La stampa estera

Già un mese prima delle elezioni del 2001 l'avvento di un governo di centro-destra in Italia viene salutato dal principe dei quotidiani economici internazionali, il Financial Times, con un'intera pagina dedicata a B. e due grandi titoli: "L'opzione di Berlusconi: se vince le elezioni del mese prossimo dovrà separarsi da uno dei maggiori gruppi europei di media" - "Molte inchieste giudiziarie, qualche condanna, nessuna punizione" (27 aprile). Più caustico, il principe dei settimanali economici internazionali - l'Economist - apre a fine aprile con un editoriale rimasto famoso: "In ogni democrazia che rispetti se stessa sarebbe inconcepibile che un uomo in procinto di essere eletto premier sia sotto inchiesta per riciclaggio, legami con la mafia, evasione fiscale e corruzione di politici, magistrati e finanzieri. Ma il paese è l'Italia e l'uomo è Silvio Berlusconi". E conclude dichiarando che quella elezione "costituirebbe un giorno nero per la democrazia italiana e per lo stato di diritto". 
 
Non è che un primo assaggio. Nei cinque anni successivi l'accoppiata Bill Emmott / David Lane (rispettivamente direttore del settimanale e corrispondente da Roma) non perde occasione di lanciare bordate ancor più implacabili. Dedica ben tre copertine alla "anomalia italiana": maggio 2001 ("Why B. is unfit to rule Italy"), maggio 2003 ("Unfit to rule Europe"), maggio 2005 ("The real sick man of Europe"). A novembre 2005 esce un inserto speciale "Addio dolce vita" che non è propriamente una strenna natalizia. Pochi mesi prima David Lane pubblica per i Penguin Books il suo best seller "Berlusconi's Shadow: Crime, Justice and Pursuit of the Power".

Tutto ciò è noto. Meno noti - perché poco riportati dalla stampa italiana - sono tanti altri articoli di testate straniere a larga diffusione nel mondo. Chi tra noi in servizio all'estero non ha provato una fitta al cuore aprendo i più quotati giornali locali? come reagire, cosa smentire, come evitare che le rettifiche peggiorassero la situazione?
 
Le Nouvel Observateur (maggio 2001) a firma del direttore Jean Daniel:  "Come mai nel paese di Mani Pulite, dove si è sostenuta una guerra rischiosa e totale contro la mafia, un Berlusconi viene scambiato per un eroe? Forse una risposta è che per bisogno di sicurezza, per costume e per adorazione del denaro, una parte degli italiani ha finito per schierarsi con un grande manipolatore, che promette tutto a tutti e quindi è costretto a mentire a ciascuno… Nessuna voce si è levata dal Vaticano per ricordare che l'idolatria del vitello d'oro non si inserisce propriamente nelle tradizioni evangeliche… Si è preferito seguire la fiumana della vittoria berlusconiana, salvo sviarne il corso quando sarà giunto il momento".
 
Alla vigilia del primo viaggio a Washington del Presidente del Consiglio (ottobre 2001) Business Week titola "L'involontario regalo fatto da Berlusconi a Bin Laden", riferendosi alle sue esternazioni sull'Islam e al voto parlamentare sulle rogatorie internazionali: "Dagli attacchi dell'11/9 le autorità americane ed europee hanno potenziato la cooperazione nelle indagini di polizia, mettendo in comune ogni informazione sui conti bancari delle reti terroristiche e rafforzando le leggi sul riciclaggio e sugli altri reati finanziari. Eppure c'è un paese che sta marciando in direzione opposta: è l'Italia, malgrado l'opposizione della magistratura. E il principale responsabile non è altri che il suo Primo ministro".  Il giornale arriva a definirlo un "partner dubbio" perché - pur rivendicando di continuo la sua stretta alleanza con gli Stati Uniti - con le sue esternazioni contro l'Islam "ha rischiato di silurare gli sforzi americani per costruire una rete antiterroristica".
 
