Le banche tra sofferenze e una missione perduta

L’impennata dei "non performing loans" è stata causata essenzialmente dalla lunga crisi, ma ora è diventata un’ccasione di speculazione – con la vendita forzata – e di ulteriore inquinamento del mercato. Bisogna tornare a ciò che diceva Einaudi: "Le banche non sono fatte per pagare stipendi o per chiudere in utile; ma devono raggiungere questi giusti fini col servire nel migliore modo il pubblico"

Da qualche tempo è esplosa la questione dei crediti bancari in e si parlava  di un ordine di 300 mld su circa 1.000 dell'intera Europa. Anche se permanevano dubbi sui reali importi e sull'impatto economico. Ora la Banca d'Italia, nella sua relazione,  ci comunica ufficialmente che quelle cifre sono da considerarsi al valore nominale, mentre lo scorso anno i crediti deteriorati iscritti in bilancio delle  banche ammontavano a 173 miliardi al netto delle rettifiche  di valore.  Di questi 81 mld sono crediti in sofferenza ampiamente coperti da garanzie reali e personali.  Altri 92 sono già stati svalutati per un terzo.  La maggior parte di essi possono essere affrontati con una "gestione attiva" interna, e solo per circa 20 mld alcuni "intermediari in difficoltà" potrebbero voler procedere a disfarsene con il ricorso a "operatori specializzati", e con "rettifiche aggiuntive" di circa 10 mld.

Vi è generale consenso sul fatto che la mole di tali crediti dipenda certamente dalla lunga crisi, aggravata, almeno in Europa, dall‘austerità cosiddetta "espansiva", ma anche dalla diffusa mala gestio. Elementi, che colpiscono in particolare l'Italia come risulta dalla percentuale delle nostre sofferenze rispetto a quelle europee. Certamente anche a seguito di antiche e nuove debolezze del sistema Italia, a cui ha concorso ben volentieri il ventennio berlusconiano come non mancò di denunciare, finché fu in vita, un grande intellettuale ed economista come Paolo Sylos Labini.

Ma va considerato che altri paesi hanno effettuato tempestivi e rilevanti interventi statali,   nazionalizzazioni incluse. In Italia, in omaggio alla storica autoreferenzialità del sistema, permessa anche dalla Banca d'Italia, sembra sia proibito ogni intervento diretto dello Stato,  mentre invece non ci siano remore per il ricorso a fondi di investimento con sede nei paradisi fiscali e normativi (gli "incappucciati della finanza" come li chiamava Federico Caffè) o a fondi sovrani di Paesi che non conoscono lo stato di diritto.

Mentre la BCE e l'Europa spingono per una rapida vendita degli NPL, da parte delle banche e della stessa ABI,  pare stia ora prevalendo una maggiore cautela. 

Il fatto è che il recupero dei crediti, secondo i tradizionali metodi interni, si aggira in media sul 40% del dovuto, mentre le operazioni di vendita di tali crediti  ai fondi di investimento, sin'ora effettuate, sono avvenute a circa il 20%. Una cifra molto più bassa di quanto messo in bilancio al netto della svalutazione, quindi con perdite patrimoniali notevoli e guadagni speculativi dei fondi acquirenti.

Va ricordato che un abbattimento significativo del patrimonio, per le regole europee che fissano discutibili coefficienti rigidi tra dimensione del capitale e erogazione di crediti, richiede un correlato aumento di capitale da chiedere ai vecchi azionisti; i quali, se non in grado di sopperire, dovranno far ricorso al mercato con la probabile modifica del nucleo di comando. Generalmente a favore dei grandi fondi di investimento o di multinazionali interessate a concentrazioni, oppure allo "spezzatino", secondo logiche puramente finanziarie. (1)

E' quanto è avvenuto, ad esempio, per Unicredit che ha "improvvisamente" (!) scoperto ed abbattuto crediti in sofferenza per oltre 10 mld,  effettuato un aumento di capitale per 13 mld, e modificato i rapporti proprietari dell'intero gruppo, compresi Mediobanca e Generali.  E nulla a che vedere con la "public company", dichiarata dall'attuale management e persino dalla stampa. Ma se ne capirà meglio in seguito, nonostante l'ostentata rivendicazione della permanente "italianità" del gruppo. Asserzioni e assicurazioni di cui non ha titolarità il mangement, visto che non siamo più in una situazione di "capitalismo manageriale", ma che dovrebbero avvenire dalla nuova proprietà..

