La retorica del sogno

E’ il modo della comunicazione politica attuale, di cui si possono analizzare le strutture. Ma è anche il nuovo modo di fare politica, in sostituzione delle ideologie consunte soprattutto da una pratica fatta di eterne mediazioni non più al passo con i tempi convulsi del cambiamento. Per questo accomuna Berlusconi e Renzi, perché quel modo di procedere appartiene ormai al passato

C'è una sottovalutazione, soprattutto a sinistra, della efficacia, della potenza della comunicazione politica come "retorica del sogno", alla quale sembra , nel suo piccolo, ispirarsi Renzi. Non voglio stabilire un parallelo con i tanti illustri e storici personaggi che l'hanno fondata, quanto piuttosto riferirmi alle motivazioni e alla tecnica che fondano la retorica del sogno. Quali sono le strutture della retorica del sogno politico? Cerco di rispondere in modo piano.

1. "Trasmettere con una immagine la possibilità di sollevare e riscrivere il presente".
2. "Avere un radicamento nella realtà eppure rompere drasticamente con le costrizioni che la realtà stessa impone”.

3. Creare un ambiente, far percepire una emozione e immaginare un luogo ... dove quelle parole e suoni acquistano significati particolari.

4. Costruire il sogno del riscatto, cioè la possibilità di riprendere in mano il proprio futuro.
5. Assumersi la responsabilità di decidere subito sulla possibilità che inizi un nuovo ciclo, con la convinzione che "solo la decisione del soggetto investito e scosso dal sogno di mettersi in movimento, di decidere, modificherà la realtà presente".

6. Il sogno politico è la comunicazione pubblica non di un progetto compiuto ma di un desiderio e di un incitamento. Non è l 'enunciazione di un desiderio irraggiungibile, è il modo attraverso il quale un desiderio e un auspicio si presentano come legittimi. È la possibilità di individuare in uno strumento, in un gesto, in un atto un interstizio del presente attraverso il quale far passare l'azione umana e modificare il quadro dato.

7. Il sogno non è solo un contenuto, è una emozione collettiva, è la possibilità di condividerla nella consapevolezza che niente verrà da solo, che bisogna metterci del proprio, non solo crederci ma rischiare.
8. Il sogno non coincide con l'utopia, ma non è neanche l'opposto del realismo politico. Non è una fuga dalla realtà, è una sfida a forzare in un punto quello che appare come un vincolo, un limite da superare, una condizione che si presenta come scarto rispetto alla condizione in atto. Si può essere realisti e sognare.

9. Il sogno è solo una precondizione dell’agire individuale e collettivo.

10. Il sogno politico è dunque essenzialmente un atto, non è un disegno compiuto e organico, condizione quest'ultima propria dell'utopia (e della ideologia) cui è essenziale una dimensione di progetto e di organicità.


È lecito collocare il fare politico di Renzi in un contesto simile? A me pare proprio di sì.
E' un modo che scaturisce direttamente dalla crisi delle grandi ideologie, della quale non abbiamo forse valutato a sufficienza le conseguenze.

Quale è sempre stato il nostro modo di fare politica (ma direi anche sindacato, sia pure con qualche variante)?

A me pare che i passaggi logici fossero i seguenti. Avevamo, per orientarci, la nostra scatola dei valori: l'uguaglianza, le libertà, la partecipazione, la crescita economica civile culturale ecc... Questi valori venivano strutturati, intrecciati tra loro fino a disegnare una ideologia. Ispirati da questa, e per dare vita e far vincere quei valori, cercavamo di disegnare una strategia. All'interno della strategia definivamo le priorità secondo i contesti, le opportunità e i bisogni che i tempi chiedevano e consentivano.

Forse non sempre i percorsi erano così lineari ma penso che fin qui possiamo essere d'accordo: una catena logica che disegnava un percorso obbligato nei suoi passaggi.

