L'Europa imbelle e la polveriera Kossovo

Un'indipendenza per la quale non esiste alcun diritto, e anzi negata dalle risoluzioni Onu, che potrebbe innescare terribili reazioni a catena, e di fronte alla quale l'Unione appare incerta e impreparata

Proviamo a fare il punto sull’emergenza più emergenza tra quelle che stanno bussando adesso, alla vigilia del 2008, alle porte del nostro futuro prossimo venturo. Nell’ordine di urgenza e di prossimità temporale, forse Kossovo, Iran e Israele-Palestina.

Sul Kossovo, anzitutto bisogna prender atto che la troika USA, Russia, Unione europea non è riuscita – perché proprio era impossibile – a far quadrare il cerchio tra la domanda di indipendenza assoluta avanzata dal Kossovo e la proposta cui arriva la Serbia, che qualche voce in capitolo ha: al massimo “più autonomia ma non l’indipendenza”.

I russi sono con i serbi, ne mettono in evidenza la flessibilità nuova e diversa dai tempi di Milosevic nel riconoscere il massimo di autonomia al Kossovo, da sempre provincia serba a tutti gli effetti pratici e di diritto. E condannano l’intransigenza della richiesta kossovara (comunque, a ogni costo e a dispetto del diritto internazionale, l’indipendenza totale). Con loro sono, dichiarandolo o meno, i molti paesi che il problema della secessione in casa ce l’hanno, ma esitano anche a menzionarlo per timore di evocarlo.

Anzitutto ci sono i paesi europei che hanno problemi aperti con qualche minoranza: i ciprioti (se cominciamo dal Kossovo, a ruota seguirebbero le ipotesi di scissione dei turco-ciprioti dalla repubblica di Cipro, in parte e da decenni occupata dall’esercito turco); gli spagnoli che hanno un sacco di dubbi (il problema del separatismo basco, di quello possibile catalano…); i russi stessi per l’ambaradam che si potrebbe scatenare in tutta la loro area di influenza riaprendo il vaso di Pandora chiuso da poco, e anche a prezzi assai alti (Cecenia), delle indipendenze selvagge ed autoproclamate…E poi nel Caucaso (le minoranze di Abkazia e Ossezia del Sud dalla Georgia…) e nei Balcani (la minoranza serba in Bosnia…). La Slovacchia, l’Ungheria, la Romania stessa: tutti paesi con problemi di minoranze e irredentismi irrequieti anche se ancora latenti; il Belgio, forse (fiamminghi e valloni); e, speriamo di no, ma con la Lega e i suoi di tanto in tanto truci velleitarismi …

E, poi, cercando di completare a livello del globo intero  – ma non sarà ancora completa – la lista, per ordine diciamo alfabetico, Azerbaigian (Nagorno-Karabak), Canada (Quebec), Cina (Taiwan, Tibet, Xinjiang), Filippine (Mindanao), Francia (la Corsica), India (Kashmir), Indonesia (Papua, Aceh), Irlanda (riunificazione Nord col Sud), Moldova (Transdniestria), Romania (Transilvania), Sri Lanka (i Tamil), Sudan (il Darfur, in generale le regioni del Sud),Turchia /Iraq/Iran (Kurdistan), e così via.

Gli USA, che da tutte queste problematiche, escluso il Quebec, vivono a migliaia di km di distanza, vogliono però il Kossovo indipendente a qualsiasi costo: è un caso sui generis e non sarà mai un precedente, asserisce sulla propria autorità – ma con un’autorevolezza che dopo l’Iraq non ha più, una credibilità residua inesistente e una competenza inesistente in diritto internazionale – la segretaria di Stato Condoleeza Rice (conferenza stampa del 25.4.200, cfr. www.rferl. org/newsline/2007/04/4-SEE/see-270407.asp).

Perché la verità è tutta l’opposto. Al Kossovo il diritto alla proclamazione unilaterale d’indipendenza l’ha promesso Bush, portato in trionfo a Pristina per questa garanzia inconsulta (data a un piccolo territorio islamico solo nell’illusione di farsi “perdonare” dall’Islam per quello che è andato facendo in giro per il mondo agli islamici, trattati più o meno tutti come al-Qaedisti).

