Gentilissimo Gianni Principe,
perché dovrebbe interessarmi una proposta di legge che non garantisce la durata indeterminata del contratto di lavoro? E' l'unica cosa che sta a cuore a noi precari. Tutto il resto sono elementi che rendono sempre possibile, per il datore di lavoro, scaricarci non appena diventiamo troppo costosi o di troppe pretese. Si fidi, ho 41 anni e non ho mai avuto un contratto stabile, ho lavorato per alcune delle aziende più grandi del paese (ma anche per le piccole e medie) e ho specializzazioni piuttosto elevate. Ma, finché il datore di lavoro non è obbligato ad assumermi, non se ne parla nemmeno. E non creda che non abbia provato a dare ultimatum: bene, quella è la porta, mi è stato detto. Sono superspecializzata, ma non sono certo l'unica al mondo...
Quanto a Treu: le mie disgrazie sono inziate proprio con lui, perché sono entrata nel mondo del lavoro con i co.co.co., e non mistificate la realtà dicendo che ha introdotto solo il lavoro interinale e io Treu l'ho sentito con le mie orecchie difendere i co.co.co., a suo tempo. Fino a che ci saranno personaggi come lui, per me il PD non avrà alcuna credibilità.
Cordiali saluti e auguri per una riflessione meno ideologica da parte sua
Barbara Anglani
Gentilisima sig.ra Anglani
la risposta che dò alla sua domanda, nell'articolo a cui immagino lei si riferisca (L'uovo di Colombo contro la precarietà) è che non c'è motivo per cui un contratto unico che non garantisce la stabilità dovrebbe piacerle o interessarla. Non capisco perciò se la sua domanda è retorica: la strada scelta dalla proposta di legge di cui parlo nell'articolo, per l'appunto, "non è quella di un contratto unico a geometria variabile, che altri autorevoli parlamentari del Pd hanno sostenuto e inserito in precedenti proposte di legge." Si differenzia da quelle proposte (Ichino e Nerozzi, seguendo l'impostazione di Boeri con cui in particolare Treu ha sempre polemizzato pubblicamente) perché "afferma invece un concetto che si sta facendo strada (faticosamente) e può segnare un punto di svolta: che alla base della diffusione del fenomeno della precarietà cè oggi un puro e semplice calcolo di convenienza economica. Dunque, bisogna aumentarne i costi, in base al principio della parità di costo a parità di prestazione." Solo così (argomentano i presentatori) si potrà scoraggiare il ricorso ai contratti a tempo e davvero garantire la durata a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro.
Mi deve scusare se ripeto tra virgolette il testo del mio articolo perché vorrei essere sicuro che si riferisca a quello e non ad altri testi, magari non miei, perché può sempre capitare di scambiare un nome per un altro. Così come ho il dubbio che ci sia un equivoco anche rispetto a Treu, che non è mai intervenuto a regolare per legge i co.co.co. ed è sempre stato molto critico con quella forma di sotterfugio. Quella dei cococo peraltro, come forse saprà, non era una tipologia di lavoro ma solo una modalità di applicazione del carico fiscale a contratti di lavoro autonomo che mascheravano invece una dipendenza, senza mai essere stati regolati. Il primo che ha inteso regolarli è stato Marco Biagi (il governo Prodi con Treu ministro era caduto 3 anni prima) che ha immaginato di mettere ordine imponendo di vincolare la collaborazione a un progetto, (sostituendo cococo con cocopro): un'idea probabilmente animata da buone intenzioni che si è rivelata quanto meno velleitaria perché le cose son perfino peggiorate.
Immagino che Lei avrà la pazienza di leggere il testo della proposta di legge per muovere eventualmente ogni possibile critica, purché indirizzata proprio a quella legge, di cui mi occupo nell'articolo, senza confusione con altre leggi, in modo da dare anche il suo prezioso contributo per favorire la creazione di un programma condiviso del centrosinistra, che in definitiva è ciò che a me personalmente sta a cuore. Altrimenti dovremo continuare a subire le conseguenze della politica di centro-destra che, animata da fanatismo e da pregiudizi ideologici (come quello dell'impresa-totem cui accenno nel mio articolo), sta dilapidando la risorsa più preziosa del nostro paese che si chiama, in gergo economico, capitale umano e che forse è meglio definire "persone che lavorano, o che aspirerebbero a lavorare".
Sperando di avere contribuito a chiarire uno spiacevole equivoco la saluto cordialmente