Bene: io penso che questo modo di fare politica sia, non so dire per quanto tempo, bruciato. Le cause sono molte ed evidenti. S'è diffusa una diffidenza radicale sulle parole e le mediazioni della politica, diffidenza che la sinistra ha contribuito a radicare con i suoi rinvii infiniti. Perché troppo lunghi sono i tempi delle decisioni. Perché ideologie e strategie sono state utilizzate sistematicamente per evadere dalla realtà. Perché i cambiamenti sociali ed economici,  i danni provocati dalla crisi, sono così impetuosi da non poter essere inseguiti da quelle strategie. In sintesi perché questo modo di fare politica è inefficace. Ci sono altri modi per spiegare la crisi della politica nella quale siamo precipitati?  Può darsi, ma è qui la curva stretta, il cambio di direzione richiesto.

L'approccio di Renzi, a- ideologico e pragmatico, come s'è visto in questi primi mesi, accoglie questi cambiamenti. La sua politica prende forza e proposte dai problemi che si manifestano. Li individua come priorità. Cerca di legarli e collocarli in un contesto che gli consenta di proporli e avviarli a soluzione. Uno, due per volta: non è la palingenesi sociale, ma intanto il sistema cambia, si riforma, parzialmente ma anche su aspetti decisivi. Non è meglio dell'immobilismo di questi anni?  Così si diventa preda di una politica senza valori? Direi di no: significa che di volta in volta vanno individuati i valori da privilegiare e ai quali ispirarsi senza obbligarli in un contesto ideologico. Ad esempio, quali sono le idee che sostengono le proposte  di riforme istituzionali in discussione? Soprattutto una: l'efficacia della politica. Tutto ciò manifesta un conflitto  tra efficacia della politica e democrazia? In una qualche misura è inevitabile, ma non bisogna dimenticare che spesso l'inefficienza di un sistema è all'origine di pericolose svolte autoritarie.

Io penso che nasca qui, in questo altro, in questa denuncia senza sconti della crisi della ideologia e nella conseguente denuncia del fallimento di un intero passato, l'avversione profonda a Renzi di buona parte dell'establishment comunista. Non il modo della defenestrazione di Letta, ben altro ha digerito il partito senza alcuna reazione significativa, come - per citare l'ultimo caso - le bruciature di Prodi e Marini.

Certo si possono fare, e si fanno, diverse critiche. Tra le meno fondate c'è quella che afferma che non si capisce cosa voglia: ciò è in parte determinato, come già detto, dai vincoli che derivano dalla comunicazione del sogno politico, e in parte da ciò che dichiara di volere e che viene giudicato improbabile. Altra critica: Renzi è un Berlusconi più giovane. Io penso che si rassomiglino  su due modi di fare: ambedue hanno un approccio alla politica  a-ideologico e un sistema di comunicazione efficace: più strutturato quello di Berlusconi, che prende l'avvio ogni giorno con " il mattinale" e procede per l'intera giornata con un sistema di informazioni trasmesso a tutti i comunicatori  designati dai vertici, più sciolto e affidato all'agilità emotiva e intellettuale personale quello di Renzi.

 

E ancora: il linguaggio. Concordo che il " parlare chiaro" si trasforma talvolta in un dire urticante, ma non mi sembra decisivo, almeno ad oggi. Renzi usa strumentalmente il partito per esercitare una sorta di potere personale autoritario: ma avete presente il Pd, quel partito che riesce a dividersi su tutto? E infine, ed è forse la critica più feroce: Renzi non rispetta la storia del partito né quella di quanti dichiara di volere rottamare, sostanzialmente tutto il vecchio ceto dirigente specie, ma non solo, quello comunista. Da che è mondo le leadership sono state di due tipi: cooptate, e sono false perché non autonome, o autosufficienti e sono vere. Queste seconde leadership si affermano sempre con il conflitto. Ci può essere un problema di " buone maniere" alle quali anche io sono sensibile, ma non mi sembra decisivo.

Ma osservatele con attenzione queste critiche. Non si vede ad occhio nudo l'incomunicabilità tra le critiche alle politiche di Renzi e le strutture del sogno politico che lo stesso incarna?

Riconosco comunque che la partita è aperta. Se la politica di Renzi subisse una sconfitta, ancora una volta i modi della politica andrebbero ridiscussi. Ma senza guardare al passato, quello è passato. Irrimediabilmente.

(Le citazioni sono tratte dal breve saggio introduttivo "Il sogno politico" di David Bidussa, premesso al testo "I have a dream", edito dal Corriere della sera, dicembre 2010)

Venerdì, 14. Marzo 2014
 

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