L'altra strada per l'energia

Sulle energie alternative al petrolio circolano spesso mistificazioni, anche in buona fede, sulle condizioni del loro utilizzo. Un'analisi delle varie fonti, anche in relazione alla sostenibilità ambientale e al rapporto con iposti di lavoro che possono creare. E un'idea per l'utilizzo di un'altra enorme fonte oggi sprecata

In un precedente articolo avevamo esaminato la politica energetica in rapporto all'ambiente ed ai meccanismi decisionali di uno Stato federale, come quello che potrebbe caratterizzare l'Italia in tempi difficilmente prevedibili. In particolare, avevamo valutato le varie forme di energia con lo schema costi-benefici, nonchè le interazioni tra politica energetica, teoria della localizzazione, teoria e politica dei trasporti. Poichè i dibattiti su questo argomento e i contributi scientifici autorevoli e da varie fonti si vanno infittendo; e pochè il nostro paese, nel giro di un paio d'anni, si troverà di fronte a scelte che, a seconda di come verranno (o non verranno) effettuate incideranno sul suo avvenire di medio periodo, mi sembra opportuno ritornare sul tema, allargandone i confini alle problematiche dello sviluppo sostenibile.

   

Potrebbe apparire singolare richiamare il principio della sostenibilità in una fase di sviluppo zero o negativo. Non è così. Il consumo delle riserve di energie non rinnovabili non solo non si riduce, ma paradossalmente aumenta in un regime di prezzi calanti, che ne maschera la non riproducibilità. Anche con il petrolio a 70 dollari, l'incentivo ad impiegarlo si accresce, mentre rallentano gli investimenti in fonti alternative. I due principali produttori di cellule fotovoltaiche, la Cina e la Germania, hanno bruscamente frenato la loro espansione.

   

Alcuni autori sostengono che la crisi mondiale potrebbe esercitare un ruolo positivo se inducesse i sistemi socio-economici

a recuperare principi propri dello sviluppo sostenibile, che la frenesia consumistica aveva obnubilato. Contemporaneamente occorre sfatare alcuni miti superficiali sull'economicità a breve termine e sul loro peso relativo rispetto alla domanda complessiva di energia. E' altresì opportuno studiare il rapporto fra tipi di energia e livelli occupazionali, nonchè il legame forse non immediatamente palese fra politica energetica e politica dell'equilibrio sociale (che comprende sia un buon livello di equidistribuzione delle ricchezze che un alto grado di partecipazione democratica alle scelte).

 

Di questi dibattiti e di questi interrogativi non vi è traccia nelle direttive di una classe dirigente che confonde la semplificazione con il semplicismo, la difesa dei diritti individuali con l'egoismo asociale, l'autorevolezza con l'arbitrio autoritario e che pensa - e afferma - che i problemi complessi abbiano soluzioni elementari. Donde la politica urbanistica fondata sull'espansione volumetrica degli immobili esistenti, così da amplificare la devastazione del territorio anche a vocazione agricola ed a portare a livelli di insostenibilità le correnti di traffico; la scelta non motivata né ponderata del nucleare, ammantata con le solite decisioni muscolari (affidamento dei siti all'esercito, il dottor Dulcamara dei mali italiani, dato che si occupa dei problemi più disparati, dalla raccolta dei rifiuti - non ancora quella dei pomodori! - alla caccia ai rom); la stessa superficialità nel privilegiare i trasporti su gomma anziché l'espansione della rete ferroviaria. E così via cianciando, in un profluvio di conferenze stampa che nascondono l'assenza pressocché totale di un programma economico e sociale.

 

Dobbiamo dunque porci una serie di interrogativi. Esistono illusioni o mistificazioni, anche in buona fede sulla convenienza in tempi brevi di certe forme di energia? Esiste un rapporto - più o meno virtuoso - fra scelte energetiche, struttura dei consumi e livello di occupazione? Quali sono le forme di trasporto e le conseguenti scelte di localizzazione residenziale, particolarmente adatte a garantire la sostenibilità dello sviluppo? Infine, tale sostenibilità è compatibile con l'attuale tipologia dei consumi e, quindi, dei prodotti?

 

Le illusioni, totali o parziali, riguardano l'economicità di 4 forme di energia, di cui una "pesante" e tre, per così dire, soft. La prima è quella nucleare; le altre sono riferite al fotovoltaico, alla geotermia e all'idrogeno. Del nucleare si è già occupato, su questa rivista, Renzo Bellini. E' stato osservato che la convenienza economica dell'energia nucleare prodotta dal tipo di centrali delle quali il patrio Governo vorrebbe dotare l'Italia è quanto meno dubbia, per due considerazioni di fondo. Perchè non sono ben calcolati i costi dell'attività di messa in sicurezza delle centrali, così come non si conoscono esattamente quelli della eliminazione delle scorie e delle dismissioni, al termine della vita degli impianti. A ciò si aggiungano la rigidità di produzione (le centrali non si spengono praticamente mai) e, come per tutte le energie concentrate, i costi e le dispersioni delle reti di distribuzione. Si è obiettato che, però, il nucleare ha molti vantaggi sotto il profilo ambientale. Anche questo non è esatto. Per alimentare una centrale per un anno occorre sbancare 160.000 tonnellate di roccia, processarle con sistemi altamente inquinanti ed occuparsi anche delle rocce esauste, che contengono ancora isotopi radioattivi (cfr. N. Armaroli e V. Balzani: Energia per l'astronave Terra, Zanichelli, Bologna, 2009).