Il nodo, per lui, e per i poveri illusi kossovari che gli hanno dato retta è che l’America – con due guerre condotte insieme ed impantanata in entrambe – non è in grado, tecnicamente, logisticamente e finanziariamente, di onorare l’impegno. Specie da sola. Ed è  per questo che lui vuole l’Europa con lui.

Ma, per l’Europa, in realtà unica eccezione al solito il grillo britannico sempre assenziente, questo dell’indipendenza subito e unilaterale del Kossovo, è un incubo. Washington la tira e con molta forza per la giacchetta, vuole che si pronunci per il Kossovo e contro la Serbia: a prescindere da ogni merito di fatto, storico e giuridico, e malgrado l’implicita e motivata ostilità, largamente sentita in tutto il continente, all’ “autorizzazione” alla secessione.  

Il problema è che all’Europa, troppo a lungo silente, è diventato però ormai difficile dire di no: non al Kossovo naturalmente, ma proprio all’America. Troppo deboli e separati, presi uno per uno gli europei che, dunque, insieme non riescono proprio a mettersi d’accordo; perché l’Europa in effetti, malgrado i solenni protocolli appena firmati a Lisbona, non c’è. O, almeno, non c’è ancora.

Ma ancor più difficile, per l’Europa, è anche dire di sì: per le ragioni che sopra abbiamo elencato e perché un sì alla secessione unilaterale sarebbe realmente eversivo di quel poco di ordine internazionale che resta e che, di fatto, già da anni condona, o comunque sottace, invasioni e aggressioni a paesi sovrani.

Poi, proprio sul Kossovo, c’è addirittura un impegno solenne del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1999, mai rivisto e anzi confermato sempre e solennemente. All’unanimità, Stati Uniti compresi (cfr. Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Risoluzione 1244 (1999): www.unmkonline.org/ misc/N9917289.pdf/).

Afferma solennemente al paragrafo 10 la Risoluzione – che definisce il Kossovo come protettorato ONU e crea l’UNMIK, la missione amministrativa ad interim delle Nazioni Unite per il Kossovo – “l’impegno di tutti gli Stati membri alla sovranità ed all’integrità territoriale della Repubblica federale di Jugoslavia e di tutti gli altri Stati della regione, così come definiti nell’Atto finale di Helsinki e nell’Allegato 2”: cioè, col Kossovo parte integrante ed inalienabile della Serbia; e, al paragrafo 11, “riafferma la richiesta delle precedenti risoluzioni di un’autonomia sostanziale e di una significativa autonomia amministrativa per il Kossovo”… Non altro.

Solo con questa premessa, la Serbia, allora la Jugoslavia dell’immediato post-Milosevic, diede il suo assenso all’arrivo delle truppe NATO in Kossovo. E, adesso, unilateralmente, vede cambiata la disposizione chiave: non solo e non più, cosa che ormai sarebbe rassegnata ad accettare, autonomia amministrativa e politica piena, ma indipendenza piena e assoluta. Non reggerà. Lo spiega, che più chiaro non si può davvero, un articolo conciso e insieme completo di Guido Rampoldi (la Repubblica, 20.12.2007,  I troppi errori dell’Europa di fronte a una polveriera):

“Forse soltanto nel 1990-91 si può ritrovare la somma di improvvisazione, supponenza e deficit di pensiero strategico con la quale l’Unione arriva all’indipendenza del Kossovo. Come allora la gran parte dei governi continentali non capì cosa avrebbe comportato il collasso della federazione jugoslava… così oggi quasi tutta l’Europa maggiore pare non vedere le micce a lenta – e ormai neanche più tanto lenta – combustione che essa stessa sta per innescare”… “Il punto è che americani ed europei non possono disporre a piacimento di un  territorio sul quale non hanno alcuna sovranità legale. Quella appartiene alla Serbia, come è scritto persino nel preambolo della Risoluzione 1244”… “I confini non si cambiano con la forza – le dichiarazioni unilaterali di indipendenza – di fatto questa è l’unica norma chiara e finora universalmente condivisa”…

“Washington ha cercato di camuffare l’enormità dell’indipendenza” unilaterale del Kossovo – che poi andrà “difesa”, se andrà difesa, dalla NATO, cioè da noi, mica dai kossovari per conto proprio – affermando che il Kossovo è ‘un caso sui generis’… Il guaio è che i casi sui generis fondano, appunto, un genere”… Lo scenario che si prospetta è questo: “quando il Kossovo proclamerà l’indipendenza, immediatamente i serbi di Mitrovica” – che si ritroveranno dentro i confini dell’autoproclamato Kossovo – “al confine con la Serbia, annunceranno il loro rifiuto di secedere la loro obbedienza alla capitale legittima, Belgrado. Li potrebbero imitare le enclaves serbe del sud”.

