L'IG Metall guarda al futuro

“Il futuro ha bisogno di giustizia” è stato lo slogan del congresso dei metalmeccanici tedeschi. Una riflessione a tutto campo sui problemi dell'organizzazione e della contrattazione

È stato un congresso importante, quello che il sindacato dei metalmeccanici tedeschi ha svolto a Lipsia dal 4 al 10 novembre: un momento di rilancio, dopo una difficile fase di crisi.“Il futuro ha bisogno di giustizia” (Zukunft braucht Gerechtigkeit): uno slogan elementare, quello che del 21° congresso della IG Metall (Lipsia, 4-10 novembre 2007), proposto in modo disadorno, senza orpelli “creativi”.

 

Lipsia non è stata scelta a caso: per la sua storia peculiare, è quasi un luogo santo della storia e della cultura tedesche. Come ha ricordato Huber nel discorso di apertura del congresso, a Lipsia nel 1863 è nata la prima organizzazione sindacale, l’Allgemeiner Deutscher Arbeitervereins (Associazione generale dei lavoratori tedeschi) di Ferdinand Lassalle. E Lipsia è stata la città che ha dato il più forte impulso alla rivoluzione pacifica e democratica del 1989, che ha seppellito la Ddr e aperto le porte alla riunificazione. Dunque, un luogo propizio agli inizi e ai nuovi inizi.

 

Dalla crisi al rilancio

Il congresso si è presentato come un momento di ripresa e rilancio dell’organizzazione. La IG Metall esce da un periodo di grave crisi, che ha avuto il momento più acuto in corrispondenza del precedente congresso (Hannover, ottobre 2003).Innanzitutto una crisi di leadership. Dopo le dimissioni dell’allora presidente Klaus Zwickel, in seguito ai dissidi interni creati dalla fallita mobilitazione per estendere le 35 ore anche ai territori dell’ex Germania Est (dove l’orario contrattuale settimanale della categoria rimane a 38 ore), non c’era un successore designato. I candidati in campo erano due, Jürgen Peters (considerato della “vecchia guardia”, più legato alla tradizionale politica contrattuale centralista) e Bethold Huber (“delfino” di Zwickel, in fama di innovatore, “riformista” e sostenitore di una politica contrattuale più prossima al livello aziendale, più flessibile e differenziata). Al congresso di Hannover Peters e Huber si accordarono, accedendo il primo alla carica di primo presidente e il secondo a quella di vice.

 

Nei quattro anni intercorsi da Hannover a Lipsia è stata ricomposta la frattura interna, grazie al buon lavoro compiuto dal binomio Peters-Huber, malgrado le differenze tra i due. Il clima stesso del Congresso di Lipsia era disteso e positivo, e la votazione della nuova presidenza è stata eloquente: Huber ha ottenuto per la carica di primo presidente un consenso quasi bulgaro, il 92,6% dei voti; il suo vice Detlef Wetzel (fino ad allora capo della IG Metall dell’importante regione Renania Nord-Vestfalia) un ottimo 84,7%. Non si ricordava un consenso così ampio da 35 anni a questa parte (nel precedente congresso i consensi a Peters e Huber erano andati poco oltre il 60%). Oltre tutto, anche Wetzel è considerato molto omogeneo a Huber, uomo con i piedi per terra e gran contrattualista. Si tratta in ogni caso di una leadership più omogenea, lanciata su un corso di rilancio e innovazione.

 

C’è poi la crisi organizzativa. Il ritmo con cui la IG Metall perdeva iscritti diventava preoccupante, le nuove entrate su base annuale erano giunte al minimo storico, mentre le uscite mostravano un trend crescente. Anche oggi la situazione resta difficile, e la IG Metall non se lo nasconde, fornendo cifre impietose nel Rapporto sugli ultimi quattro anni consegnato al congresso. Alla vigilia del congresso la IG Metall è attestata attorno ai 2.300.000 iscritti (erano poco più di 2.600.000 all’epoca del congresso di Hannover). Si tenga presente che oggi sotto la sigla IG Metall sono organizzati anche i lavoratori del tessile, del legno e della plastica, dell’industria dell’informazione e della comunicazione, rimanendo comunque di gran lunga preponderante la componente tradizionale metalmeccanica.

