La vera lezione del New Deal

Gli obiettivi del presidente Roosevelt furono prima di tutto sul piano civile e sociale. Come avrebbe detto in seguito Federico Caffè: „L'ideale è quello di costruire un mondo in cui lo sviluppo civile e sociale non sia il sottoprodotto dello sviluppo economico ma un obiettivo coscientemente perseguito“

Federico Caffè, rievocando l'esperienza del new Deal per i suoi 50 anni, scrisse un articolo dal titolo significativo:  «La politica contro l'inerzia della crisi»[i]. Non solo per superare la grave crisi economica, ma, come disse il grande presidente americano: «Progrediremo realmente? Il vero problema è se dobbiamo permettere che le nostre difficoltà economiche e la nostra imperfetta organizzazione frustrino il sano e sostanziale sviluppo del nostro governo civile»[ii].

Per Roosevelt e il suo brain trust il new Deal, sottolinea Caffè,  era soprattutto riforme civili e sociali, prima ancora che ripresa congiunturale, differenziandosi, in questo ordine di priorità, dal pur stimato Keynes [iii].

Per meglio fronteggiare le «corporations», considerate il despota del xx° secolo (e non lo sono da meno quelle del xxi°),  il cui potere esorbitava quello dei singoli gli Stati nazionali (come non meno quelle di oggi), rafforzò il potere federale e si alleò con il movimento sindacale - diventando una costante del Partito Democratico - vincendo la battaglia.

Dicendo la verità e presentando convincenti programmi ai suoi concittadini [iv], rianimò presto il Paese, che si  riprese economicamente, ma soprattutto progredì sul piano civile, sociale e quindi democratico; salvando lo Stato di diritto mentre molti, a quel tempo, guardavano con interesse alle diverse esperienze non democratiche in corso in Italia e Germania e in Unione sovietica.

Una lezione dimenticata, perché da decenni alle crisi e recessioni economiche fa seguito una continua regressione civile e sociale.

Una regressione[v], che si accompagna a quella democratica poiché, come riconoscevano Norberto  Bobbio e Luigi Ferrajoli già negli anni Ottanta,  Stato sociale e Stato di diritto sono strettamente correlati. Al progressivo abbandono del primo corrisponde il deperimento del secondo[vi]. Le conseguenze le vediamo nell'insorgere di spinte  populiste, sovraniste, suprematiste razziali e religiose e al ritorno di movimenti e partiti di estrema destra. 

Altra è la visione e la proposta della nostra Costituzione, ben sintetizzata da Caffè:  «L'ideale è quello di costruire un  mondo in cui lo sviluppo civile e sociale non sia il sottoprodotto dello sviluppo economico ma un obiettivo coscientemente perseguito»[vii]

Ma non basta il consapevole intervento della politica nella sua riconquistata indipendenza e riassunzione di supremazia sui poteri economici e di informazione costituiti; nella riaffermata direzione nella politica economica e finanziaria; nella rivalorizzazione dell'intervento pubblico e dello stesso lavoro pubblico che deve essere dignitosamente retribuito; nella ricostituzione di una significativa presenza pubblica in economia e anche nel credito, necessaria per una ripresa di una qualche forma di programmazione nazionale e territoriale; perché i capitali reali e finanziari vadano dove i lavoratori vivono e non il contrario, come chiedeva il Beveridge nella sua nota  opera sulla piena occupazione in una società libera. 

Occorre invertire le nefaste politiche europee deflazionistiche, in un clima di mancata solidarietà, perseguite da anni, con i paesi più deboli costretti al dumping salariale e sociale sul piano interno e soggetti a quello fiscale dei «paradisi fiscali» presenti nella stessa Unione; su cui pare ci sia qualche resipiscenza, ci si augura non temporanea, grazie purtroppo alla tragedia della pandemia.

Occorre anche il solidale concorso delle strutture sociali e della piena responsabilità di ognuno. «Togheter we cannot fail!» («Insieme non possiamo fallire!»), concludeva Roosevelt il suo primo «discorso al caminetto»[viii].  