E a quel punto? “Può l’Unione accordare il diritto all’autodeterminazione agli albanesi e negarlo ai serbi? E se lo riconosce ai serbi, può negarlo alle altre minoranze del Kossovo, una dozzina?  Come si vede, quando il principio di autodeterminazione perde quel limite – l’intangibilità dei confini - si trasforma a valanga nel principio di frammentazione”.

Nei decenni recenti, dopo la seconda guerra mondiale, ma in realtà sempre, le uniche separazioni pacifiche tra nazioni e tra Stati sono state quelle consensuali. La più importante, e tra l’altro praticamente anche l’unica di qualche rilievo che viene alla mente, è quella del 1° gennaio 1993 della vecchia Cecoslovacchia in Repubblica ceca e Slovacchia.

Non sarebbe il caso che l’Europa provasse a dire, insieme e chiaro, a Bush di fermarsi? Magari richiamando alla memoria, sua e degli americani tutti, il precedente della sua guerra di secessione.  Quando, nel 1861, il presidente Lincoln, nel suo caso poi deliberatamente violando lettera e spirito della Costituzione degli Stati Uniti d’America rifiutò, agli Stati del Sud, il diritto alla secessione che, pure, era loro diritto in quanto, per l’emendamento no. 10, “i poteri non delegati agli Stati Uniti dalla costituzione, né da essa proibiti agli Stati, sono riservati agli Stati o, rispettivamente, ai popoli degli Stati...” (testo integrale della Costituzione del 1789 e degli emendamenti successivi – il decimo dei quali è parte del blocco chiamato Dichiarazione dei diritti, ratificato nel 1791 – cfr. www.archives.gov/national-archives-experience/charters/bill_of_rights_tr.../).

Abraham  Lincoln,  per non piegarsi a questo diritto dei 13 Stati secessionisti del Sud, ci fece sopra la guerra: la più feroce e cruenta della storia americana, con oltre 600 mila morti, assai di più (ma erano tutti americani, naturalmente, Nord e Sud) che nella prima o nella seconda guerra mondiale e oltre dieci volte di più che in Vietnam, in Iraq, in Afganistan messi insieme.

Lincoln spiegò al meglio la logica di questa sua cosciente e deliberata violazione della Costituzione – e della sua scelta di farci sopra una guerra del tutto incostituzionale, essendone pienamente cosciente, pur di negare il diritto di ogni Stato a separarsi unilateralmente dall’Unione – nel suo primo discorso inaugurale.

“Se la minoranza – spiegò – non si sottomette (accettando il volere della maggioranza) dovrà assoggettarsi la maggioranza, o smetterà di esistere un governo. Non c'è alternativa: perché un governo sussista, deve sottomettersi una parte, o deve farlo l'altra.

    Se, infatti, una minoranza piuttosto che sottomettersi si separa, crea un precedente che, a sua volta, la dividerà e la porterà alla rovina. Giacché, allora, una minoranza al suo interno sarebbe giustificata a separarsi quando essa, la precedente minoranza diventata maggioranza, rifiutasse di sottoporsi al controllo di questa nuova minoranza che (a casa sua) vuol diventare maggioranza .

    Per esempio, perché mai non dovrebbe secedere a sua volta una parte della nuova Confederazione secessionista, tra un anno o due, arbitrariamente, proprio come pretendono di avere il diritto di fare al presente alcuni pezzi di questa nostra Unione?” (testo integrale del discorso, cfr. www.loc.gov/exhibits/treasures/trt039.html/).

Non pare, francamente, anche a voi che l’argomento sia proprio cogente? Tanto più quando poi, nel caso del Kossovo, e dei tanti altri citati, non esiste assicurato da nessuna Costituzione, come era invece nel caso americano, alcun diritto alla secessione unilaterale.    

Lunedì, 17. Dicembre 2007
 

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