Lo stillicidio continuerà per cinque anni. Troppo noti per citarli qui sono i commenti stampa a seguito dell'incidente occorso all'Europarlamento durante la presentazione del programma di presidenza italiana della UE. Meno noto è quanto accaduto ad Oslo pochi giorni dopo. Il 16 luglio 2003 l'associazione norvegese "No alla UE" affigge ad Oslo una gigantografia di B. in campagna elettorale, sostituendone la didascalia con la frase: "Comprereste un'auto usata da quest'uomo?" Non è stato un buon viatico per incoraggiare la Norvegia ad aderire un giorno all'Unione.  Il 7 novembre, dopo il  vertice UE-Russia a Roma concluso dall'ormai famosa conferenza stampa con Putin, il compassato Figaro la descrive come un "happening surrealista e stupefacente che ha presentato la Russia come un sistema democratico dall'avvenire radioso". A dicembre l'altrettanto compassato quotidiano belga Le Soir racconta in toni esilarati "les dessous des affaires" del Consiglio Europeo che concluse in modo singolare il semestre. Con una testimonianza del premier lussemburghese Juncker: "Ho partecipato ad una riunione che non si è mai tenuta…".
 
Chi di noi si trovava a Parigi il 14 dicembre 2004 ha provato un brivido passando davanti ai chioschi dei giornali, dove faceva bella mostra di sé la prima pagina di Le Monde. In alto una foto a colori dell'incantevole viadotto francese di Millau, progettato da Norman Foster e inaugurato proprio quel giorno; accanto, la vignetta quotidiana di Plantu, che quel giorno (condanna di Dell'Utri a 9 anni) raffigurava, su sfondo tricolore, il sorridente premier italiano che addita a destra un gruppetto di ciechi ("mes électeurs") e a sinistra una Banda Bassotti ("mes collaborateurs"). L'accostamento del viadotto con la vignetta di Plantu non era deliberato - si spera - ma certo una vignetta di Plantu vale più di un editoriale. Per tutto il 2005 Le Monde - letto in ogni angolo del mondo francofono - ha sfornato articoli che lasciavano amareggiati i nostri diplomatici in servizio in tanti paesi francofoni:
"Berlusconi ou la tactique du trompe-l'oeil" (titolo del 13-1-05) "Applicata alla politica, è una tattica piuttosto perversa ed efficace della messinscena, cioè quella di ribaltare sistematicamente le situazioni: aggredire per aver l'aria di esser aggredito e posarsi a vittima quando sei sospettato di malefatte".
"L'Italie s'inquiète de son déclin économique et de sa perte d'influence" (titolo del 1-4-05) "Dopo il semestre di presidenza europea, marcato dalle tante gaffes di Berlusconi, gli italiani avevano mal digerito i primi abbozzi di direttorio tra francesi, inglesi e tedeschi. Le relazioni personali intrattenute dal premier italiano con gli amici Bush, Putin, Blair e Aznar non sono bastate a compensare la perdita di peso di Roma. L'ultimo Vertice di Parigi dove a Chirac, Putin e Schroeder si è aggiunto Zapatero ha lasciato l'amaro in bocca".
"Echec à Berlusconi" (titolo del 17-4-05) "Il suo ottimismo di facciata non rassicura più un paese demoralizzato che teme il declino economico".
"La fin du miracle italien" (titolo del 20-9-05) "Berlusconi terminerà il suo mandato su questo desolante bilancio: quasi recessione economica all'interno e discredito all'estero. La penisola è in preda a difficoltà strutturali che può risolvere solo un governo in grado di apparire impopolare. Cosa impensabile in quella telecrazia che è diventata l'Italia".
"Désarroi italien" (titolo del 25-9-05) "Marasma economico, confusione politica, paralisi delle istituzioni. L'Italia offre l'immagine di un paese in pieno smarrimento, il cui governo in affanno non riesce più a nascondere la propria impotenza ad affrontare le difficoltà".
"Berlusconi putschiste électoral" (titolo del 12-10-05) "Diceva Brecht che se il popolo non ha più la fiducia del governo, conviene cambiare il popolo. B. ha tratto ispirazione da quell'ironico suggerimento. Se il governo non si fida più che il popolo voti per lui, conviene cambiare legge elettorale per volgere in vittoria una sconfitta".
 