   

Purtroppo vi sono - per il momento - dolenti note anche per il fotovoltaico, che pure ha un blillante avvenire. Se gli incentivi adottati in tutti i Paesi venissero meno, il fotovoltaico sarebbe spiazzato, in termini economici, dal petrolio ed ancor più dal carbone, perchè i suoi costi sono dalle 2 alle 5 volte maggiori di quelli delle fonti tradizionali. Tuttavia in questo campo la rapidità dei progressi tecnologici lascia prevedere un favorevole futuro entro dieci anni. Rimarrebbero, però, le difficoltà legate ad una forma di energia non concentrata.

   

L'energia geotermica non è sempre così conveniente come parrebbe dagli esempi dell'Islanda e di Larderello. Quando i vapori sono di modesta entità e non continuamente alimentati, occorrono costosi lavori per mantenere in funzione il sistema. Più promettente, ma solo per abitazioni sparse e non troppo alte, il sistema delle pompe di calore, che sfruttano anche le piccole differenze di temperatura fra il sottosuolo e l'ambiente.

   

Un discorso a parte vale per l'idrogeno. Non esiste libero in natura. Va prodotto, per elettrolisi o per estrazione da minerali, con processi, per ora, costosi ed inquinanti.

  

Resta, comunque, il fatto che l'Unione Europea prevede che, per il 2020, il 20% dell'energia totale sia prodotto da fonti rinnovabili.

 

Esiste certamente un rapporto significativo fra forme di energia e livello di occupazione: ciò modifica, dal punto di vista collettivo, i calcoli di convenienza economica. Sotto questo profilo il nucleare, il termoelettrico e l'droelettrico hanno un rapporto estremamente basso fra unità di lavoro e unità di energia prodotta ed erogata. L'eolico e il fotovoltaico, funzionando con automatismi, parrebbero addirittura a occupazione zero; ma non è così, perchè si crea occupazione nella produzione delle cellule, delle pale e dei sistemi connessi, nonchè nella manutenzione. Complessivamente in Germania e in Cina gli occupati nel settore fotovoltaico hanno superato i 2 milioni.

 

Nelle forme di trasporto si assiste in tutto il mondo ad una nuova, grande fiammata della ferrovia, non tanto per l'alta velocità quanto per l'alta capacità, come alternativa al congestionato e inquinante trasporto su strada. La ferrovia rinascerà però in un sistema complesso che consenta, attraverso nodi attrezzati, di coniugare i vantaggi energetici ed ambientali con quelli del point to point. Brilla ancora una volta l'assenza in questi dibattiti dei maggiori esponenti del governo italiano, incapaci - apparentemente - di visioni che vadano al di là della programmazione del Grande Fratello.

 

Esiste, però, una formidabile fonte di energia "recuperabile", collegata al crollo della mitologia consumistica. Essa consisterebbe nella rivincita dei beni durevoli. Si tratterebbe di trasformare un'economia fondata su cicli brevissimi di produzione, consumo ed autodistruzione (con i formidabili problemi dei rifiuti) e con la netta prevalenza dei settori energivori, in un'economia che produca beni di lunga durata. La loro funzionalità verrebbe garantita da una continua opera di manutenzione.

   

Alla tesi secondo la quale questa scelta si tradurrebbe in un blocco o in un rallentamento del progresso tecnologico applicato, perchè frenerebbe le innovazioni di prodotto, si può rispondere in due modi. Innanzi tutto con l'ampliamento dei servizi alla persona, in senso fisico e spirituale, dall'istruzione continua alla prevenzione delle malattie: si svilupperebbero prodotti immateriali innovativi da offrire indipendentemente dai livelli di reddito. Ottenendo con ciò due risultati: una perequazione distributiva di tipo non monetario; un aumento dell'occupazopne, perchè i settori coinvolti hanno tipicamente un alto coefficiente lavoro/prodotto. Si limiterebbe, infine, il consumo di energia, realizzando così un'efficace politica ambientale. Ma soprattutto le innovazioni di prodotto non sono necessariamente collegate ad un processo di rapida autodistruzione per obsolescenza. Molti prodotti si prestano alla creazione di prototipi di tipo modulare, nei quali le parti innovative potranno essere introdotte con gradualità. Potrebbero rivivere così, in un'economia di manutenzione, mestieri artigianali da tempo abbandonati.

 

In conclusione, la vera risposta alla crisi energetica ed ambientale, anche senza affidarsi ad ipotesi avveniristiche, consisterebbe nella sobrietà degli stili di vita, coniugata ad una massiccia redistribuzione del benessere individuale e collettivo, su scala non solo nazionale, ma anche planetaria.
Venerdì, 26. Giugno 2009
 

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