 

In particolare desta preoccupazione la flessione costante del tasso di sindacalizzazione, dal 30,3% del 2003 al 28,6% del 2006. E ancor più preoccupante è la struttura tradizionale di questa sindacalizzazione, assai più elevata tra operai delle grandi fabbriche, specializzati, maschi, anziani, mentre è più bassa tra i giovani, le donne e gli impiegati. “Ciò è un indizio – è scritto nel Rapporto – che la IG Metall non è finora riuscita a rispecchiare sufficientemente nei suoi iscritti la mutata struttura dell’occupazione”. Di qui l’urgenza di lavorare prioritariamente su questi “gruppi-obiettivo”.

 

Negli ultimi tempi tuttavia si notano anche i segni di un’inversione di tendenza nella dinamica degli iscritti. Quest’anno, fino novembre, su contano 83.000 nuove adesioni, 9.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2006 e ben 20.000 in più rispetto al 2004. Le uscite, invece, sono 7.000 in meno rispetto all’anno scorso. Questa riduzione della forbice tra entrate e uscite è in corso già da un paio di anni. Molto del merito di questa tendenza positiva viene ascritto proprio al lavoro di Huber, che aveva concentrato nel suo raggio di competenza tutto ciò che attiene alle politiche organizzative, iniettando forti dosi di modernizzazione. Certo, non siamo ancora a un saldo positivo, ma si è sulla buona strada.

 

Infine, la IG Metall si è presentata a Lipsia con un buon bilancio sul piano contrattuale: l’ultimo contratto, di quest’anno, ha portato nelle tasche dei lavoratori aumenti superiori al 4%. Inoltre ha ben funzionato il tanto discusso accordo di Pforzheim, di cui diremo qualcosa più avanti. Insomma, come è stato più volte ripetuto al congresso (e come è stata percepita dai media, che hanno seguito con grande attenzione l’evento), la IG Metall è “in piedi” e pronta a dare del filo da torcere agli imprenditori nelle prossime vertenze. Tant’è vero che Huber ha assicurato che al prossimo rinnovo contrattuale la IG Metall non si accontenterà di aumenti in linea con l’inflazione, perché è giusto che i lavoratori partecipino anche dei buoni risultati ottenuti dalle aziende grazie alla prestazione dei loro dipendenti.

 

Politica contrattuale e organizzazione

Lo spettro dei temi affrontati dal congresso è smisurato, globale. Ci limiteremo a evidenziare quello che ci è apparso il messaggio centrale del congresso, cogliendo alcuni punti dal lungo “discorso sul futuro” (un’ora e mezza abbondante) tenuto da Huber a metà congresso: vera e propria piattaforma d’azione per i prossimi quattro anni, interrotta da frequenti applausi e salutata da una ovazione finale.

 

Un concetto chiave è: riorientare le politica contrattuale verso l’azienda. Se il futuro ha bisogno di giustizia, “la giustizia ha bisogno di sindacati forti”. Ora, la IG Metall “ha la sua base nelle aziende”. Deve perciò “sviluppare la sua politica contrattuale e aziendale in modo competente, sì da conquistare iscritti e farli partecipare. Solo con questa premessa potrà essere vincente nel confronto politico e sociale”.Tocca prendere atto che “negli ultimi dieci anni il carattere vincolante del contratto d’area (traduciamo così la parola Flächentarifvertrag, la cui funzione corrisponde grosso modo a quella del nostro contratto nazionale) ha perso progressivamente di vigore”. Stando ai dati offerti dalla stessa IG Metall, negli ultimi dieci anni la quota di occupati del settore metalmeccanico coperta dalla contrattazione d’area è scesa dal 74 al 62% a Ovest, dal 50 al 25% a Est. Nel frattempo si sono moltiplicati gli accordi a livello di impresa, fino a coprire il 9% degli occupati a Ovest e il 16% a Est.

