L'Europa ferma ad Hampton Court

E' stata ironicamente definita una "riunione NATO", nel senso di "No Action, Talk Only". Tanto che il premier belga ha avanzato l'ipotesi di convocare i paesi dell'euro per dar vita a una "cooperazione rafforzata": sarebbe l'inizio dell'Europa "a due velocità"
Per il vertice informale che ha riunito a fine ottobre ad Hampton Court i capi di Stato e di governo dell'Unione europea è stata utilizzata, da più parti, la definizione di vertice N.A.T.O., secondo la formula coniata da un diplomatico finlandese per sottolineare l'inconcludenza che non di rado caratterizza questo tipo di incontri. La formula non ha ovviamente nulla a che vedere con l'organizzazione atlantica, evocata dalla sigla, ma significa semplicemente "No Action, Talk Only".

Il giudizio può apparire in questo caso non pertinente dato che l'obiettivo dichiarato del vertice non era di assumere decisioni sulle molte questioni aperte dell'attualità europea, quanto di favorire un libero confronto di opinioni sulle vie da seguire per permettere all'Europa e al suo modello sociale di far fronte efficacemente alle sfide della globalizzazione. Ma esso lo diventa se si considera che anche da questo punto di vista gli esiti della riunione appaiono ben lungi dal trasmettere all'Unione l'impulso politico di cui essa ha bisogno in questo momento.

Solo l'ottimismo di rito che contraddistingue questi incontri al massimo livello può infatti giustificare le espressioni con le quali il padrone di casa, Tony Blair, e il presidente della Commissione, Manuel Barroso, hanno commentato la conclusione dei lavori parlando di un consenso strategico raggiunto, tale da facilitare anche quell'accordo sulle prospettive finanziarie dell'Unione che il Consiglio europeo aveva mancato nel giugno scorso.
 
A giudicare dalle reazioni di altri partecipanti e dalle indiscrezioni filtrate ai media dalle singole delegazioni le cose stanno diversamente. La discussione generale sul futuro del modello sociale europeo ha fatto emergere ancora una volta la contrapposizione tra la visione anglosassone e quella continentale difesa  soprattutto dalla coppia franco-tedesca con un cancelliere Schroeder, alla sua ultima uscita internazionale, particolarmente polemico mentre l'approvazione di principio data dai capi di Stato e di governo al documento presentato da Barroso al vertice ha comportato la mutilazione della sua parte più innovativa.

Questo documento è  stato infatti accolto con favore per i capitoli che rinviano alle  priorità già presenti nella strategia di Lisbona (ricerca, innovazione, università, con l'aggiunta dell'esigenza di una politica energetica comune) o a politiche in corso di attuazione (immigrazione, coordinamento in materia di protezione sociale), ma ha visto una composita maggioranza opporsi alla creazione di un apposito Fondo per far fronte agli impatti negativi sull'apparato produttivo europeo dei processi di globalizzazione, giudicato da alcuni troppo interventista e da altri troppo oneroso dal punto di vista finanziario.

E' stata così disattesa una rivendicazione di lunga data del movimento sindacale e l'unica proposta finora messa in campo dalla Commissione per dotare l'Unione di uno strumento capace sia pur parzialmente di governare le ristrutturazioni industriali in atto. Un esito questo ancora più sorprendente tenuto conto che il vertice era stato convocato proprio per discutere delle risposte europee alla globalizzazione.

Ma la modestia dei risultati raggiunti ad Hampton Court è anche la prova dei limiti dell'approccio alla crisi attuale dell'Unione di cui lo stesso Blair si è fatto paladino nel suo discorso al Parlamento europeo all'inizio del semestre della presidenza britannica, spostando l'asse del dibattito europeo dagli aspetti politico-istituzionali a quello più pragmatico delle politiche concrete dell'Unione, quasi che su questo terreno fosse possibile procedere anche in assenza di un progetto politico complessivo quale quello rappresentato, pur con tutti i suoi limiti, dal Trattato costituzionale.
 
La realtà si sta invece incaricando di dimostrare che proprio la mancanza di un quadro condiviso di finalità, di obiettivi, di assetti istituzionali efficaci  rende il cammino dell'Unione meno agevole, per il riproporsi prepotente degli interessi nazionali contrapposti e la difficoltà di pervenire in queste condizioni  a quelle mediazioni alte che in altre stagioni hanno consentito i più significativi sviluppi dell'integrazione europea.
 
Il confronto aperto sul bilancio comunitario che vede i singoli paesi schierati nell'intransigente difesa del proprio particolare tornaconto ne è allo stato una chiara testimonianza. Se è vero che sempre in passato il finanziamento dell'Unione ha suscitato discussioni aspre e prolungate  vi è oggi il rischio di approdare a un compromesso di assai basso profilo e tale sul piano quantitativo da impedire all'Unione di far fronte pienamente ai suoi accresciuti impegni a seguito dell'allargamento e, su quello qualitativo, di mettere in forse la sua capacità di dare attuazione alle politiche innovative di Lisbona la cui validità peraltro è stata confermata proprio ad Hampton Court.

E' quindi urgente tornare a ragionare sulle prospettive future dell'integrazione europea.
Se il Trattato costituzionale non potrà essere riproposto altri scenari dovranno essere esplorati per dotare l'Europa di un progetto politico senza il quale essa non è in grado di sviluppare tutte le sue potenzialità mentre rischia di veder indebolite le sue conquiste.
 
Una riflessione in questo senso è già inziata. Ai  margini del Consiglio europeo il primo ministro belga Guy Verhofstat ha rilasciato una dichiarazione annunciando la sua intenzione, qualora nei prossimi mesi non si producano fatti nuovi per superare lo stallo attuale, di convocare un vertice dei capi Stato e di governo della zona euro per valutare l'ipotesi di dar vita in questo ambito ad una "cooperazione rafforzata" come previsto dai trattati in vigore per promuovere una strategia comune di coordinamento delle politiche economiche e iniziative di politica industrale che appaiano impraticabili nell'Unione a 25. Si aprirebbe così la strada ad un'Europa a due velocità dove un gruppo di paesi, logicamente quelli che condividono la moneta, si spingerebbero più avanti nel processo d'integrazione senza precludere la possibilità ad altri di raggiungerli in futuro, l'Unione restando, nelle condizioni di oggi, la casa comune di tutti. Non è la soluzione ideale ma realisticamente può diventare la sola praticabile per far uscire l'Europa dall'impasse in cui si trova.
Venerdì, 4. Novembre 2005
 

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