L'operazione, nell'inerzia dello Stato e dei vigilanti, ha dimostrato inoltre quale sia la reale situazione del mercato finanziario globalizzato, e cioè lo stato fortemente oligopolistico sul lato dell'offerta e quello non meno oligopsonistico della domanda. 

Nel consorzio di garanzia del citato aumento, chiuso positivamente in pochi giorni, c'era tutto il Gotha della finanza internazionale che ha percepito una commissione pari a crca 500 mln (secondo notizie di stampa) senza alcun rischio. Infatti, sul lato della domanda ci sono fondi comuni e pensione in stretto rapporto se non controllati dalle medesime grandi banche e corporations finanziarie, alcune presenti nel citato consorzio. Così molti risparmiatori  parteciperanno, a loro insaputa, all'aumento di capitale, come assorbiranno,  sempre a loro insaputa, gli NPL cartolarizzati.

La cartolarizzazione dei crediti, sempre più diffusa, testimonia lo stravolgimento della funzione tipica della banca. Infatti, il carattere peculiare della banca, sostenuto da una autorevole letteratura scientifica, è quella della gestione congiunta dei depositi e dei crediti presenti nei due lati del bilancio e reso possibile da una disponibilità di informazioni sul cliente che il mercato non è in grado di  avere. (2)  Informazioni, che nascono dal rapporto stretto e continuato nel tempo tra la banca e il suo cliente, anche grazie al continuo monitoraggio dell'andamento dei suoi conti. 

Chi ha fatto banca, quando si faceva banca, lo sa benissimo. La segreteria fidi di una modesta filiale conosceva la situazione del cliente non meno bene di lui e senza dover nemmeno leggere i bilanci.

La "mercatizzazione" del bilancio bancario, dal lato dei depositi con la crescente estensione del risparmio gestito, e dal lato dei crediti con la diffusa cartolarizzazione, ha creato una dicotomizzazione di quella gestione unitaria prima menzionata.  Causa soprattutto di una gestione sempre più mirata all'incremento patrimoniale a brevissimo termine da valorizzare su mercati finanziari nazionali ed esteri che trapassano sovente dal panico all' "euforia irrazionale ". (3)

Una politica gestionale, questa, che, se è dannosa in altri settori, è deleteria per la funzione delle  banche, sospinte  ad incoraggiare indebitamenti di soggetti con scarsa solvibilità e ad impegnarsi in  investimenti finanziari ad alto rischio anziché in quelli produttivi.  

Si può sostenere che il credito bancario sia un "bene relazionale" in sé,  o quanto meno implichi un correlato bene relazionale. La letteratura scientifica invidua tali beni quando il loro scambio si effettua con una stretta relazione personale nel tempo tra i contraenti. Nel nostro caso è tipicamente il rapporto fiduciario tra la banca e il suo cliente. (4) Fiducia che è drammaticamente crollata  nei confronti di tante banche che hanno venduto le obbligazioni subordinate come prodotti di assoluta sicurezza, e anche nei confronti delle stesse istituzioni che hanno mal vigilato e lasciato decorrere i termini del bail in senza adeguata informazione per i sottoscrittori di quelle obbligazioni. (5)

La diffusa pratica delle cartolarizzazioni deresponsabilizza la banca nella selezione del cliente e alla lunga conduce alla perdita di capacità nel valutare il merito creditizio. Un aspetto certamente sottovalutato e che è per buona parte – ritengo - all'origine dell'attuale situazione.

