Alla fine della terza settimana di febbraio, si comincia a parlare della possibilità che
Non cè più, infatti, la spinta inerziale dellentusiasmo, il momentum sembra essere tutto dalla parte di Obama e cominciano a scarseggiare anche i quattrini per alimentare londata delle centinaia di spot ed apparizioni televisive su cui la campagna si regge perché decine e decine di milioni di dollari del tesoro di guerra che aveva accumulato almeno da due, tre anni, la Clinton li ha spesi sulle primarie di gennaio e febbraio, convinta che a metà mese ed a questo punto la corsa si sarebbe già chiusa e tutta a suo favore.
E anche il ritornello che è lei a vantare esperienza e lui no comincia ad apparire rugginoso: se lesperienza è quella di aver fatto per otto anni la First Lady, non serve a molto se non per girare al buio la Casa Bianca ; e se lesperienza è quella di avere fatto, poi, per altri otto anni il senatore, invece dei suoi due, le è servita a poco se non ad aver votato a favore, almeno in prima battuta, di tutte le scelte catastrofiche di Bush in politica internazionale e geo-strategica: ed è la grande maggioranza della base democratica che, ormai, lo dice
Chi scrive crede poco, comunque, alla rinuncia di Clinton. Due o tre volte, in campagna elettorale, a chi le suggeriva di contentarsi magari del secondo posto nel ticket democratico, ha citato lopinione come dire particolarmente spregiudicata del presidente Harry Truman, che fino allaprile 1945 nellultimo mandato di F. D. Roosevelt era stato vicepresidente: quando spiegò che, a fronte della presidenza, la vice presidenza vale più o meno quanto una sputacchiera.
La senatrice non sembra intenzionata a mollare. E un mastino, anzi una mastina. Ha puntato il suo progetto di vita ormai da quattro anni sulla stanza ovale per sé non pochi in America dicono anche come rivalsa per un marito, tanto sbarazzino nella vita privata quando un geniaccio più di centro che di centro-sinistra in quella pubblica del quale lei condivide linea e senso del far politica e non si arrenderà prima di aver portato la battaglia fino allultimo round: quello della Convenzione democratica di fine agosto a Denver, in Colorado.
In questo caso si assisterà a uno scenario complicato e imprevedibile. Mentre, infatti, dai voti e dai sondaggi, appare già certo che lalfiere dei repubblicani sarà il senatore dellArizona, John McCain, le cose potrebbero prendere una piega rischiosa per i democratici. Lesito finale sarebbe deciso in campo democratico dopo uno scontro pubblico, senza remissioni di colpi, anche bassi, e marcato da recriminazioni ed accuse. Perché il finale potrà non essere affatto deciso dai 3.253 delegati che, alla fine del processo, entro inizio giugno, saranno eletti nelle primarie elezione che avviene con procedure diverse, a dir poco, bizzarra.
Proviamo a darle uno sguardo. Ogni Stato dellUnione li sceglie con regole sue, diverse dagli altri ; e tra i democratici, al contrario che tra i repubblicani per cui vige la regola maggioritaria del chi piglia un voto di più piglia tutto, la regola prevede la ripartizione proporzionale dei delegati in base ai voti ottenuti e anche il voto aperto, non rare volte, a chi si dichiara indipendente e, perfino, repubblicano.
Ma, se arriveranno a un numero ancora non sufficiente, probabilmente non sceglieranno in ultima istanza i 796 cosiddetti superdelegati (con la morte di un deputato, 795 oggi: in tutto, dunque, la platea dei votanti alla Convenzione sarà di 4.048 delegati).
Questi 795 superdelegati sono detti super anche se ciascuno di loro poi ha un voto soltanto, come tutti gli altri, perché designati d'ufficio, in base allo Statuto del partito: ex presidenti (Carter e Clinton), vicepresidenti (Mondale, Gore), ex candidati alla presidenza (Kerry), governatori di Stati, senatori (i democratici sono 51), deputati (232, adesso) e, diciamo così, qualche decina di maggiorenti: i membri della direzione del partito, diremmo noi; ed i suoi riconosciuti statisti, ecc., ecc., o, anche, pochissimi grandi benefattori.
Si tratta di gente che ha versato milioni di dollari alle casse del partito, non però tanto a titolo individuale (come il miliardario Buffett, ad esempio: mentre i superdelegati repubblicani sono tali proprio in base ad una specie di tariffario) ma a nome di qualche organismo collettivo: come Richard Michalski. Che peraltro non è miliardario ma vice presidente della Federazione sindacale dei metalmeccanici (i machinists: 720.000 aderenti) che hanno contribuito con diversi milioni di dollari a pagare i costi della Convention stessa, a Denver. Per riconoscenza è stato designato come superdelegato il presidente del partito democratico, il governatore del Vermont, Howard Dean, designazione poi ratificata dalla direzione. Michalski ha già dichiarato che alla Convention è impegnato a votare per Clinton, perché così ha deciso a maggioranza lassemblea del sindacato. Ma in linea di principio non sarebbe neanche tenuto a farlo, una volta che è stato designato
Coi risultati delle primarie del Wisconsin e delle Hawaii, Obama ha messo da parte 1.318 delegati e Clinton 1.245: anche se, come sempre, i numeri restano un po ballerini (sul sito ufficiale della Convention, vengono aggiornati lentamente solo quando è stata raggiunta una conclusione in qualche modo di sostanziale consenso). Ma le primarie da celebrare sono ancora molte e di delegati da eleggere in numero ancora particolarmente copioso ce il mucchio del 4 marzo, tra gli altri Stati, nel Texas e nellOhio.
