In un precedente articolo avevamo esaminato la politica energetica in rapporto all'ambiente ed ai meccanismi decisionali di uno Stato federale, come quello che potrebbe caratterizzare l'Italia in tempi difficilmente prevedibili. In particolare, avevamo valutato le varie forme di energia con lo schema costi-benefici, nonchè le interazioni tra politica energetica, teoria della localizzazione, teoria e politica dei trasporti. Poichè i dibattiti su questo argomento e i contributi scientifici autorevoli e da varie fonti si vanno infittendo; e pochè il nostro paese, nel giro di un paio d'anni, si troverà di fronte a scelte che, a seconda di come verranno (o non verranno) effettuate incideranno sul suo avvenire di medio periodo, mi sembra opportuno ritornare sul tema, allargandone i confini alle problematiche dello sviluppo sostenibile.
Di questi dibattiti e di questi interrogativi non vi è traccia nelle direttive di una classe dirigente che confonde la semplificazione con il semplicismo, la difesa dei diritti individuali con l'egoismo asociale, l'autorevolezza con l'arbitrio autoritario e che pensa - e afferma - che i problemi complessi abbiano soluzioni elementari. Donde la politica urbanistica fondata sull'espansione volumetrica degli immobili esistenti, così da amplificare la devastazione del territorio anche a vocazione agricola ed a portare a livelli di insostenibilità le correnti di traffico; la scelta non motivata né ponderata del nucleare, ammantata con le solite decisioni muscolari (affidamento dei siti all'esercito, il dottor Dulcamara dei mali italiani, dato che si occupa dei problemi più disparati, dalla raccolta dei rifiuti - non ancora quella dei pomodori! - alla caccia ai rom); la stessa superficialità nel privilegiare i trasporti su gomma anziché l'espansione della rete ferroviaria. E così via cianciando, in un profluvio di conferenze stampa che nascondono l'assenza pressocché totale di un programma economico e sociale.
Dobbiamo dunque porci una serie di interrogativi. Esistono illusioni o mistificazioni, anche in buona fede sulla convenienza in tempi brevi di certe forme di energia? Esiste un rapporto - più o meno virtuoso - fra scelte energetiche, struttura dei consumi e livello di occupazione? Quali sono le forme di trasporto e le conseguenti scelte di localizzazione residenziale, particolarmente adatte a garantire la sostenibilità dello sviluppo? Infine, tale sostenibilità è compatibile con l'attuale tipologia dei consumi e, quindi, dei prodotti?
Le illusioni, totali o parziali, riguardano l'economicità di 4 forme di energia, di cui una "pesante" e tre, per così dire, soft. La prima è quella nucleare; le altre sono riferite al fotovoltaico, alla geotermia e all'idrogeno. Del nucleare si è già occupato, su questa rivista, Renzo Bellini. E' stato osservato che la convenienza economica dell'energia nucleare prodotta dal tipo di centrali delle quali il patrio Governo vorrebbe dotare l'Italia è quanto meno dubbia, per due considerazioni di fondo. Perchè non sono ben calcolati i costi dell'attività di messa in sicurezza delle centrali, così come non si conoscono esattamente quelli della eliminazione delle scorie e delle dismissioni, al termine della vita degli impianti. A ciò si aggiungano la rigidità di produzione (le centrali non si spengono praticamente mai) e, come per tutte le energie concentrate, i costi e le dispersioni delle reti di distribuzione. Si è obiettato che, però, il nucleare ha molti vantaggi sotto il profilo ambientale. Anche questo non è esatto. Per alimentare una centrale per un anno occorre sbancare 160.000 tonnellate di roccia, processarle con sistemi altamente inquinanti ed occuparsi anche delle rocce esauste, che contengono ancora isotopi radioattivi (cfr. N. Armaroli e V. Balzani: Energia per l'astronave Terra, Zanichelli, Bologna, 2009).
Esiste certamente un rapporto significativo fra forme di energia e livello di occupazione: ciò modifica, dal punto di vista collettivo, i calcoli di convenienza economica. Sotto questo profilo il nucleare, il termoelettrico e l'droelettrico hanno un rapporto estremamente basso fra unità di lavoro e unità di energia prodotta ed erogata. L'eolico e il fotovoltaico, funzionando con automatismi, parrebbero addirittura a occupazione zero; ma non è così, perchè si crea occupazione nella produzione delle cellule, delle pale e dei sistemi connessi, nonchè nella manutenzione. Complessivamente in Germania e in Cina gli occupati nel settore fotovoltaico hanno superato i 2 milioni.
Nelle forme di trasporto si assiste in tutto il mondo ad una nuova, grande fiammata della ferrovia, non tanto per l'alta velocità quanto per l'alta capacità, come alternativa al congestionato e inquinante trasporto su strada. La ferrovia rinascerà però in un sistema complesso che consenta, attraverso nodi attrezzati, di coniugare i vantaggi energetici ed ambientali con quelli del point to point. Brilla ancora una volta l'assenza in questi dibattiti dei maggiori esponenti del governo italiano, incapaci - apparentemente - di visioni che vadano al di là della programmazione del Grande Fratello.
Esiste, però, una formidabile fonte di energia "recuperabile", collegata al crollo della mitologia consumistica. Essa consisterebbe nella rivincita dei beni durevoli. Si tratterebbe di trasformare un'economia fondata su cicli brevissimi di produzione, consumo ed autodistruzione (con i formidabili problemi dei rifiuti) e con la netta prevalenza dei settori energivori, in un'economia che produca beni di lunga durata. La loro funzionalità verrebbe garantita da una continua opera di manutenzione.
In conclusione, la vera risposta alla crisi energetica ed ambientale, anche senza affidarsi ad ipotesi avveniristiche, consisterebbe nella sobrietà degli stili di vita, coniugata ad una massiccia redistribuzione del benessere individuale e collettivo, su scala non solo nazionale, ma anche planetaria.