Negli ultimi anni il dibattito allinterno del movimento ambientalista, soprattutto riguardo al problema dellenergia, è stato particolarmente lacerante, finendo per essere poco incisivo rispetto a una concezione culturale che privilegia il presente rispetto al futuro e subordina linteresse generale a quello particolare.
In questa dimensione la necessità di una mediazione fra esigenze contrapposte ha trovato la sua sintesi nella formula dellambientalismo del fare. In parole povere questa opzione comporta laccettazione di misure che, pur non rappresentando la soluzione ideale dal punto di vista ambientale, si fanno comunque preferire rispetto ad una inerzia che alla fine rende inevitabile la adozione di iniziative con effetti sullecosistema sicuramente più nocivi.
Nel campo delle energie rinnovabili lambientalismo del fare può essere paragonato ad un mosaico, composizione costituita da una molteplicità di tessere che, esaminate separatamente, non suscitano alcuna sensazione ma messe insieme fanno intravedere unopera darte. Fuor di metafora questo significa che nessuna fonte energetica è di per se autosufficiente e, se si va a esaminare il contributo specifico di ciascuna di esse, ci si chiederà il più delle volte se valga effettivamente la pena di insistere. E invece questa appare come lunica strada percorribile perché solo una politica energetica capace di sfruttare tutte le opportunità offerte dalla tecnologia e dalla esperienza pratica potrà consentire allumanità di superare lemergenza e trovare un equilibrio sul quale fondare uno sviluppo più duraturo.
Vediamo di applicare questo principio ad uno dei comparti più complessi ma nello stesso tempo più interessanti delle energie rinnovabili come quello delle biomasse.
Le biomasse sono materiali di origine vegetale che possono derivare da colture dedicate come il mais, o da residui dei boschi come la legna da ardere, o da rifiuti biodegradabili come le deiezioni animali. La percentuale di biomasse utilizzata nel pianeta rispetto al fabbisogno energetico è di circa l11% anche se nei paesi del sud del mondo detta percentuale aumenta fino al 30%. Già una prima considerazione si impone: quello dei paesi più poveri non è un record di cui andare fieri in quanto lutilizzo della legna da ardere al posto del gasolio non è un segnale di sensibilità ecologica ma lindice di uno stato di miseria; tuttavia le biomasse, se utilizzate in modo intelligente, possono fornire un contributo importante per uscire dalle condizioni di sottosviluppo.
In Italia la percentuale di impiego delle biomasse rispetto al fabbisogno complessivo è appena del 3%; le potenzialità di sviluppo sono dunque molto consistenti anche se devono essere valutate nel contesto generale. Dunque tra le diverse fonti di energia, rinnovabili e non, la competizione feroce va sostituita da una cooperazione intelligente.
Le biomasse sono una risorsa anche se come tutte le fonti energetiche presentano delle criticità.
Questi materiali diventano risorsa laddove consentono ad esempio quella cura dei boschi indispensabile per limitare il rischio di incendi; possono invece costituire un handicap, che rischia di sfociare in un vero e proprio dramma, a causa del conflitto tra destinazione alimentare ed impiego energetico. Il problema si pone essenzialmente per i biocarburanti ottenuti dalle colture oleaginose (biodiesel) o amidacee ( bioetanolo). Specie con riferimento ai cereali il conflitto con la destinazione alimentare è particolarmente lacerante. Limpennata dei prezzi delle materie prime destinate alluso alimentare, connessa con la esplosione delle economie di quelli che una volta si chiamavano paesi del terzo mondo, rischia di mettere a dura prova la sopravvivenza dei paesi che ancora sono poveri e che, se il conflitto non viene ricomposto, sono destinati a restare tali ancora per lungo tempo. Ora che molti tra i paesi del sud del mondo sembrano avere avviato a soluzione il dramma della fame, ecco allinizio del 2008 esplodere improvvisa la crisi alimentare, dovuta a varie cause ma che lopinione pubblica attribuisce in misura prevalente alla competizione energetica.