 

Ora, anche per restituire vigore al contratto d’area, “abbiamo bisogno di una IG Metall efficacemente attiva nelle aziende e, dunque, di una politica contrattuale più prossima al livello aziendale”. Perché è qui che incontriamo gli iscritti (Huber, come del resto è costume nel sindacato tedesco, non parla genericamente di “lavoratori”), e solo con il loro consenso e la loro partecipazione è possibile condurre un’efficace politica contrattuale. “I nostri iscritti si impegnano per il contratto d’area nella misura in cui esso regola condizioni che li coinvolgono. Per questo, insieme alle questioni di salario, introduciamo sempre più temi qualitativi”. La funzione del contratto d’area non deve essere comunque messa in discussione. I delegati, nel dibattito sulla risoluzione relativa alla contrattazione, hanno insistito su questo punto, ma al contempo riconoscendo la necessità sottolineata da Huber di una maggiore concentrazione sul lavoro sindacale a livello di azienda, per l’innovazione e la preservazione dello stesso contratto d’area, sottoposto a continui attacchi dagli imprenditori e dalla destra politica.

 

L’altro concetto chiave è: differenziazione. Ancora Huber: “Dobbiamo rispecchiare nei nostri contratti le esigenze differenziate dei nostri iscritti e il cambiamento del lavoro. Il nostro mondo del lavoro è oggi differenziato in grado elevato. Le condizioni di lavoro e di prestazione alla catena di montaggio, da un lato, e nei reparti di ricerca e sviluppo, dall’altro, differiscono in maniera profonda. Operai in produzione, tecnici esperti, occupati nei servizi: tutti hanno bisogno di regolazioni contrattuali affidabili. Ma i bisogni e le attese che risultano dal loro lavoro sono assai differenti”.

 

Per tutto questo “dobbiamo coinvolgere i nostri iscritti! Parlare con loro, chiedere la loro opinione, per potere essere di nuovo e più fortemente visibili come IG Metall nelle questioni cruciali delle politiche sul tempo di lavoro e sulla prestazione. Con risposte differenziate e su misura!”

È questa la condizione per consolidare gli iscritti esistenti, recuperare quelli che se ne sono andati, conquistarne di nuovi: politica contrattuale e sviluppo organizzativo si tengono inscindibilmente insieme.L’insistenza sul proselitismo ha segnato profondamente il congresso. Quella degli è “questione decisiva, prioritaria. Ogni passo, ogni iniziativa deve essere guidata dalla domanda: quello che faccio, produce iscritti?” Ma attenzione, la domanda deve anche essere: “con quello che faccio, sono convincente anche per i giovani?” I tempi incalzano, dice Huber: ogni anno escono dal mondo del lavoro dai 40.000 ai 50.000 iscritti; di giovani iscritti ne entrano appena 20.000. “Tutto ciò è da correggere”. Dando, appunto, risposte convincenti, “su misura”, attrattive per le giovani generazioni.

 

Orario di lavoro e Pforzheim

Accenniamo ad altri due temi, molto dibattuti in assemblea, che hanno anche avuto notevole eco nell’opinione pubblica: l’orario di lavoro e l’accordo di Pforzheim.

 

Cominciamo dall’orario di lavoro. Ha fatto sensazione – e i media ci hanno speculato sopra parecchio – una battuta di Huber: “Le 35 ore non sono un ostensorio da portare in processione”, insomma come un simulacro sacro e intoccabile.

Abbandono delle 35 ore? Così ha titolato qualche giornale; e anche da sinistra – ad esempio nel quotidiano dei giovani della sinistra – la si è intesa così. Tant’è vero che Huber si è sentito di dover intervenire nel bel mezzo della discussione sugli emendamenti per precisare, o meglio per ripetere quello che aveva detto nel discorso: “Con le 35 ore la IG Metall ha posto una pietra miliare sulla via verso un tempo di lavoro a misura d’uomo. Non sono un ostensorio da portare in processione. Sono invece il risultato di un duro conflitto contrattuale e dobbiamo riconquistarlo ogni giorno”.