La sconfitta alle elezioni regionali del maggio 2005 alimenta articoli impietosi: tra i più duri la lunga analisi dell' Herald Tribune (18-5-05): "Berlusconi 'miracle' turns into mirage". Subito dopo inizia la saga che scuote il prestigio della Banca d'Italia, porta alle dimissioni l'ottimo ministro Siniscalco, mette a repentaglio l'immagine finanziaria del paese. Se ne fa portavoce la stampa conservatrice anglosassone, dal Wall Street Journal al Financial Times. Memorabili i corsivi dell'Herald Tribune del 13-9-05 ("Time to go, Mr. Fazio") e del New York Times del 29-9-05 ("Praticamente ogni italiano in età adulta ha già chiesto le dimissioni di Fazio"). Per la stabilità finanziaria dell'Italia è un settembre nero: ne sa qualcosa chi accompagnava Siniscalco nelle sue peregrinazioni a Washington, a Londra, a Bruxelles per rassicurare i colleghi stranieri, placare gli investitori istituzionali, convincere le agenzie di rating a non declassarci (in agosto Standard & Poor's aveva abbassato da stabile a negativo la "notation perspective" del debito italiano).
 
Stampa e tv di lingua tedesca, a differenza di quelle inglesi o francesi, non contribuisce a formare l'opinione pubblica mondiale; ma forma - eccome - l'opinione di cento milioni di lettori nel cuore d'Europa. Anche qui colpisce il fatto che siano i giornali conservatori i più severi. La definizione appioppata da Der Spiegel al Premier italiano - "Der Pate" (il padrino) -  ha leso la percezione, che i tedeschi stavano maturando, di un paese sul punto di debellare la Piovra.

Le intemperanze della Lega Nord sono state sempre riportate con accenti critici anche in Svizzera, benché la Lega tragga molte ispirazioni proprio da là. Die Neue Zuercher Zeitung, principale quotidiano svizzero, all'inizio del 2006 traccia un bilancio severo sul quinquennio: "Berlusconi non deve ricandidarsi. Nel contratto con gli italiani infatti il premier s'impegnava a rinunciare a ricandidarsi se il governo non avesse realizzato almeno quattro dei cinque punti previsti".

La stampa tedesca insiste molto sullo scadimento sia morale sia produttivo dell'Italia di oggi. Il Frankfurter Rundschau apre a gennaio con un titolo "Inizio d'anno ipocrita" e prosegue: "La coalizione di centrodestra ha risolto gran parte dei problemi giudiziari del suo leader e ha reso possibile un nuovo aumento dei profitti delle sue società. Purtroppo ciò si è ottenuto al prezzo di trascurare le difficoltà economiche dell'Italia". Fino all'affondo finale da parte di diffusi quotidiani sia conservatori come Die Zeit del 30 marzo ("Cinque anni non basteranno a riportare l'Italia dove stava nel 2001") sia progressisti come Tagesspiel ("B. è un male per l'Europa. Ha eroso la competitività del paese, ha avviato lo sfascio delle istituzioni e non è riuscito neppure a varare le riforme economiche").
 
La stampa spagnola ha dato parecchio risalto alla politica italiana, con accenti più critici dopo la vittoria della sinistra a Madrid. Ad inizio 2006 esce un pungente editoriale di Vanguardia, in cui B. viene definito "creatura e creatore della politica italiana postmoderna": "L'Italia è una nazione culturalmente e politicamente così forte che può permettersi un premier come Berlusconi, una delle anomalie più significative della UE. Forse perché è uno Stato giovane. O forse perché lo Stato italiano non esiste".  Il più caustico si conferma El Paìs, che traccia un bilancio negativo del governo B. definendo l'ultima settimana elettorale "una delle sue ultime pagliacciate".
 