Vediamo di analizzare più a fondo il conflitto anche per verificare le prospettive di una pace duratura. Limpennata dei prezzi dei prodotti petroliferi ha determinato la promozione dei biocarburanti nei paesi più sviluppati come gli Stati Uniti, dove questa politica è vista anche come scappatoia per eludere gli impegni molto più gravosi sanciti dal Protocollo di Kyoto che, infatti, questo paese non ha sottoscritto; per contro lUnione Europea vede nelle colture energetiche una delle possibili opzioni nellambito di una politica di sviluppo compatibile. In questo quadro si colloca la proposta di direttiva comunitaria sulle energie rinnovabili, presentata il 23 Gennaio scorso che, con riferimento ai biocarburanti, si prefigge di conseguire entro il 2020 lambizioso obiettivo di impiego nella misura del 10%. E qui cominciano i guai.
Fin dallinizio del 2000 i produttori tedeschi di margarina hanno lamentato il rischio che limpiego dei semi di colza per la produzione di biodiesel potesse sottrarre materie prime per la produzione di un alimento che in Italia ha scarso successo ma che nei paesi del nord Europa è un condimento fondamentale nella dieta. A proposito della margarina, va poi osservato che una delle materie prime utilizzate per la produzione di questo alimento è lolio di palma, coltivato essenzialmente in Indonesia e Malesia. Il possibile impiego dellolio di palma nella produzione di biodiesel ha indotto questi paesi ad investire massicciamente in questa coltura determinando la distruzione di grandi estensioni di foreste tropicali.
Come fa osservare lex Presidente del Consiglio Romano Prodi il bilancio energetico nella produzione di biocarburanti appare in alcuni casi negativo con la conseguenza che, per produrre un litro di biocarburante, si rischia di consumare una maggiore quantità di combustibile fossile. Agli ambientalisti che chiedono se abbia un senso sprecare combustibili fossili per il trasporto di un combustibile rinnovabile, si potrebbe obiettare che anche per il trasporto dei prodotti petroliferi dai paesi del Golfo è necessario un combustibile di origine fossile. E tuttavia il problema rimane e va affrontato con risposte più convincenti. Infatti il nostro paese, non possedendo consistenti giacimenti petroliferi, è costretto ad importare questa fonte energetica mentre la materia prima necessaria alla produzione di biodiesel potrebbe essere coltivata direttamente nel territorio nazionale, magari sfruttando i terreni abbandonati in modo da non entrare in competizione con le colture tradizionali vanto della cultura gastronomica e fiore allocchiello del made in Italy.
Che fare? Innanzitutto va registrato che, visti i quantitativi irrisori di biocarburanti utilizzati in Italia, il conflitto fra energia e alimentazione coinvolge il nostro paese solo in misura marginale.
Inoltre, come alternativa ad uno sviluppo scriteriato delle colture energetiche, nella produzione di biodiesel si possono utilizzare materie prime di scarto come gli oli esausti che residuano dalla frittura degli oli alimentari. In questo caso si prendono due piccioni con una fava: si favorisce il recupero di un rifiuto pericoloso e nello stesso tempo si ricicla per uso energetico una materia prima già impiegata per la alimentazione.
