Le rinnovabili da rinnovare

Il solare a concentrazione e la geotermia sono fonti di energia promettenti e persino più efficienti del fotovoltaico, ma c’è bisogno di investire nella ricerca, mentre oggi le risorse sono minime. Perché non destinarvi quelle liberate dalla riduzione degli incentivi?

L'on. Tremonti ha dichiarato che "i Paesi che hanno energia atomica dovrebbero detrarre dal Pil i costi dei decommissioning". Sembrava ignorare il suo ruolo decisivo in un governo che aveva programmato la costruzione di otto centrali nucleari, trascurando proprio quel particolare che noi avevamo sottolineato. Aveva aggiunto l'ipotesi di emettere eurobond per finanziare le energie rinnovabili, gettando nello sconforto il collega Romani. La proposta è stata fulmineamente bocciata da Trichet.

    

Questo incipit fotografa lo stato confusionale in cui versa la politica energetica di un governo che, parafrasando un motto del '68, ha portato al potere non la fantasia, ma il teatro dell'assurdo. Tesi confermata dalla moratoria per il nucleare. Una scelta "epocale" consistita nel "decidere di non decidere", continuando però a cercare i luoghi dove depositare le scorie di quelle stesse centrali la cui localizzazione è congelata....

    

Ci sembra invece importante focalizzare l'attenzione su due aspetti meno analizzati del futuro delle rinnovabili. Il primo riguarda il ruolo del solare a concentrazione e della geotermia; il secondo il rapporto potenziale fra forme di energia e strutture politico-istituzionali.

    

Il solare a concentrazione è in avanzata fase sperimentale, anche sulla base di un Progetto Rubbia, in Spagna e in Sicilia. Presenta tre vantaggi piuttosto notevoli: fornisce energia territorialmente concentrata; può avere un coefficiente di trasformazione più alto di quello attuale del fotovoltaico (che è del 12%); consente di immagazzinare il calore, aumentando così le ore di fornitura di energia della centrale. E' ormai in fase di prefinanziamento un colossale piano multinazionale dell'ordine di 50 miliardi di euro: il Desertech. Si prevede l'utilizzazione di una vasta area del Sahara (libico?) per produrre con questa tecnica una quantità molto elevata di energia, da distribuire, con sistemi di trasmissione a lunga distanza e l'impiego di semiconduttori di tipo avanzato, in parte nel Nord Africa e in parte in Europa. La fattibilità economica - e alla luce degli eventi più recenti, soprattutto politica - di questo formidabile progetto è ancora sotto esame; ma l'impegno assunto da finanziatori di dieci diverse nazionalità sembrerebbe una garanzia di successo potenziale.

    

Si ha la sensazione che in questo come in altri settori delle rinnovabili la ricerca applicata abbia ancora un larghissimo spazio di sviluppo e possa dar luogo a balzi tecnologici della stessa portata di quello che ha segnato il passaggio dalla rana di Galvani ai sistemi elettrici contemporanei. In chiusura di articolo, ritorneremo sulle dimensioni finanziarie comparate degli impegni nella ricerca applicata su queste energie rispetto alle spese per altre linee di ricerca. Vorremmo ricordare, come abbiamo accennato in altro articolo, che dalle bollette degli italiani, negli ultimi decenni, sono stati tratti 40 miliardi di euro per le cosiddette "energie assimilabili": solo Iddio sa (e forse nemmeno Lui) come sono stati spesi.

 

Vi è un campo delle rinnovabili a prima vista particolarmente promettente per il nostro Paese, ma non sfruttato se non nelle zone in cui si era insediato un secolo fa anticipando qualunque altra iniziativa a livello mondiale: la geotermia. Come è largamente noto, Larderello (che prende il nome dal suocero francese del creatore degli impianti) è sorta come una specie di miniera di acido borico, ma si è poi trasformata in una importante centrale elettrica geotermica. Apparentemente la Penisola offre prospettive interessanti a queste forme di energia rinnovabile, anche se non presenta la diffusività dell'Islanda. Le zone geotermiche sono molto numerose in Italia, non solo in vicinanza di vulcani attivi, ma anche altrove, spesso con denominazioni significative (acque bullicanti, campi flegrei, etc); sono diffuse lungo tutta la Penisola e spesso danno luogo a centri termali.

    

Quali sono gli ostacoli che si frappongono alla loro potenziale utilizzazione come produttori di energia?