Il sindacato è una fondamentale istituzione sociale la cui tenuta confederale è indispensabile  per quella democratica e sociale, anche unitaria di un Paese. Una responsabilità condivisa con i partiti politici[ix].

E' necessario ricostruire il welfare universale in una riconquistata socialità, più che  moltiplicare quello aziendale. Welfare universale, che è l'unica risposta razionale e unificatrice in un mondo sempre più pervaso dall'incertezza, come avverte il grande matematico ed economista, amico di Caffè,  Bruno de Finetti, che arrivava anche a chiedere un reddito universale per tutti[x].

Alla necessaria  solidarietà per il mondo del lavoro, la vera fonte di ricchezza del Paese e di arricchimento della persona, va coltivata la complementare solidarietà nel mondo del lavoro.

Nel secondo dopoguerra, i sindacati assunsero l'onere della continuità della produzione in assenza della proprietà e della dirigenza fuggita per collusione o complicità con il fascismo; i  Consigli di gestione cercarono di gestire anche a livello territoriale il drammatico problema della disoccupazione e della prima riconversione produttiva. Misero in un fondo comune per la disoccupazione gli utili aziendali percepiti dai lavoratori previsti allora dalla legge della repubblica fascista sulla socializzazione delle imprese; confermata dal CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia), ma con nuove e partecipate elezioni democratiche e con la messa in comune degli utili[xi].  

Il sindacato assunse allora una posizione rivendicativa molto contenuta, anche sulla spinta moderata delle sinistre che per tatticismo politico rinunciarono a quelle riforme che altri paesi occidentali stavano pur facendo, dando la precedenza ai problemi occupazionali[xii].

Ma la nota «politica dei due tempi», sacrifici oggi e ricompense domani, in quella occasione e poi nelle molte successive, ha sempre deluso le aspettative dei lavoratori.

Per scarsa lealtà da parte governativa in termini di politiche economiche e sociali, per non parlare della parte datoriale con l'evasione ed elusione fiscale, la fuoriusciuta dei capitali, i profitti non reinvestiti in innovazione e ristrutturazione. Il peggioramento pluridecennale delle condizioni economiche e normative del lavoro sono troppo evidenti per ripetere gli stessi errori.

Il problema della distribuzione deve affrontare, qui e ora, sia la situazione di crisi, sia la inaccettabile disparità di reddito e di ricchezza, e quindi di potere, causa a sua volta delle crisi economiche e sociali. Drastiche politiche economiche ed istituzionali tese a perequare quelle disparità e a colpire le correlate concentrazioni di potere non sono solo un problema di equità sociale, ma un evidente problema democratico.

Afferma Guido Calogero: «Senza l'eliminazione degli squilibri economici non c'è mai vera libertà politica, e senza la garanzia delle libertà politiche non c'è neppure la possibilità di sapere se la giustizia economica sia reale o illusoria»[xiii]

E secondo Caffè: «[...] La forza contaminante del denaro e del potere non crea meramente problemi di imperfezioni del mercato, ma ne influenza l'intero funzionamento. Poiché il mercato è una creazione umana, l'intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio»[xiv].

Considerazioni, sul piano logico ed effettuale, che ben giustificano il doppio rifiuto dello scambio tra equità ed efficienza e quello correlato tra democrazia ed efficienza

Tutte le risorse oggi e domani disponibili devono tener presente innanzitutto la divaricazione apertasi tra situazioni di relativa stabilità e sicurezza anche in condizioni modeste e quelle di  drammatiche condizioni di povertà, disoccupazione, cessazione dell'attività con l'angoscia di licenziare; di precarietà con l'angoscia della risoluzione contrattuale; senza dimenticare quelle di maggior rischio come per gli operatori sanitari.

Mai come in questo momento va utilizzato il concetto dello «Stato occupatore di ultima istanza», difeso con forza da Caffè. Tanto più che sono note le carenze di organici nel settore pubblico anche se spesso mal distribuite ed impiegate, su cui si potrà sempre intervenire. Che fine hanno fatto i Centri per l'impiego?