Lobbligo del recupero degli oli vegetali esausti è stato previsto dal Decreto Legislativo n 22 del 1997, più noto come decreto Ronchi, che ha portato alla costituzione di un Consorzio per il recupero e il riciclaggio di questo rifiuto; al momento la attività di recupero è concentrata sugli oli esausti che residuano dalla industria alimentare e dalla ristorazione ma, con opportuni accorgimenti e con sperimentazioni già avviate dal Consorzio stesso, potrebbe essere estesa anche alla utenza civile. La raccolta differenziata dei rifiuti in genere, tra i quali si possono includere gli oli che residuano dalla frittura, particolarmente nocivi per lambiente, potrebbe essere incentivata ipotizzando magari forme di sovvenzioni a favore dei cittadini più virtuosi, che sarebbero molto gradite nel contesto di vacche magre che sta attraversando leconomia del paese. Più in generale, e allo scopo di evitare una rincorsa dissennata verso le colture agroenergetiche, si potrebbe promuovere limpiego dei biocarburanti di ultima generazione che, per la tecnologie adottate o le materie prime utilizzate, può dare risposte più convincenti agli inconvenienti sopraccitati.
Tra i sottoprodotti della agricoltura suscettibili di destinazione energetica vanno citate le sanse esauste che residuano dalla estrazione dellolio dalle sanse vergini, a loro volta ottenute dalla spremitura delle olive nei frantoi oleari. Il quantitativo medio di sanse esauste disponibili si aggira sulle 500.000 tonnellate e può essere impiegato nelle centrali elettriche e in quelle termiche compresi i condomini degli edifici o i camini delle abitazioni private in sostituzione della legna da ardere; il tassello del mosaico è assicurato in questo caso dalla promozione di un sottoprodotto della olivicoltura, sulla cui rilevanza nel contesto della economia nazionale è inutile soffermarsi, e di un combustibile utilizzabile per migliorare la efficienza energetica degli edifici, che costituisce uno delle colonne portanti dellambientalismo del fare.
Un altro esempio che merita di essere citato è quello delle colture destinate alla alimentazione che risultino inidonee per la presenza di sostanze nocive come le micotossine che, specie nelle stagioni molto piovose, possono contaminare le colture del mais. In questo caso le partite contaminate possono trovare una destinazione alternativa nel recupero energetico. La via maestra è dunque la trasformazione di un problema in opportunità.
Un caso particolare è dato poi dalle colture geneticamente modificate che il nostro paese, particolarmente vocato per quelle tradizionali, ha abbandonato a mio parere giustamente ma che oramai sono una realtà consolidata in tutti i continenti Europa compresa. La destinazione energetica delle coltivazioni OGM è tema delicato che solleva obiezioni di carattere etico ma che non può essere affrontato esclusivamente su basi ideologiche. Tra laltro le alte rese e la produttività delle colture OGM consentono ai paesi africani, sud americani ed asiatici di sfruttare le ampie disponibilità di terreni per questo tipo di coltivazioni. Ma per poter valutare adeguatamente la questione degli OGM è necessario sfatare la convinzione secondo la quale il pianeta soffre della mancanza di cibo e le multinazionali promuovono gli OGM per sopperire a questa carenza. In realtà, nonostante più di 800 milioni di persone soffrano la fame, gli alimenti sarebbero sufficienti per tutti. Se dunque nel mondo c'è cibo a sufficienza per tutti, ci dovrebbe essere anche spazio per un utilizzo energetico delle colture agricole, comprese quelle geneticamente modificate, purché limpiego sia razionale e rispettoso dellambiente. In sostanza un paese deve essere libero di utilizzare o meno gli OGM ma, se già li utilizza per una ragione qualsiasi, la destinazione energetica può eliminare le remore a proposito di quella alimentare.
Da questa carrellata emerge un punto fermo. Almeno con riferimento al nostro paese i biocarburanti e le biomasse in generale non sono idonee, da sole, a risolvere il problema anche se il numero dei tasselli che viene assicurato da questa fonte per la composizione del mosaico non è trascurabile.
Specie nel campo dei trasporti il contributo dei biocarburanti va accompagnato da politiche di risparmio energetico, come la sostituzione del trasporto su gomma con quello su ferro e via mare.
Se vogliamo superare questo momento critico dobbiamo cominciare seriamente a rivedere le priorità sui consumi ed adeguare il nostro stile di vita. Le biomasse ci danno una mano ma da sole non bastano.