La riforma della contrattazione/1: Bruno Trentin

'Va difeso lo scheletro dell'accordo 1993, ma serve un lavoro di precisazione, in particolare per le categorie nel territorio'
Esistono posizioni diverse tra Cgil, Cisl e Uil, sul futuro della contrattazione. Sono emerse anche nel convegno promosso per presentare la nostra rivista on line “Eguaglianza e libertà”. Chiediamo il parere di Bruno Trentin, oggi parlamentare europeo per i Ds, ma per molto tempo prima segretario della Fiom e poi della Cgil.
 
Ha ancora una sua validità l'intesa del 1993, nonostante le grandi trasformazioni del mondo del lavoro?
 
Io credo che vada difeso lo scheletro di quell’accordo. Parlo di scheletro, quando parlo di una contrattazione collettiva a più livelli. Quello sul piano nazionale, per definire e aggiornare le grandi regole delle relazioni industriali, quello dei settori di categoria, quello dell’azienda, e quello di territorio, sia di settore che interconfederale.
Sono dunque livelli che esistono già? Eppure c’è una polemica intersindacale, soprattutto circa il livello territoriale spesso rivendicato dalla Cisl…
Esiste già un livello territoriale, più sul piano interconfederale, paradossalmente, che su quello di categoria. Penso, in ogni modo, alla contrattazione degli edili, alla contrattazione sui distretti industriali (i tessili, Prato, Biella), penso all’artigianato.
 
Non ci sono, dunque, interventi risolutivi necessari?
 
Lo scheletro di cui ho parlato va, a mio parere, mantenuto, affinato. Andrebbe compiuto un lavoro di precisazione, in modo particolare per la contrattazione delle categorie nel territorio, in relazione alle piccole imprese e per settori omogenei. Questo per definire un sistema di deleghe, nonché le forme di rappresentanza.
E’ questo, però, un altro punto caldo nei rapporti tra sindacati…
L’accordo del 1993 parlava di rappresentanze unitarie in tutti i luoghi di lavoro e per tutti i settori. Mi stupisco ancora che la legge che è stata approvata per le rappresentanze del pubblico impiego non debba valere anche per i settori dell’industria e del commercio, e per tutte le branche del lavoro.
 
Il contratto nazionale ha ancora, in ogni modo, una sua supremazia, un suo ruolo? E’ questo tema che divide la Cgil da Cisl e Uil?
 
Devo ricordare che anche nella Cgil, anni fa, si è parlato di superamento del contratto nazionale. C’era chi proponeva grandi contrattazioni di fatto interconfederali…
 
Era il cosiddetto contratto dell’industria?
 
Ricordo un convegno a Perugia, promosso dal sindacato dei chimici, con le varie categorie dell’industria. Io pensavo allora e penso oggi che il contratto nazionale sia insostituibile. Semmai sarebbe da riflettere sulle dimensioni europee della contrattazione. Sarebbe estremamente grave, invece, spostare la normativa di contratto nazionale nel territorio o addirittura, come qualcuno ha teorizzato, nelle regioni. C’è chi crede, così, di copiare il modello molto discutibile delle relazioni industriali nella Repubblica federale tedesca. E’ bene tenere presente che gli stessi sindacati tedeschi e le organizzazioni imprenditoriali hanno in sostanza superato quel modello che prevedeva contratti distinti per Länder. Ora si gioca tutta la partita contrattuale nazionale in un Land e quindi si va in quella regione con una piattaforma nazionale. I risultati sono estesi meccanicamente a tutti gli altri Länder.
 
Quali sarebbero gli svantaggi del contratto regionale?
 
Il contratto regionale, come sostituto della contrattazione nazionale di categoria, avrebbe il difetto di non aderire assolutamente alle realtà molto diversificate dei bacini di manodopera, delle aree industriali, dei distretti che quasi sempre non coincidono con le dimensioni regionali. Fanno parte di territori molto più estesi e addirittura scavalcano le regioni. Una tale impostazione non si salda, insomma, con la realtà effettiva del mondo del lavoro e ha lo svantaggio di indebolire radicalmente, esattamente come intende fare la cosiddetta devolution di Bossi, il concetto di unità e solidarietà. Che deve essere contenuta, a mio parere, nella contrattazione sindacale e non soltanto nella Costituzione.
 
E’ possibile, in quest’opera di revisione del modello contrattuale, rafforzare la contrattazione aziendale per aderire alle trasformazioni del mondo dei lavori?
 
Certamente. E questo anche nel territorio. Io credo che si debbano affrontare con coraggio anche i temi degli orari. Non ha molto senso mantenere l’orario di lavoro come una rivendicazione di carattere nazionale. A mio parere l’orario di lavoro dovrebbe diventare una delle materie, al di là della riduzione, di governo delle condizioni di lavoro nella contrattazione articolata aziendale e territoriale. Allo stesso modo esiste il problema di recepire nella contrattazione collettiva a livello aziendale, oltre che nazionale, la tematica della formazione in tutto l’arco della vita e delle modifiche dell’organizzazione del lavoro strettamente collegate. Qui siamo di fronte ad un vuoto della contrattazione collettiva, sia nazionale che aziendale, sui temi della formazione permanente. E’ un vuoto che va assolutamente superato. Ritengo, infatti, che esso sia l’elemento centrale della contrattazione collettiva del futuro.
 
Quale potrebbe essere il rapporto tra un rivisitato contratto nazionale e il mondo dei nuovi lavori, dei cosiddetti atipici?
 
E’ un rapporto complesso. Questi lavoratori devono entrare nel contratto nazionale in alcuni casi sì, ma sempre con una loro specificità. Penso ad esempio a coloro che lavorano per l’industria metalmeccanica con attività di servizio e che devono avere un loro contratto nell’ambito del contratto nazionale. Per quanto riguarda i collaboratori, i cosiddetti Co.Co.Co., credo che debbano avere la possibilità di avere la loro tutela professionale riferita alla natura della prestazione, e una contrattazione nazionale relativa alla natura merceologica del loro settore di lavoro.
 
Sono prevedibili passi avanti in queste direzioni o le polemiche tra sindacati sono destinate a frenare ogni ipotesi di rinnovamento?
 
Credo che si debba imporre la capacità di cambiare, anzitutto con un rinnovamento della contrattazione collettiva che abbia al suo centro la formazione permanente, senza escludere forme di partecipazione diretta dei lavoratori stessi al finanziamento di tale obiettivo. Oltretutto l’attacco che oggi è portato da Lega e Forza Italia all’unità nazionale del Paese, in termini di diritti fondamentali, dovrebbe indurre ad una riflessione quelli che teorizzano, ad esempio, il contratto regionale che poi prende il posto del contratto nazionale di lavoro. Credo, in ogni caso, che il rischio, ad esempio nel dare quasi per scontata la pratica degli accordi separati, sia quello di arrivare proprio al superamento del contratto nazionale di lavoro.
C’è il caso eclatante delle tre piattaforme per i metalmeccanici, collegato ad una discussione non esaurita sul rapporto tra trattativa, risultati e partecipazione dei lavoratori…
Voglio ricordare la procedura adottata dalla Flm nel passato quando si eleggevano i delegati per la vertenza contrattuale in tutti i luoghi di lavoro e fra questi delegati la delegazione allargata per la trattativa… Perché non ripercorrere quell’esperienza?
Lunedì, 16. Dicembre 2002
 

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