Il problema è che il traguardo è a 2.025 delegati, la metà più uno della platea degli aventi diritti al voto alla Convenzione. E anche se Barak Obama, quello dei due che oggi è più avanti li vincesse tutti e ad essi aggiungesse poi tutti i superdelegati, due o trecento dei quali comunque già impegnati a votare Clinton superebbe quella soglia appena di qualche testa. O, più probabilmente, non ci arriverebbe ancora.
Ora, la prima tappa cruciale che porterà alla decisione finale è quella che, subito dopo la conclusione delle primarie, ai primi di giugno, dovrà prendere il Comitato nazionale democratico (DNC). Perché due elezioni primarie, quelle in Michigan ed in Florida, sono state tenute in modo illegittimo, anticipando le date concordate e decise da mesi dallo stesso Comitato e allunanimità, Obama e Clinton allora daccordo ambedue.
Obama è stato alle regole: non ha proprio concorso e perciò non ha preso delegati. Clinton ci ha ripensato, ha fatto comunque campagna specie in Florida e ha così vinto, per default, tutti i 313 delegati dei due Stati ribelli. Ed, ora, chiede al Comitato, quando si aprirà
Ora,
Ma torniamo al punto. Che succede se, l8 giugno, il giorno dopo lultima delle primarie (Puerto Rico) alla riunione del DNC, e ormai ad una ventina di giorni dalla Convenzione, quando tutti i risultati saranno stati acquisiti e pubblicati, senza numeri conclusivi, la decisione toccasse secondo statuti del partito ai superdelegati? Lidea rende nervosi molti di loro, ma secondo chi scrive è anche molto improbabile
Perché anche se , alla fine, cedendo alle pressioni fortissime del loro popolo di riferimento votassero tutti per il candidato che a casa loro ha preso più voti, riflettendo così le proporzioni del voto popolare, non cambierebbero lequilibrio finale. E che succede, poi, anche se uno dei due, Clinton o Obama, riuscisse a prendersi i superdelegati tutti per sé e non raggiungesse neanche così in modo per tutti accettabile la soglia critica dei 2.025 delegati necessari ad ottenere la nomination?
Secondo tradizione e storia del partito, a quel punto, il peggio che potrebbe accadere sarebbe una lotta ad oltranza trasmessa in diretta televisiva per ore ed ore allAmerica, tra accuse e recriminazioni reciproche, nel sollazzo e a conforto del candidato repubblicano. Ma anche lalternativa, quella che chiamano una brokered Convention, non sarebbe affatto un granchè: è
E a questo punto mentre il candidato ormai unico dei repubblicani sarà libero di concentrare il fuoco sul partito avversario, coi democratici che si starebbero ancora azzannando lun laltro: anche se non tutti i repubblicani amano McCain perché, in genere, pur essendo un conservatore di ferro troppi di loro non lo considerano abbastanza neo-con, soprattutto per quelli che loro chiamano i temi sociali e che noi chiameremmo etici o di costume che la Convention democratica potrebbe fare ricorso a unaltra antica sua tradizione.
Scenderebbero in campo, cioè, gli anziani del partito. Le Convention democratiche hanno molto a che spartire, e non solo nella terminologia che hanno adottato, coi caucus indiani: le riunioni allaperto, ed aperte a tutti componenti della, o delle, tribù congregate, in cui tutti parlavano e erano chiamati a decidere, ma alla fine forse decidevano di delegare la scelta laugh! finale, allanziano più anziano. E gli anziani che sarebbero, forse, accettabili a entrambi i finalisti della corsa delle primarie, a questo punto sembrano poter essere solo due, i due premi Nobel per la pace del partito: lex presidente Jimmy Carter e lex vice presidente Al Gore che, non a caso, si sono tenuti finora rigorosamente neutrali.
Ha detto il presidente del Comitato democratico nazionale, Howard Dean, che in realtà se per marzo od aprile non emerge chiaro, come tutti dobbiamo sperare, un candidato vincente dovremo rinchiuderci insieme ai due candidati e trovare noi un accordo. Perché non ci possiamo proprio permettere una convenzione gestita (Time Magazine, 21.2.2008, "Dean grida (ma con calma) che bisogna accordarsi,).
Al dunque sono proprio i delegati non eletti che potranno (potrebbero) evitare al partito lo scontro pubblico; decidendo di decidere loro o delegando a pochi tra loro due soltanto, magari la scelta per tutti.
Ma proprio per questo molti tra i delegati eletti e la miriade di attivisti del partito che lavorano in rete, su mille blog, hanno messo sotto osservazione proprio i superdelegati: per garantirsi che le loro scelte siano trasparenti (un blog dedicato, come si dice, intitolato proprio Superdelegate Transparency Project) verifica che secondo la concezione della democrazia delegata i superdelegati rispettino la volontà espressa, democraticamente appunto a maggioranza, dagli eletti dello Stato che rappresentano. Altri invece, vogliono che agiscano indipendentemente, ognuno secondo coscienza, come ufficialmente è loro diritto.
In un modo o nellaltro, o nellaltro ancora, il braccio di ferro ci sarà. Speriamo solo che non vada tutto a vantaggio di John McCain.