Ai primi di febbraio scoppia la crisi con l'intera stampa estera accreditata in Italia. Intervistato alla TV 7 il presidente del Consiglio si lascia andare ad un'esternazione che i corrispondenti stranieri non dimenticheranno: "Anche questi giornali stranieri… hanno qui i loro giornalisti che non sono certo i migliori, diciamolo chiaro".  Commenti dei malcapitati: "Gli attacchi del Presidente sono uno show da campagna elettorale di un politico che non sa sopportare le critiche" dichiara Fischer del Frankfurter Allgemeine. Torralba Gonzales di El Pais definisce "ossessivi i rapporti tra questo governo e la stampa estera, a parte il fatto che non ho mai potuto ottenere un'intervista". Peter Popham (Independent): "E' un grandissimo onore appartenere a un club così selezionato". David Lane (Economist): "Questi cinque anni di governo hanno dimostrato che avevamo ragione".
 
Lo stile pirotecnico imposto alla campagna elettorale 2006 viene stigmatizzato dalla stampa estera di qualsiasi tendenza. Si riaffacciano i più triti stereotipi sul nostro paese: Commedia dell'Arte - per intenderci - o l'atavico spettacolo dei Fescennini, alimentato dalla battuta sui "coglioni che votano a sinistra". L'epiteto fa il giro dei giornali del pianeta - dal Financial Times (che traduce solo con "obscenity" ma lo sbatte in prima pagina) fino al Clarìn di Buenos Aires e il China Daily di Pechino.
 
Su temi più seri si sofferma un lungo editoriale del Guardian a metà marzo: "B. è il più pericoloso fenomeno politico europeo, la minaccia più grave alla democrazia d'Europa occidentale dal 1945 ad oggi. Durante il suo mandato come premier la qualità della democrazia e il tono della vita pubblica italiana si sono gravemente deteriorati". Ma l'editoriale più sorprendente è quello in pari data del Wall Street Journal, che per anni aveva dato credito al governo B.: "In 5 anni di governo si è dimostrato un leader opaco: l'economia italiana va al rallentatore persino in confronto alla bassa media europea. Gli imprenditori che erano i suoi elettori più fedeli si sono stancati delle sue promesse". 

Le Monde del 5 aprile dedica alle vicende italiane due paginoni dal titolo: "Les promesses n'ont été tenues qu'en trompe-l'oeil". Il giorno dopo esce un articolo in prima pagina sotto una vignetta di Plantu: "Silvio B. use et abuse de son hégémonie sur le paysage audiovisuel de la Péninsule". L'8 aprile altri due paginoni sul voto in Sicilia ("La Sicile morale s'organise et défie B.") e un editoriale dove si legge: "La scelta degli elettori si farà tra due opposte concezioni della politica e dello Stato. Passare dall'una all'altra significherebbe per l'Italia tornare a una certa etica politica dopo una lunga parentesi in cui l'esempio della trasgressione è sceso dall'alto…B. ha anche isolato il suo paese in Europa, dove è ormai distanziato dalla Spagna sia economicamente sia diplomaticamente". 
   
Herald Tribune (5 aprile): "Electronic voting comes to Italy (as do conspiracy theories)". La parentesi, rara in un titolo, è tutto un programma. Di nuovo il 7 aprile e in 1° pagina: "E' assurdo che mentre io lavoro giorno e notte ci siano dei funzionari pubblici che cospirano contro il Primo ministro. E' un'infamia". Nelle pagine interne appare un'analisi acuta su B.: "La grande stampa europea, accecata dal disprezzo verso di lui, finisce per fare il suo gioco. Quando il Guardian lo paragona a Satana gli italiani si risentono al punto da esser tentati di rivotare per lui…Così come negli Usa i Repubblicani hanno monopolizzato simboli positivi quali il patriottismo e la bandiera, B. si è appropriato di icone tradizionali in Italia quali il calcio, le barzellette spinte e gli atteggiamenti da Casanova, trasformando tutto ciò in voti".  