Il confronto e lo scontro sociale distributivo, nel settore privato, non deve privilegiare oggi dividendi e retribuzioni, ma indirizzarsi alla continuità aziendale e al mantenimento se non alla crescita dell'occupazione. Tenuta e crescita occupazionale che si assicurano stabilmente con i necessari investimenti, qui e ora, nel passato mancati, in innovazione, formazione e ristrutturazione aziendale.

Su questo fronte, anche di democrazia industriale, potrebbe svilupparsi un forte impegno nazionale e aziendale di rinnovi contrattuali, tesi ad ottenere convincenti piani di settore e «piani di impresa», supportati da adeguate risorse economiche e tecniche oltre che umane[xv]

La stessa cultura autenticamente cooperativa andrebbe valorizzata per una maggiore presenza di forme economiche non capitalistiche, in un contesto economico più articolato[xvi]

La «fraternità», richiamata di recente da un'autorevole sede religiosa, impegnata per un'economia radicata su rianimati valori evangelici e sulla cultura francescana[xvii], è oggi indispensabile per la conquista della libertà solidale e sobria, della «libertà giusta»; ma non va neppure dimenticata quella  invocata dal primo sorgere del movimento dei lavoratori, come ci ricorda anche il suo Inno di fine Ottocento scritto da Filippo Turati[xviii].  Fraternità, da riavvivare anche e soprattutto a livello internazionale. 

Stiamo constatando l'inadeguatezza organizzativa dello Stato in tutte le sue articolazioni e di importanti comparti dell'economia.

Anche qui il sindacato confederale, nella sua unità,  può fornire un decisivo contributo propositivo con il necessario, responsabile, impegnato coinvolgimento attivo dei lavoratori.                        

E' urgente riprendere e perseguire quel progresso democratico e sociale indicato dalla «apparente utopia» delle nostre madri e padri costituenti, il cui concretamento Umberto Terracini affidava alla battaglia e alla vigilanza dei lavoratori[xix], anche mobilitando le migliori risorse intellettuali esterne; «apparente utopia», che «non è dietro ma davanti a noi», parafrasando il poeta quando si riferiva alla vita di un suo più giovane amico.

(Giuseppe Amari – Fondazione Matteotti - giusamari45@gmail.com)

            

NOTE

[i]F. Caffè, "La politica contro l'inerzia della crisi. Un bilancio e una riflessione a cinquant'anni dall'inizio della presidenza Roosevelt", Rinascita, n. 10, 11 marzo 1983. Ripubblicato in  G. Amari, Maria P. Del Rossi (a cura), Franklin D. Roosevelt, Guardare al futuro. La politica contro l'inerzia della crisi, Castelvecchi, Roma 2018. Prefazione di James Galbraith, pp. 245-250.  Il volume traduce Franklin D. Roosevelt, Looking forward, John Day, NY 1933,  che pubblica gli interventi della sua prima campagna elettorale e dove si trovano lo spirito e i contenuti del New Deal. Presente anche il suo discorso di insediamento e il suo primo discorso al caminetto. Con Postfazione di A. Pepe e scritti di F. Caffè, M. P. Del Rossi, M. Franzini, J. M. Keynes, G. Leone, B. Mussolini e dello scrivente. In appendice gli «acts» dei frenetici primi 300 giorni.

[ii]Ivi,  p. 89. 

