Lavoro, Renzi guardi la Spagna. E non faccia lo stesso

Le autorità europee indicano la riforma del governo Rajoy come esempio, ma i risultati sono catastrofici. Taglio dei salari e azzeramento dei diritti hanno avuto come conseguenza un’impennata della disoccupazione oltre il 25%, la quasi scomparsa dei contratti a tempo indeterminato e una ripresa dell’emigrazione, mentre l’occupazione è tornata ai livelli del 2001

Il giudizio positivo sulle riforme del lavoro in Spagna, assunte dalla Commissione europea come un esempio, è privo di senso. La loro caratteristica è il progressivo smantellamento dei diritti e il deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.

 

La politica del governo del Partito popolare in Spagna è propagandata come un esempio da seguire da parte delle autorità europee, dai datori di lavoro e dai gruppi finanziari spagnoli. Tra i leader europei ai quali viene proposto vi è ora Matteo Renzi, il nuovo presidente del Consiglio dei ministri italiano. Il giudizio positivo su queste riforme è tuttavia un arcano per chi vive e lavora in Spagna. Esse si basano essenzialmente sulla riduzione dei salari e dell'occupazione e sulla compressione della spesa sociale. E’ stata questa l’essenza delle riforme strutturali del Partito popolare, una volta conquistata la maggioranza assoluta nel Parlamento.

 

Perché le riforme siano considerate un successo rimane un enigma. Da un punto di vista macroeconomico, abbiamo assistito nel 2012 all’aumento del deficit di bilancio, a dispetto del fatto che con un patto bipartisan, comprendente il Partito Socialista, sia stata inserita nella Costituzione la regola suicida del pareggio di bilancio.

 

Per quanto riguarda i salari, la politica del Partito popolare ha proseguito e intensificato la campagna lanciata dal governo socialista nel 2010, con un generale abbassamento del livello salariale dei lavoratori spagnoli. Il governo del P.P. esalta la diffusa svalutazione dei salari come rimedio contro la precedente "rigidità", ma è noto che le statistiche sono state manipolate in modo da occultare l’inizio del declino a partire dalle prime riforme del 2010.

 

L’aspetto più rilevante e disastroso della nuova fase è stato lo smantellamento del sistema della contrattazione collettiva attraverso l'imposizione per legge del decentramento contrattuale e del primato della contrattazione aziendale rispetto alle diverse forme di contrattazione collettiva settoriale e intersettoriale. La disarticolazione del sistema di contrattazione collettiva ha avuto come conseguenza la rottura, potenzialmente irreversibile, del dialogo sociale, e la paralisi della contrattazione come meccanismo di regolazione, mentre veniva totalmente cancellata la contrattazione collettiva nel settore pubblico.

 

D’altra parte, il problema più pressante è l'occupazione. L’ininterrotta sequenza di riforme ha liberalizzato le assunzioni e deregolato i licenziamenti senza “giusta causa”, in nome della creazione di nuovi posti di lavoro. Il tutto praticato con la reiterata adozione di decreti-legge in una totale immedesimazione fra potere esecutivo e legislativo. Nel giro di due anni, fra il RDL 3/2012 e il RDL 3/2014 si sono susseguite più di venti norme di riforma delle precedenti riforme, sempre in senso ablativo di diritti.

 

Il risultato di questa politica, ufficialmente diretta a creare occupazione, è stato un progressivo e drammatico crollo dell’occupazione, arrivata a superare il 25 per cento della forza lavoro. La distruzione dei posti di lavoro ha portato all’inversione dei flussi migratori, con giovani lavoratori e lavoratrici costretti a lasciare la Spagna per trovare lavoro in Germania, in Inghilterra o in Sud America.

 

Al crollo dell’occupazione e all’aumento del numero di persone spinte sulla soglia della povertà, si è accompagnato un vasto fenomeno di disinvestimento nei servizi pubblici, di chiusure e di privatizzazione. Mentre contemporaneamente si contraggono i bilanci in materia d’istruzione e, in particolare, nell'istruzione universitaria con la scomparsa virtuale delle linee di ricerca e sviluppo, che pure sarebbero necessarie in una prospettiva di superamento della crisi.