 

Ma bisogna “essere onesti”, guardare in faccia alla realtà. “Di fronte a un orario contrattuale di 35 ore settimanali, sta una media di 39,9 ore effettive”. Perciò, se vogliamo affrontare la questione dell’orario di lavoro in modo realistico ed efficace, occorre imboccare nuove strade. “Dobbiamo limitare il tempo di lavoro con maggiore rigore soprattutto là dove ogni minuto in più di tempo di lavoro è una imposizione. Per le attività con elevata dose di creatività dobbiamo pensare a nuove regolazioni del tempo di lavoro. Vediamo proprio nei settori a più elevata qualificazione che i nostri classici strumenti di regolazione spesso non incidono”. La questione del tempo di lavoro “possiamo risolverla solo con risposte differenziate. Perché le persone sono diverse nelle loro situazioni di lavoro e nei loro bisogni”. Uno strumento importante per soluzioni differenziate può essere quella delle “banche del tempo”, in particolare per le professionalità più elevate. Comunque le 35 ore rimangono come orario contrattuale di riferimento. Huber ritiene in ogni caso irrealistica una rivendicazione di una ulteriore riduzione fino a 32 ore, un’ipotesi a suo tempo affacciata da Klaus Zwickel.

 

Circa l’accordo di Pforzheim, il bilancio è positivo. Si ricorderà che a Pforzheim, località vicina a Stoccarda, nel febbraio del 2004 è stato firmato con gli imprenditori un accordo che stabiliva criteri rigorosi per eventuali deroghe al contratto d’area in casi precisi (crisi aziendali, investimenti importanti). Era il periodo nel quale si moltiplicavano le pressioni da parte delle aziende per aumenti del tempo di lavoro e/o riduzioni di salario (insomma, di riduzione del costo del lavoro) sotto il ricatto della delocalizzazione.

 

L’accordo fece sensazione e destò anche contrasti, perché si temeva un ridimensionamento, se non un liquidazione, del vigore normativo di quel cardine della contrattazione di categoria in Germania che è il contratto d’area. Nelle parole di Huber, come in buona parte degli interventi dei delegati, è apparsa chiara la convinzione di avere con quell’accordo dato una risposta efficace al ricatto aziendale. “Con Pforzheim nel 2004 – ha detto Huber – abbiamo imposto la nostra sovranità sulle deroghe al contratto d’area. Non è più possibile che avvenga come prima del 2004, quando spesso si verificavano deroghe di nascosto o senza il consenso della IG Metall”.

 

A quell’epoca era in pieno vigore la campagna condotta dagli imprenditori e dagli ambienti politici di centro-destra contro la supposta rigidità del contratto d’area e a favore di accordi chiamati eufemisticamente “patti aziendali”, in realtà un tentativo di smantellare il sistema di vincoli contrattuali e di sottrarre al sindacato la sovranità sulla regolazione dei rapporti di lavoro. “L’accordo di Pforzheim – è ancora Huber che parla – ha svolto un ruolo importante e positivo. È una risposta a situazioni diverse e a condizioni differenziate nelle aziende. Nelle attuali condizioni economiche il processo che prende nome da Pforzheim è al tempo stesso politica contrattuale e politica industriale attiva”.

 

Perché alle deroghe fanno riscontro importanti contropartite. “A fronte delle deroghe pretendiamo certezze sull’occupazione, progetti realizzabili per il futuro, garanzie di investimento e di innovazione, più posti di apprendistato. Abbiamo concordato investimenti nell’ordine di miliardi di Euro. E sono tutti investimenti sul futuro. Con ciò salvaguardiamo centinaia di migliaia di posti di lavoro. E poniamo anche le premesse per nuova occupazione”. Dunque, noi “non deviamo dalla nostra strada, ma conduciamo il confronto. Ci battiamo per soluzioni contrattuali che diano garanzia per l’occupazione e per il futuro. Ma attenzione: con la IG Metall e con ragionevoli progetti per il futuro. Con impegni vincolanti, e con il coinvolgimento di coloro dei quali qui si tratta: i nostri iscritti!”