In quella settimana fatidica torna l'Economist con una copertina micidiale: "Basta. Time for Italy to sack Berlusconi". All'interno gli articoli sono impietosi. Il governo B. viene liquidato come "an abject failure": "La conclusione di questi cinque anni è che B. non è e non sarà mai quel vigoroso riformatore economico di cui il paese ha così disperato bisogno. Purtroppo ci sono motivi di dubitare che il suo antagonista Prodi sarà molto meglio".  
 
E' il momento di trarre un primo bilancio per valutare come e quanto la stampa estera abbia inciso sull'immagine dell'Italia nel passato Quinquennio.
 
Come si spiega che proprio la stampa liberal-conservatrice abbia criticato così aspramente il governo di centrodestra? Per l'Economist la ragione è palese: nessuno più dei giornali conservatori della grande tradizione anglosassone è ipersensibile alla violazione delle regole del capitalismo. Un concetto già espresso da Montanelli ed esplicitato a profusione da David Lane nel suo recente libro su B. ("When he has to compete in the market, he can't do it. He is someone who relies on wheeling and deeling"). Un concetto diffuso anche tra uomini d'affari come George Soros, che al World economic forum. di Davos 2006 ha dichiarato: "Chi ha una tale posizione di monopolio nei media non è la persona adatta a costruire una società più aperta"; o come Innocenzo Cipolletta, intervistato dal Corriere della Sera il 21 marzo dopo la famosa riunione confindustriale di Vicenza ("Mettiamola così: a me piacerebbe avere un governo di centrodestra che fosse liberale").
 
Come ha reagito il paese alla cattiva stampa che ha perseguitato il governo per un intero lustro? Il cittadino medio non è parso preoccupato oltre misura: per il semplice motivo che in Italia si leggono poco i giornali (per 1000 abitanti si vendono 150 copie, meno della metà che nei paesi nordeuropei) e non più dello 0,01% degli italiani posa l'occhio su un giornale straniero. Secondo un diplomatico radicato a Roma da tempo, questa indifferenza è stata anche favorita da una certa alterigia del governo nell'accusare di partito preso la stampa internazionale, definita spesso "di sinistra e anti-italiana": egli ha paragonato - mutatis mutandis - questo fenomeno all'atmosfera "baldanzosa" che regnava in Italia durante la guerra d'Etiopia, citando una frase attribuita al Duce nel periodo delle sanzioni ("Le potenze plutocratiche hanno scatenato contro di noi una tempesta: ma è una tempesta di carta stampata!").
 
La cattiva stampa che ha segnato il Quinquennio ha arrecato danni all'Italia oppure no? Non esistono ancora studi in proposito. Il governo ha più volte sminuito l'impatto sulla tenuta politica ed economica del Paese di questi attacchi della stampa estera. Ma un esperto come Piero Ottone, che ha diretto il Corriere della Sera negli anni di piombo, sostiene: "I giornali stranieri prendono atto dei nostri scandali e considerano certi nostri governanti personaggi da opera buffa. Il giudizio è severo. Ma non si creda che sia semplicemente un giudizio estetico e che lasci il tempo che trova. Purtroppo esso ha ricadute economiche molto gravi. I prodotti di un paese che non si stima si comprano meno volentieri. In un paese che non si stima non si fanno investimenti volentieri".
 
Quali iniziative mettere in atto alla Farnesina per riorientare i giudizi della stampa internazionale sul nostro paese? Intanto bisogna domandarsi se le nostre Rappresentanze trasmettevano al ministero gli articoli, inclusi quelli più critici, dei rispettivi giornali locali e - se sì - verificare come venivano impaginati nella rassegna stampa quotidiana. In altre parole, gli articoli critici verso l'Italia venivano letti o no dai "decision makers" del ministero? In secondo luogo occorrerà orchestrare un'intensa campagna d'informazione e di "moral suasion" verso la stampa internazionale, incaricandone i nostri capi missione in ogni paese di accreditamento. Terzo, sarebbe il caso di organizzare un incontro dei diplomatici italiani con i corrispondenti esteri accreditati a Roma, in occasione della prossima Conferenza degli Ambasciatori.
Mercoledì, 26. Luglio 2006
 

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