 

Nel campo della sanità, la riduzione di risorse ha favorito l’emersione di forme di privatizzazione delle strutture sanitarie. Alcune proposte estreme, come nella Comunità di Madrid, sono state bloccate da una forte mobilitazione sociale e dall’intervento della magistratura. In altri casi, come in Catalogna, le controriforme hanno fatto il loro corso. Senza dimenticare che alla privatizzazione dei servizi pubblici si sono accompagnati diffusi fenomeni di corruzione, favorita dalla opacità dell'azione di governo e dalla difficoltà di efficaci controlli.

 

Nel sistema di sicurezza sociale, mentre si sostiene il criterio della "sostenibilità" unilateralmente definito dal potere pubblico, in nome del pareggio del bilancio pubblico, si riducono le entrate con l’adozione di un sistema "forfettario” di contribuzione da parte delle imprese, provocando a medio termine il deterioramento del sistema pensionistico.

 

In che cosa consiste il preteso vantaggio comparativo acquisito dalla Spagna rispetto agli altri paesi europei che soffrono la crisi? Sulla base dei dati di cui tener conto, l'elemento più evidente è il progressivo graduale smantellamento dei diritti e il degrado delle condizioni di esistenza di quelle che una volta erano chiamate classi subalterne. Il lavoro, dimensione essenziale in un regime politico democratico, è il bersaglio al centro dell'azione di governo, con l’obiettivo di svuotarne il contenuto sociale, svalutarne la funzione economica, liquidare la sua funzione di coesione sociale.

 

Questo processo di destrutturazione che attacca direttamente la fisionomia dello stato sociale e rende estremamente ardua l’azione sindacale collettiva si muove in un orizzonte antidemocratico di distruzione della cittadinanza delle masse lavoratrici. E’ questa la politica del governo di Rajoy, di cui si propone la replica nei paesi europei in difficoltà, come un esempio da seguire. Ma è un cattivo esempio.

 

Tra riforme e disoccupazione: i dati del 2012-2013

1 . Dopo l’avvento al potere del governo Rajoy è crollato il livello della popolazione attiva. Dalla fine del 2011 agli ultimi dati disponibili, nel quarto trimestre del 2013, la forza lavoro è passata da 23,1 milioni di persone a 22,6 di oggi, vale a dire una diminuzione di 426 mila unità. Nel periodo antecedente alla crisi, tra il 2007 e il 2011, la forza lavoro era aumentata di 676.000 unità. Questo processo si spiega, da un lato, col calo della popolazione e, dall'altro, col fatto che la mancanza di prospettive di lavoro costringe coloro che sono in età lavorativa a lasciare il mercato del lavoro entrando a far parte dell’esercito della popolazione inattiva.

 

2.  Insieme con il declino della forza lavoro è sceso drasticamente il numero degli occupati. La riforma del lavoro ha significato la distruzione di quasi un milione e mezzo di posti di lavoro, riportando l’occupazione al livello del 2001, quando la forza lavoro era solo di 18,3 milioni di lavoratori.

 

3. D’altra parte, il deterioramento della qualità dei contratti di lavoro è impressionante. L'occupazione a tempo indeterminato è stata sostituita da occupazione temporanea e il tempo pieno dal lavoro part-time. Dei 14.792.614 contratti registrati nel 2013, solo 1.134.949 sono stati a tempo indeterminato, meno dell’8 %. Secondo gli ultimi dati di contabilità nazionale dell’Istituto nazionale di Statistica (Ine) l'economia spagnola sta perdendo posti di lavoro a un ritmo di 522 mila a tempo pieno in un anno. Solo i contratti puramente temporanei e di formazione accrescono il loro peso nel reclutamento complessivo, accrescendo la precarietà.

 

4. Il 50,8 % dei disoccupati è rimasto più di un anno senza lavoro (3.043.546 persone); il 32,7 per cento è rimasto più di due anni senza lavoro, e il 22,1 per cento più di tre anni. In due anni il tasso di tutela di disoccupazione è diminuito di tre punti, dal 37 al 34,1 per cento, mentre l’86 per cento dei giovani sotto i 30 anni non riceve nulla, così come il 65 per cento delle donne e il 51 per cento degli uomini con più di 30 anni. Mentre l’indennità media di disoccupazione è passata da 5966 euro l’anno nel 2.011 a 5.011 euro nel 2013, il 16 per cento in meno, mentre la spesa per l’assistenza ai disoccupati e per le politiche attive del lavoro è diminuita del 52%, passando da € 1.544 nel 2011 a 740 euro nel 2013.

 

* Docente di Diritto del lavoro - Universidad de Castilla-la Mancha

Lunedì, 31. Marzo 2014
 

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