Esemplare  Luigi Einaudi quando valorizza l'elemento umano del rapporto bancario.

"Ufficio del banchiere è invero quello quello di affidare danari altrui all'uomo capace e probo, il quale sappia farli fruttare a proprio vantaggio ed, al momento opportuno, li restituisca.  [...] Ma Tutto sarà vano – archivi bene ordinati, esperienza accumulata, personale esecutivo scelto attraverso setacci finissimi – se non si possiederà il fattore primo di successo di una banca: l'uomo (6).  E nella sua relazione da Governatore della Banca d'Italia: "Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati, o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile; ma devono raggiungere questi giusti fini col servire nel migliore modo il pubblico". 

Qualche autorevole economista chiede si instauri un "mercato" dei NPL. Ho già ricordato come la natura stessa del rapporto creditizio bancario mal si presti ad un apprezzamento di mercato e nel caso poi dei NPL si può ben configurare il cosiddetto "mercato dei bidoni", di cui parla Akerlof, (7) premio Nobel per l'economia insieme a Stiglitz e Spence, studiosi dei mercati con "asimmetrie informative". Un mercato nel quale si scambiano beni o servizi di diversa qualità in presenza di incertezza cognitiva da parte di uno dei contraenti.  Riferito inizialmente al mercato delle auto usate, si mette in evidenza la forte asimmetria di informazioni tra colui che vende e colui che acquista.  Rapportato al nostro caso, anche in via teorica e senza considerare  le richiamate speculazioni in atto, dovute anche alla pressione sul venditore per la liquidazione dei crediti, l'acquirente sarà disposto ad accettare un prezzo ben inferiore alla  reale qualità media dello stock messo in vendita.

Il prezzo "di mercato" sottovaluta di molto i crediti con migliore recuperabilità, che sono anche quelli di situazioni che, se accompagnate da adeguate politiche di sostegno e di riconversione,  possono superare la grave contingenza spesso dovuta a meri problemi di liquidità.  Non va dimenticato che l'attuale lunghissima crisi ha falcidiato, si stima, il 25% della nostra base manifatturiera.

Inoltre è probabile che i crediti più difficilmente recuperabili, saranno cartolarizzati aumentando un "inquinamento finanzario" non meno dannoso di quello ambientale (come denunciò una volta Federico Caffè) (8)

Insieme all'impegno per un nuovo New Deal che riporti in onore la politica e la sua supremazia sugli interessi costituiti, occorre riconquistare la funzione essenziale della vera banca, quella dei nostri Einaudi, Menichella, Saraceno, Gambino, Mattioli, interessati all'accumulazione e alla crescita produttiva, alla "moneta che si fa reddito e questo occupazione"  (ancora Caffè). Nella separazione tra banca e industria e tra banca commerciale e banca di investimento, ma soprattuto recuperando quel rapporto di personale fiducia tra la banca e il cliente declinato nel tempo: sia questo l'onesto risparmiatore e il saggio consumatore, e soprattutto il "probo" e coraggioso imprenditore, la cui funzione J. A. Schumpeter ha benissimo descritto per lo sviluppo di un Paese (9).

 

Note

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L'articolo riprende alcuni temi espressi alla tavola rotonda organizzata dal "Gruppo Caffè" sugli NPL, tenuta a Roma il 15 maggio scorso. Ringrazio C. Gnesutta, R. Schiattarella, M. Vitale, S. Zamagni per aver letto e commentato l'articolo, di cui comunque rimango il solo responsabile.