[iii]Keynes, preoccupato della resistenza degli imprenditori e dello sciopero degli investimenti, invitava il Presidente ad anteporre le politiche di ripresa congiunturale a quella delle riforme, pur da lui condivise. Roosevelt, da consumato politico, sapeva, invece,  che quel momento era il momento giusto di far passare le riforme sempre osteggiate, considerando la debolezza degli imprenditorei che chiedevano aiuto al governo. E così fece con successo. Si vedano le due lettere di Keynes a Roosevelt e i contributi di Maurizio Franzini e dello scrivente in G. Amari, Maria P. Del Rossi (a cura), Franklin  D. Roosevelt, Guardare al futuro. La politica contro l'inerzia della crisi, cit.  Un'idea delle riforme rooseveltiane emergono dagli stessi capitoli del volume che trattano i problermi della programmazione economica e territoriale, della riorganizzazione dello Stato e del Governo, dell'agricoltura, dell'energia, dei trasporti, della tassazione, della riforma giudiziaria e carceraria, della riforma delle banche e finanza e delle holding. 

[iv]«Questo è soprattutto il tempo di dire la verità, tutta la verità con franchezza e con coraggio [...]». Dal suo famoso discorso di insediamento, in Ivi, p. 174 e ss. E sui pericoli del radicalismo dovuti alla crisi, scriveva nella Introduzione al volume citato: «L'unico modo per fronteggiarlo è offrire un programma attuabile di ricostruzione. Questa, e solo questa, è la giusta protezione contro  una cieca reazione da un lato e un imprevedibile e irresponsabile opportunismo dall'altro». InIvi, p. 35. Purtroppo assistiamo, oggi, a livello europeo e mondiale, al crescere di quel rischio insieme alle due risposte errate e pericolose di involuzioni autoritarie e di demagico opportunistico populismo.      

[v]Se ne argomenta bene in AA.VV.,La grande regressione. Quindici intellettuali di tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo,  Feltrinelli, Milano 2017. Nella introduzione di Geiselberger si legge: «[...] Siamo testimoni di un declino rispetto a un determinato livello di “civilizzazione”, che credevamo irreversibile... La grande regressione che oggi si dispiega davanti ai nostri occhi sembra dunque essere il risultato di un'interazione tra i rischi della globalizzazione e quelli del neoliberismo. I problemi generati dalla incapacità della politica di far fronte alle interdipendenze globali trovano infatti delle società impreparate ad affrontarli sul piano delle istituzioni come su quello culturale [corsivo mio]».

[vi]Norberto Bobbio, "Stato liberale e 'Stato di benessere'.  Alcune critiche";  Luigi Ferrajoli, "La crisi dello Stato di diritto nella crisi dello Stato sociale". Ambedue in Ester Fano et al. (a cura), Trasformazioni e crisi del Welfare State, De Donato,  Bari, 1983, rispettivamente alle pp. 373-376  e alle pp. 419-429.

[vii]F. Caffè, "1947-1977. Gli stessi errori?" Intervista rilasciata a Ferdinando Vianello su Sinistra 77 n. 0 1977.  Riprodotta in G. Amari (a cura), Federico Caffè. La Dignità del lavoro, cit., p. 37.  Una bella intervista in cui Caffè, rievocando alcuni momenti topici della storia italiana, manifesta la sua amarezza per i ritardi e gli errori spesso ripetuti della sinistra.

[viii]Riprodotto in Franklin D. Roosevelt, Guardare al futuro. La politica contro l'inerzia della crisi, cit., pp.  180-198. Con un commento di  Giovanna Leone sulla sociologia della comunicazione.

[ix]«Quando la gente sconsideratamente e spocchiosamente deride i partiti politici, ignora che il sistema partitico di governo è uno dei più grandi metodi di unificazione, poiché insegna loro a pensare in termini di civilizzazione comune».F. D. R., Guardare al futuro. La politica contro l'inerzia della crisi, cit., p. 35. 

[x]Bruno de Finetti, "L'incertezza nell'economia", in Id., F. Emanuelli, Economia delle assicurazioni, Utet , Torino, 1967.

[xi]Per maggiori informazioni G. Amari (a cura), I Consigli di Gestione e la democrazia aziendale e sociale in Italia. Storie e prospettive, Ediesse, Roma 2014. Nel volume viene ripubblicato un importante convegno sui Consigli di Gestione, tenuto a Milano nel febbraio del 1946 presieduto da Giovanni Demaria, Rettore della Bocconi di Milano e Presidente della Commissione economica per la Costituente. Furono inizialmente pubblicati nello stesso anno dal Centro Economico per la Ricostruzione (CER) diretto da Antonio Pesenti, docente di economia, ministro per il PCI nei governi Bonomi e Presidente  della Commissione per i problemi del lavoro insediata presso il Ministero per la  Costituente presieduto da Pietro Nenni. 

