La pace, ma non solo

«Rassegna sindacale», 20-26 marzo 2003, n°11

Ci sono segnali importanti e nuovi in queste settimane, sul terreno delle relazioni sindacali, e segnatamente tra Cgil e Cisl, che vano colti e su cui occorre ragionare. In primo luogo sul tema della pace: il mondo cattolico e la Cisl si stanno impegnando in maniera forte e convinta nella battaglia contro la guerra, confortati in questo dall’iniziativa della Chiesa e del Papa. Ma non c’è solo questo terreno: ci sono anche la lotta al terrorismo, lo sviluppo industriale, il Mezzogiorno, il federalismo, la legge Bossi – Fini, la legge Bossi.
Sono tutte questioni importanti che confermano come un processo di riavvicinamento tra le confederazioni, se non vogliamo ancora parlare di unità sindacale, possa e debba partire anche da un giudizio sulla dannosità strutturale dell’azione di governo e di Confindustria, ma sopratutto sul terreno dei valori comuni – solidarietà, pace e democrazia -, che sono parte essenziale della storia sindacale e si dimostrano sempre più oggettivamente alternativi alla cultura e alla prassi di questo governo e di questo centrodestra.

L’iniziativa della Cgil, nel corso del anno 2002 e ancora quest’anno, ha contribuito a introdurre le prime consistenti incrinature nella maggioranza e nel suo accordo con Confindustria. Questa novità cambia uno degli scenari che era stato una delle cause dell’inizio di una differenziazione strategica tra le confederazioni: alla fine della scorsa legislatura – all’incirca negli ultimi due anni -, la Cisl, prevedendo la sconfitta del centrosinistra alle future elezioni, ruppe con il governo di allora anche su temi, come il fisco, che poi avrebbero portato risultati positivi ai lavoratori. E alla crisi del centro sinistra pensò di dare risposta con un’ipotesi “terzaforzista”, che fu poi sconfitta alle elezioni.

Quei valori comuni

A quel punto – il suo segretario generale lo disse esplicitamente – a via PO si pensò che questa maggioranza di centro destra fosse destinata a durare a lungo, anche ben più di una legislatura, e che quindi con essa si dovesse comunque trattare e venire a patti – in una logica da noi non condivisa ma certo legittima – scontando quindi anche momenti difficili e contrasti significativi con la Cgil.

Ma questa maggioranza, da un lato, ha dimostrato di non aver nessuna remora nel colpire valori comuni che sono nel cuore delle tre organizzazioni sindacali; dall’altro, sta dimostrando contraddizioni assai pesanti al suo interno, che incrinano l’immagine di compattezza che il centrodestra ha sempre voluto dare di sé: questa maggioranza, insomma, potrebbe essere tutt’altro che eterna.

Le due cose insieme, e la caparbietà della nostra azione, hanno contribuito alla ripresa di un dialogo tra i sindacalisti. Che deve essere portato avanti, come del resto stiamo facendo, con molta sobrietà e rispetto delle posizioni altrui. E senza annunci. Lavorando quotidianamente e ricostruendo giorno per giorno le ragioni valoriali e di programma che possono essere alla base di una nuova piattaforma. Unitaria.

Partendo dai terreni possibili: lo sciopero della Sicilia, quello della Calabria, i documenti unitari su Mezzogiorno e pensioni in via di definizione e le prossime iniziative da mettere in piedi; senza coltivare illusioni, ma anche sapendo valorizzare quanto di importante stiamo facendo.
Avevamo insomma ragione ne dire, fin dall’analisi che facemmo nelle tesi per il XIV congresso, che i valori e i contenuti erano (e sono) il terreno su cui è possibile ripartire nella ricerca unitaria. Così infatti è stato.

L’importanza delle regole

C’è poi l’altra questione fondamentale, quella delle regole. La dimostrazione di quanto anche questo terreno sia importante è rappresentata dalla conclusione del contratto degli statali. Negoziato complicato, sia per la controparte, il governo, sia per i rapporti di forza, sia per la natura di quel settore. È stato possibile chiuderlo, e bene, perché c’erano regole definite. La legge D’Antona ha costretto ad arrivare a una piattaforma unitaria e ad avere un rapporto conclusivo con i lavoratori. È stata proprio quella cornice di regole che ha permesso la conclusione positiva che tutti hanno visto.

Quella legge – che forse è stata una delle cause della decisione delle Br di uccidere Massimo D’Antona – all’epoca venne criticata, da destra e da sinistra, anche all’interno del sindacato: per il fatto stesso di essere una legge, da un lato, perché era troppo morbida, dall’altro. Eppure quello che allora fu il compromesso possibile ha funzionato. E peccato che non si sia riusciti a estenderla al di fuori del pubblico impiego, ché forse ci avrebbe aiutato a evitare molti problemi. Dalle regole, dunque, oltre che dai valori, si deve ripartire. Su questo terreno la Uil è stata sempre disponibile. Ma considero positiva anche la conclusione dell’ultimo direttivo della Cisl che vede l’accordo sindacale alla base di una successiva legge di sostengo. È un primo passo importante.

Così come è importante che nell’appello recentemente lanciato da Giugni, Accornero e molti altri professori (e pubblicato sull’Unità di martedì 11 marzo) questo aspetto delle regole sia ribadito con forza. Anche se a quel documento, di cui pure apprezzo la volontà propositiva, mi permetto di avanzare due osservazioni. Primo: non tiene conto di quanto di nuovo e di unitario in queste settimane già c’è stato ed è in preparazione (un aspetto che probabilmente andava colto da osservatori attenti alle cose sindacali; ma forse non è casuale che questo non sia avvenuto: c’è poca attenzione al peso che hanno valori e contenuti, sia nelle rotture che nelle riprese dei processi unitari).

Così come non mi convince un approccio troppo “da laboratorio” a quanto è successo e sta succedendo in questi anni nel mondo del lavoro, un approccio che non tiene conto della richiesta pressante che viene da ragazze e ragazzi, non solo quelli dei call center, di lottare contro la precarietà e l’insicurezza, per allargare diritti e tutele anche a chi oggi ne è privo.

La richiesta di più diritti

Un appello dunque importante se viene sperimentato, com’è stato detto, a Milano o in altre situazioni locali. Che però non va usato da nessuno, a livello nazionale e magari dall’esterno del sindacato, per verificare i !tassi d’unità” di questa op quella struttura o, peggio, delle singole persone. Perché questo creerebbe problemi all’interno dei processi in atto in tutte e tre le organizzazioni sindacali.
Ma questa certo non è la volontà di chi ha lanciato quell’appello.

Venerdì, 28. Marzo 2003
 

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