L'illusione del nucleare

Uno studio di Greenpeace fa il punto sulla praticabilità di quella che viene indicata come una via fondamentale per la produzione di energia e la riduzione dell'inquinamento. Costi enormi, risultati modestissimi: ma soprattutto l'uranio si esaurirebbe ben prima del petrolio

Greenpeace ha tenuto il14 luglio una presentazione sulla questione nucleare. A parlare è stato soprattutto il responsabile delle campagne, Pippo Onufrio, che ha mostrato e suggerito una serie di immagini di cui riproduciamo alcune tra le più significative. I temi sono stati l’energia nucleare prodotta, le prospettive per quanto riguarda il minerale necessario alle centrali,  il costo dell’energia, la ricerca nucleare nell’ambito del riscaldamento globale. Come si può notare, nonostante la ben nota propensione antinucleare di Greenpeace, ogni atteggiamento riconducibile a una prevenzione antinucleare come la militarizzazione del territorio, o la trasmissione del debito nucleare sulle generazioni future, o la proliferazione  è rimasto fuori dal quadro.


 


Un primo punto è il falso sulla parte del nucleare nel mondo dell’energia. Il nucleare ha un ruolo molto minore di quanto non dica la pubblicità che lo sostiene. Una delle torte più note (quasi quanto la Sacher Torte) è quella che riguarda l’energia utilizzata nel pianeta. La torta presenta tre fette più grandi, quelle indicate come carbone, petrolio, gas naturale, osservando l’ordine di apparizione all’onore del mondo. Poi vi sono le fette minori, altre tre: nucleare, idroelettrico, rinnovabili. In termini di energia primaria totale la quota del nucleare è valutata nel 6,3% contro il 2,2% dell’idroelettrico. Questa classifica è sempre ripetuta e fa testo. Però la produzione globale del nucleare, nel 2005, è stata di 2,768 Twh mentre quella idroelettrica è stata di 2,994 Twh (vedi tabelle). Un po’ maggiore, in altre parole, quest’ultima. Come si spiega che il nucleare pesi in termini di fetta-di-torta tre volte tanto? E che abbia perciò il triplo di importanza nei recenti discorsi dei decisori politici generalisti? Il fatto è che mentre la potenza idroelettrica diventa interamente elettricità, quella nucleare diventa elettricità solo per un terzo, mentre il resto è calore che si disperde quasi per l’intero, osserva Greepeace, cioè non viene raccolto in alcun modo. Non vi è infatti l’uso di cogenerazione a partire dal nucleare. E  le conseguenze della dispersione di calore in eccesso della centrale nucleare  provocano anche la necessità di utilizzare grandi quantitativi di acqua per raffreddare il tutto. E l’acqua non basta mai.


 


Le risorse di uranio note sono pari a 3,3 milioni di tonnellate, in particolare in Australia e Canada; considerando le risorse stimate si arriva a un ordine di grandezza di 5,5 milioni. Il consumo per i 439 reattori in esercizio nel mondo è di 70 mila tonnellate  (2008). Ai livelli attuali di consumo, sono coperti 50 o 70 anni, comprendendo i ritrovamenti attesi. Se  i reattori raddoppiano, il tempo per l’esaurimento dell’uranio si dimezza. Se triplicano, come suggerisce l’Aie, indicando in 32 centrali da 1.000 Mw ogni anno il contributo che il nucleare potrebbe fornire alla riduzione globale del 50% dei gas serra, al termine del 2050,  la copertura si ridurrebbe a meno di 25 anni e quindi prima del fatidico 2050 non vi sarebbe più uranio da usare nelle centrali consegnate regolarmente dal costruttore, in numero di 32 all’anno. Sarebbe anche ampiamente esaurito, per quella data di mezzo secolo, anche l’uranio proveniente dagli arsenali militari in disuso e di cui oggi si fa un largo uso.


 


Tornando alle “mille centrali” da costruire, questa è anche l’idea suggerita da Silvio Berlusconi in sede G8, senza ottenere che raggiungesse l’onore del comunicato finale, anche per l’opposizione di Angela Merkel. La cancelliera tedesca ha ammesso di essere personalmente favorevole all’uso del nucleare per ridurre il riscaldamento globale, ma di dover sottostare alla volontà della sua coalizione che ha deciso la dismissione del nucleare civile in Germania. Berlusconi si è poi rifatto a Parigi alla conferenza sul Mediterraneo proponendo l’adunata dei consumatori di petrolio per ottenere dai produttori un prezzo più abbordabile, e minacciando l’uso massiccio del nucleare per portare l’Opec e gli altri a più miti consigli. Con che risultati, ancora non si sa. In ogni caso la marcia nucleare di Berlusconi era stata salutata dal famoso articolo del Wall Street Journal, filonucleare, così: “E’ improbabile che gli impianti nucleari promessi dal signor Berlusconi siano mai costruiti”.