 

Non è possibile, nell’ambito di questa nota, dare conto di tutti i temi del congresso, raggruppati in sette risoluzioni (politica sociale e politica sindacale generale; politica economica e del lavoro; politica contrattuale; politica sociale; politica economica e della codeterminazione (Mitbestimmung); politica organizzativa e proselitismo; formazione e qualificazione) e sui quali i delegati sono intervenuti durante la discussione di ben 550 emendamenti.Ricorderemo solo, perché significativa, l’enfasi posta da Huber, parlando delle politiche internazionali, sulla inderogabilità di una contrattazione effettiva a livello europeo. “Dobbiamo rafforzare al massimo la Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e la Confederazione europea dei sindacati (Ces). Abbiamo bisogno di una voce forte nei confronti della Commissione e del Parlamento europei. Dobbiamo portare avanti la nostra propria europeizzazione. Già oggi l’Europa è uno spazio contrattuale comune. Tutti gli accordi contrattuali incidono direttamente sulle parti sociali, direttamente sulle imprese dello stesso settore ben al di là dei confini nazionali. Una cosa è chiara: non ci dobbiamo fare concorrenza salariale gli uni con gli altri. La nostra politica contrattuale europea è uno strumento per creare un’Europa sociale”. Grande ruolo hanno i Comitati aziendali europei (Cae), che sono un ponte importante verso la costruzione, a medio temine, di accordi collettivi transnazionali. I Cae sono già oggi una realtà consistente: a livello europeo sono 330, di cui ben 115 – circa un terzo – gestiti a partire dalla Germania.

 

La IG Metall e la politica

La IG Metall si concepisce come soggetto politico autonomo. Huber ha sottolineato che fin dalla sua fondazione, nel 1945, la IG Metall ha mantenuto fede al “principio fondamentale del sindacato unitario”, non più diviso, come nel passato prenazista, “secondo partiti, confessioni, ceti sociali e gruppi professionali”. Proprio per questo suo carattere unitario, la IG Metall “non si lascerà strumentalizzare da nessuno. Non è mai stata e non sarà mai cinghia di trasmissione di un partito”. Huber ha evitato accuratamente di evocare un qualche rapporto privilegiato, sia pure di fatto, con il partito socialdemocratico.

Forte di questa autonomia, la IG Metall ha potuto dedicare quasi un’intersa giornata al confronto con il mondo politico. E al più alto livello. L’8 novembre è giunta al congresso nientemeno che la cancelliera Angela Merkel. Un atto di coraggio e di sensibilità politica, le ha riconosciuto esplicitamente nel breve discorso di accoglienza Huber, il quale ha ricordato che a suo tempo un altro cancelliere democratico-cristiano, Helmut Kohl, non se l’era sentita di entrare nella fossa dei leoni, ma aveva mandato il suo ministro del lavoro Norbert Blum, uomo della sinistra sociale democratico-cristiana e addirittura iscritto egli stesso alla IG Metall. 

Alla democratico-cristiana Angela Merkel è andata molto meglio che al socialdemocratico Gerhard Schröder, il quale nel congresso di Hannover era stato accolto da una rumorosa contestazione e aveva dovuto svolgere il suo intervento fino alla fine tra fischi e buuh. Era un momento in cui IG Metall e Spd erano in rotta di collisione, soprattutto per le riforme e i tagli al welfare.

Pur scontanto qualche fischio e qualche brontolio, Angela Merkel è stata accolta con rispetto e ha rimediato persino qualche applauso. Ma poco ha concesso alla platea: non si è tirata indietro dal toccare tutti i principali temi di merito, compresi quelli in cui permane grande la distanza tra sindacato e governo: ha difeso l’innalzamento dell’età della pensione a 67 anni; non ha escluso la possibilità di allungare i tempi del sussidio di disoccupazione, ma solo per i più anziani e abbreviandoli per i più giovani (insomma l’operazione può esser fatta solo a costo zero); ha difeso a spada tratta il lavoro temporaneo e interinale, perché produce comunque occupazione; ha eluso l’invito a premere sui datori di lavoro perché rendano disponibili più posti di apprendistato; e così via.