- Per poter durare a lungo, i campi geotermici non vanno "sfruttati" ma "coltivati": ciò significa ri-iniettare acqua nel campo, anche per evitare fenomeni di subsidenza dei terreni.

- Le acque termali contengono spesso zolfo o altre sostanze atte a corrodere le tubazioni.

- Il coefficiente di trasformazione è per ora solo del 20% (ma, come si è detto, quello del fotovoltaico è del 12).

- La ricerca dei campi mediante carotaggio è costosa; ma non nel caso italiano, con acque affioranti in località note addirittura da secoli.

 

Un avanzamento della ricerca applicata potrebbe agevolmente superare queste difficoltà creando sistemi geotermici a ciclo chiuso acqua-vapore-energia, impiegando tubazioni in materiali non soggetti a corrosione e accrescendo il coefficiente di trasformazione. Altre controindicazioni (rumorosità degli impianti e odore di zolfo) possono essere eliminate, servendosi di dispositivi largamente applicati in alcune attività industriali.

 

Nel testo di un suo famoso libro sulla "economia all'idrogeno" Jeremy Rifkin accennò all'ipotesi di una correlazione tra tipo di energia e strutture istituzionali. Le forme di energia diffusa sarebbero quindi correlate con sistemi di democrazia partecipata e - aggiungiamo noi - con organizzazioni comunitarie di dimensioni modeste (potremmo riferirci al federalismo comunale); mentre il nucleare, oltre alla concentrazione energetica, anche per motivi di sicurezza implica regimi di tipo autoritario. I dibattiti e le moratorie in Italia sulle localizzazioni delle centrali e sul ruolo delle Regioni sono istruttivi in tal senso.

    

Le esperienze storiche sono solo parzialmente significative. Ad esempio l'impiego dell'energia degli schiavi implica strutture autoritarie, ma ciò non coincide necessariamente con il centralismo, come dimostra l'esperienza dell'economia servile diretta da una aristocrazia terriera decentrata negli Stati del Sud degli Stati Uniti prima della guerra di Secessione. Per contro l'impiego di energie diffuse (mulini ad acqua e a vento) nel Medioevo generò l'economia curtense, ma non coincise affatto con sistemi politici democratici. E' però esatto affermare che le energie diffuse sul territorio favoriscono la concorrenza ed attenuano il potere contrattuale dei gestori delle reti di trasmissione o delle centrali di produzione concentrata. Il risvolto politico-istituzionale di queste forme organizzative non è in ogni caso univocamente determinabile.

 

Possiamo concludere con una considerazione e una proposta. Nel campo della geotermia, come in altri settori delle rinnovabili, le somme impegnate in ricerca applicata sono, come già accennato, enormemente inferiori rispetto a quelle spese per lo sviluppo delle materie plastiche, per non parlare del nucleare. E' vero che è difficile collegare direttamente la spesa in ricerca di base con le innovazioni strategiche, che nascono talora dalla genialità di un singolo scienziato o dalla interpretazione di una casualità, vedi il caso della penicillina. Esiste però un rapporto molto stretto fra le spese in ricerca applicata e le innovazioni economicamente valide. Le sfortunate vicende di Meucci nella brevettazione del telefono sono indicative.

    

Qui nasce la mia proposta. In precedenti scritti avevo osservato che un eccesso di incentivi può dar luogo a speculazioni. Ma i colpi di Durlindana del ministro Romani in questo campo avevano fatto correre il rischio di generare centinaia di migliaia di disoccupati e molti disastri aziendali, soprattutto perchè era stato disatteso l'impegno formale di modificare gli incentivi solo nel 2013, impegno in base al quale erano stati programmati investimenti e assunti obblighi finanziari. Oggi si verifica una retromarcia: i nuovi contributi, comunque ridotti, entreranno in vigore a giugno.

    

Tuttavia, pur accettando come valido il principio della riduzione a scalare degli incentivi, per accompagnare le rinnovabili a livelli di mercato, sarebbe opportuno destinare la quota residua al finanziamento della ricerca applicata. Appare questa la via maestra non solo per accelerare il raggiungimento della sfera di economicità, ma anche per garantire al nostro Paese la padronanza dell'intera filiera delle energie alternative, dalla ricerca di base all'impiantistica. Possiamo attenderci, almeno in questo caso, un progetto organico dal Circo Barnum dell'attuale dirigenza politica? 

Martedì, 19. Aprile 2011
 

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