 


Un altro grafico (vedi) rappresenta i nuovi impianti entrati in produzione elettrica (collegati alla rete) tra 1967 e 2006. Come si può vedere c’è una fase di salita che culmina con il 1984 e poi comincia una netta discesa quasi senza ripensamenti. Il declino non è riferibile agli incidenti né di Tree Mile Island né di Cernobyl, ma dallo scarto tra costi e ricavi previsti. Il costo principale è quello della costruzione dell’impianto, dei macchinari, degli schermi protettivi.


 


Per gli impianti nucleari servono aiuti di Stato, garanzie sui prezzi, sicurezza di monopolio. Il vero nemico sono le liberalizzazioni, come si è detto e ripetuto nel convegno dei radicali “Ritorno al nucleare. Conviene? Risolve?”. Le liberalizzazioni sono in forte contrasto con la produzione elettronucleare che ha invece bisogno del dirigismo il quale offre risorse ed elimina gli ostacoli, legali e ambientali. Se manca uno o più di questi elementi elencati prima, la scelta nucleare si fa assai più aleatoria. Chi ama i paradossi può dire che è stata Margaret Thatcher, spalleggiata da Ronald Reagan, a sconfiggere il nucleare. Negli Stati Uniti, ripete Greenpeace, è stata la liberalizzazione a bloccare gli investimenti in nuovi impianti nucleari da 30 anni.


 


In queste condizioni è molto difficile che si lanci un programma nucleare in Italia. Quattrini pubblici non ce ne sono. Se ci fossero, partirebbe subito da Bruxelles una procedura d’infrazione nei confronti del governo italiano. Basta ricordare il caso dell’Alitalia. D’altro canto l’Enel, braccio pubblico del settore elettrico in Italia, ha creduto di aggirare difficoltà e controlli investendo nel nucleare in Francia e in altri paesi, come la Slovacchia, nella speranza di ritrovare appoggio pubblico, garanzia sui prezzi, monopolio sicuro.


 


Il costo principale di un chilowatt nucleare è dato dall’impianto che conta per oltre i due terzi. Ma quanto costa una centrale nucleare? Greenpeace risponde che le valutazioni sono molto discordi: per 1.000 Mw si va da 2 miliardi di euro secondo la valutazione dell’Enel ai 3,5 della E.On, sua grande concorrente tedesca, ai 4,6 miliardi indicati da Moody’s che ha svolto uno studio in ambiente Usa, ai 5,2 miliardi di un altro conto di origine Usa, effettuato dalla compagnia elettrica Florida L&P. Si tratta di quattrini che possono essere recuperati solo con lunghe dilazioni e quindi la remunerazione degli azionisti è il punto debole; diverso il caso di garanzie pubbliche, come per l’impianto di Olkiluoto, in Finlandia, per il quale la copertura è data dai francesi e dagli svedesi, gli uni essendo interessati all’impianto e gli altri alla produzione elettrica. L’impianto ha sfondato i tempi di costruzione e i costi sono più che raddoppiati. Forse per ridurli almeno in parte si è lasciato andare dal punto di vista della sicurezza (vedi grafico) .


 


Avrebbe davvero un senso ambientale l’introduzione di un massiccio numero di centrali nucleari? Greenpeace ha fatto un conto all’ingrosso. Raddoppiando nel mondo intero i reattori entro il 2030 e mettendo in funzione  500.000 mw nuovi, i costi d’installazione sarebbero di 2.000 miliardi di euro. Si dovrebbe allacciare in rete un nuovo reattore ogni 2 settimane, con un dirigismo che neanche Stalin ai vecchi tempi. Il risultato non sarebbe eccezionale: le emissioni di Co2 si ridurrebbero del 3%. Altre vie, con spesa minore e più libertà, sarebbero certo percorribili, per ottenere tali risultati.


 


L’ultimo punto è quello che riguarda la ricerca. C’è consenso, anche tra gli antinuke, sul fatto che l’abbandono della ricerca è miserevole. Le cose sono un po’ diverse. Ma  la ricerca sulle rinnovabili e sull’efficienza, che sono le due vere risorse che ci rimangono, oltre al risparmio, ottengono insieme meno della metà delle risorse destinate al nucleare. Se il problema è quello del riscaldamento globale, adesso, la strada da seguire dovrebbe essere chiara a tutti.


 

Lunedì, 11. Agosto 2008
 

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