 

Huber ha risposto con cortesia, ma con altrettanta fermezza ha ribadito i punti di dissenso: le cose dette da Frau Kanzlerin sui punti sopra menzionati “sono poco tranquillizzanti”. E, comunque, parliamone: il confronto è aperto, la IG Metall non ha pregiudiziali verso nessuna forza politica o governo che voglia confrontarsi onestamente con il sindacato, nel rispetto dell’autonomia contrattuale, anche se – ha aggiunto – su talune materie non tutto è risolvibile nel dialogo tra le parti sociali, c’è anche bisogno di una legislazione che dia chiari indirizzi. L’attenzione verso la politica è stata resa visibile anche con il successivo vivace confronto tra gli esponenti dei quattro partiti – socialdemocratico (Spd), democratico-cristiano (Cdu-Csu), Sinistra e Verdi – che hanno elettori tra gli iscritti IG Metall (anche se la propensione verso la Spd rimane di gran lunga preponderante) e nella cena serale che ciascuno di questi partiti ha offerto a delegati e ospiti. In breve, la IG Metall dimostra di non avere paura, anzi di avere l’esigenza di confrontarsi con il mondo della politica, fino a farne un momento qualificante della massima espressione della sua vita organizzativa e democratica, il congresso. Un confronto a tutto campo, senza pregiudiziali né privilegi, almeno espliciti e formali.

 

La figura del leader

Due parole vanno spese per la figura di Berthold Huber, il vero protagonista del congresso, ispiratore e animatore del nuovo corso che la IG Metall intende imboccare. La sua carriera è atipica, rispetto a un normale cursus honorum sindacale. Nato a Ulm, in Svevia, nel 1950, aderisce alla IG Metall nel 1971, quando è assunto come apprendista nella fabbrica Kässebohrer della città natale. Fa esperienza come membro e poi presidente del consiglio di azienda. Quindi decide, all’età di 35 anni, di dedicarsi agli studi di storia e filosofia all’Università di Francoforte. Nei primi anni Novanta, subito dopo l’unificazione della Germania, svolge attività sindacale per la IG Metall nei difficili territori della ex Ddr. Tra il 1991 e il 1993 è stretto collaboratore dell’allora presidente della IG Metall Franz Steinkühler, poi fino al 1998 del vicepresidente Walter Riester (che poi sarà ministro del lavoro nel primo governo Schröder). Dal 1998 al 1993 è capo della IG Metall del Baden-Württemberg, il distretto sindacale di punta di tutto il sindacalismo tedesco, che ha dato ben quattro degli ultimi cinque Presidenti (l’eccezione è Peters). Con Huber si torna quindi alla tradizione.

 

Si è detto che Huber ha fama di innovatore, pragmatico, ma anche di uomo di principi e di cultura lungimirante. Anche i media tedeschi lo chiamano volentieri “riformista”, ma si tratta di una semplificazione. Come ha dimostrato nel suo discorso programmatico e nei vari interventi al congresso, se costante è il richiamo a una svolta nelle politiche e nelle consuetudini della IG Metall, il suo messaggio è tutt’altro che accomodante verso le controparti e la politica. La sua esperienza nel sindacato lo ha reso particolarmente attento all’intreccio tra politica organizzativa e politica contrattuale, e su questo ha lavorato negli ultimi anni non stancandosi di ripetere che l’una e l’altra, per sostenersi a vicenda e crescere, hanno bisogno di urgenti e profondi cambiamenti, nel segno dell’attenzione alle diversità di situazione, di condizione personale e professionale, nonché della flessibilità nell’adozione degli strumenti più adeguati ai cambiamenti nel mondo del lavoro e della produzione

 

 

 

Venerdì, 16. Novembre 2007
 

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