[xii]F. Caffè, "1947-1977, gli stessi errori?", cit.

[xiii]Guido Calogero, Difesa del liberalsocialismo, con alcuni documenti inediti, cit. , p. 85.

[xiv] F. Caffè, "Problemi controversi sull'intervento pubblico", in Note economiche, n. 6 1979.

[xv]Una delle elaborazioni più avanzate in Italia in merito all'intervento del sindacato in azienda è quello del "Piano di impresa" che si tradusse anche in un disegno di legge. Elaborato nel 1979 dall' Istituto di Ricerca della Cgil (Ires), allora presieduto e diretto da Giuliano Amato e Bruno Trentin,  approvato anche da un consiglio generale della Cgil, prevedeva diritti di conoscenza e di confronto analitici sui programmi economici, finanziari e occupazionali aziendali da incardinare nella Programmazione economica nazionale e territoriale in cui erano allora impegnati Antonio Giolitti e Giorgio Ruffolo. Per maggiori informazioni G. Amato, M. Magno, B. Trentin, Il Piano di impresa e il ruolo del sindacato in Italia, De Donato, Bari 1980. La recente disponibilità manifestata dal Presidente del Consiglio in un incontro con Maurizio Landini organizzato dalla Cgil di affrontare il tema dell'aggiornamento dello Statuto dei lavoratori congiuntanente a quello dello Statuto di impresa può esser una buona occasione per riprendere il tema, anche alla luce dell'inapplicato art. 46 della Costituzione e che rappresenta un'anomalia rispetto ad altri paesi.

[xvi]In una situazionedi grave e imminente crisi occupazionale forme come anche il working buy out dovrebbero essere fortemente incoraggiate finanziariamente e tecnicamente. Unità di crisi adeguatamente attrezzate a livello governativo e ai livelli regionali, coordinate tra di loro e con la partecipazione di tutte le partieconomiche e sociali,compreso il mondo cooperativo, dovrebbero prepararsi ad affrontare  tempestivamente le situazioni di crisi aziendali, soprattutto quelle delle piccole  e medie aziende e del mondo artigiano, già troppo falcidiate. Esempi di successo, ancorché numericamente limitati, di working buy out, in P. De Micheli, S. Imbruglia, A. Misiani, Se chiudi ti compro. Le imprese rigenerate dai lavoratori, Guerini Associati, 2017.    

[xvii]Papa Francesco, in particolare con le sue ultime 3 lettere encicliche (Evangelii Gaudium, Laudato sì e la più recente Fratelli tutti), contesta, con deciso impegno critico e propositivo alternativo, l'attuale modello economico e sociale.

[xviii]Inno dei lavoratori scritto da Filipo Turati nel 1886. Ecco, tra le numerose, le due belle strofe finali:  «Su fratelli, su compagne .../ Se uguaglianza non non è frode / fratellanza un'ironia / se pugnar non fu follia / per la santa libertà / .... Su fratelli, su compagne / tutti i poveri son servi: / cogli ignavi e con i protervi / il transigere è viltà / Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: / o vivremo del lavoro / o pugnando si morrà».

[xix]U. Terracini, "La Costituzione e i diritti del lavoro", in un opuscolo divulgativo sulla Costituzione del 1948. Ripubblicato in Enzo Santarelli (a cura), Dalla Monarchia alla Repubblica 1943-1946. La nascita della Costituzione italiana, Editori Riuniti, Roma 2007. «Apparente utopia» è una bella espressione di Roosevelt rivolta ai suoi padri costituenti.

Venerdì, 11. Dicembre 2020
 

SOCIAL

 

CONTATTI