1) Solo una concezione da "pitagorismo economico" può considerare il capitale proprio "la stella polare" della gestione delle banche, come vuole ad esempio Salvatore Rossi, DG della Banca d'Italia nella lectio magistralis di marzo 2015, al Collegio universitario Borromeo di Pavia. La cui solidità di gestione, come è noto, è data dall'equilibrio quantitativo e qualitativo dei flussi di entrate e di uscite finanziarie. Il capitale è un segnale dato al "mercato" più che una garanzia vera e propria in caso di reali difficoltà, sia in termini di liquidità o peggio di insolvenza.  Si veda anche Marco Vitale, "Tentativo di fare il punto sulla situazione del sistema bancario italiano", di prossima pubblicazione su Micromega. Una concezione e un vincolo che mira, di fatto se non intenzionalmente, a denazionalizzare i sistemi creditizi e anche ad eliminare banche di dimensione contenuta, proiettate sul territorio e con forma giuridica diversa da quella delle grandi società per azioni, come il credito cooperativo; che, nonostante le evidenti responsabilità, andrebbe pur difeso, riportandolo all'originaria vocazione.

2) Una lucida ed equilibrata sintesi delle vicende storiche e del dibattito teorico in merito alla banca è quella di R. De Bonis, La Banca, Carocci, Roma, 2008.  Ma si veda anche di M. Onado, il classico, La banca come impresa, Il Mulino, Bologna 2004 e dello stesso il recentissimo, Alla ricerca della banca perduta, Il Mulino, Bologna 2017.

3) R. Shiller, Euforia irrazionale: alti e bassi di Borsa, Il Mulino, Bologna 2009.  Sui limiti teorici e fattuali dei mercati finanziari, sia sul lato della domanda che su quello dell'offerta, è sempre di staordinaria attualità il saggio di Federico Caffè, Di un'economia di mercato compatibile con la socializzazione delle sovrastrutture finanziarie, in Giornale degli economisti e annali di economia, 1971, 9-10, pp. 664-684 articolo (reperibile anche in internet).  

4) Si veda di Stefano Zamagni, L'economia civile e i beni relazionali, in Riccardo Vitale (a cura), Le nuove economie, Dall'economia evolutiva a quella cognitiva: oltre i fallimenti dell'economia neoclassica, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005, pp. 153-169.  

5) Forse non tutti sanno che questi strumenti finanziari furono originariamente pensati come elemento di valutazione del mercato circa la capacità delle banche di monitorare i propri crediti secondo le norme di Basilea 2. Erano prodotti destinati a un mercato composto solo da operatori finanziari e il cui prezzo (e tasso di interesse) avrebbe segnalato la diversa affidabilità della banca emittente (Cfr. R. De Bonis, La banca, cit., p. 85). Sappiamo invece come sono stati utilizzati, nell'inerzia dei vigilanti!

6) Luigi Einaudi, Banche con aggettivi, (1924), riprodotto in Luigi Einaudi, La difficile arte del banchiere, Utet libreria, Edizioni di Banche e Banchieri, s.d., pp. 156-161.  Nuova edizione a cura di Rossana Villani, Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 154-158.

7) L'articolo seminale di G. A. Akerlof, Il mercato dei "bidoni": incertezza sulla qualità e meccanismo di mercato (1970), è riprodotto in Enrico Saltari (a cura), Informazione e teoria economica, Il Mulino , Bologna 1990, pp. 107-112. 

8) Alcuni disegni di legge presentati in Parlamento tendono, con la leva fiscale, a favorire il rapporto diretto tra banca e cliente ai fini del recupero, disincentivando l'esternalizzazione e la correlata deresponsabilizzazione della banca. E se proprio si vuole fare una Bad bank, la si faccia corresponsabilizzando il sistema bancario, nella valorizzazione delle risorse interne e magari riducendo gli esuberi con qualche vantaggio sociale che pure non guasta.  E congiuntamente a un intervento dello Stato, si cerchi di recuperare il recuperabile alla base produttiva del Paese, anche con forme di eventuale compartecipazione dei lavoratori e l'intervento degli Enti e forze produttive locali.

9) Si veda F. Vicarelli, la voce Credito, in G. Lunghini (a cura, con la collaborazione di M. D'Antonio), Dizionario di Economia politica, Boringhieri, Torino, 1983, vol. 7. 

*Iscritto ANPI, sez. A. Bei, collabora con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio

Martedì, 6. Giugno 2017
 

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