito di tramutarle in patrimonio ed agiatezza per sé e per i propri familiari.
 
Se quell'impegno, capacità e sacrificio fossero stati profusi in qualche Paese disgraziato, povero, arido, con ordinamenti incerti, per non dire di peggio, non avrebbero certo potuto produrre quanto hanno potuto, invece, in un Paese comunque sviluppato, ricco di opportunità, che impone imposte consistenti, certo, ma che ciò nondimeno consente anche, ad evidenza, di potersi costruire un patrimonio apprezzabile ed una vita agiata. L'imposta di successione, dunque, può avere il valore di un riconoscimento alle opportunità offerte da questo Paese e, dunque, alla attribuzione al Paese stesso, alla sua collettività nazionale, ai suoi pur discussi ordinamenti, di una parte del patrimonio da trasmettere da una generazione all'altra.
 
Basterebbe questa funzione per giustificare una imposta anche modesta che ricordasse a chi ha da trasmettere o da ricevere che forse le cose sarebbero andate diversamente se il destino avesse fatto nascere lui, i suoi ascendenti ed i suoi discendenti in qualcuna delle tante, tantissime, regioni disgraziate della terra. Considerandola in questi termini l'imposta di successione genererebbe sempre un gettito modesto, ma acquisterebbe un emblematico senso politico: farebbe sempre perdere voti, ma probabilmente altri, molti altri, potrebbe farne guadagnare ad una coalizione che, oltre a definirsi di centro-sinistra, voglia anche qualificare in questo senso la propria ragion d'essere e la propria iniziativa.
Venerdì, 15. Settembre 2006
 

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