La pace e la guerra di Israele

Lo Stato ebraico potrà raggiungere un futuro di pace quando si riconoscerà, lui stesso, come un paese pienamente collocato nel Medio Oriente; un paese molto particolare; ma che lì vuole avere il proprio futuro. Allora, forse, potrà abbandonare l’idea (suicida) di procedere solo con atti unilaterali
Consentitemi una breve rassegna di citazioni dai quotidiani di fine agosto.

Furio Colombo (L'Unità 27/8): "…..Israele è un fatto vero, la sopravvivenza di Israele è un fatto vero, come lo è il tormento delle popolazioni palestinese e libanese usate come materiale sprecabile per raggiungere il fine della cancellazione di Israele….". "..qui occorre ricordare di nuovo l'iniziativa dei radicali Pannella e Capezzone,..si ostinano a ripetere: .."

Bernardo Valli (Repubblica 28/8): "...Il Governo di Gerusalemme è arrivato a questa riconciliazione (con l'ONU) quando ha compreso i limiti della propria forza: . Soltanto allora ha cominciato a considerare la comunità internazionale come un partner e ha accettato il dispiegarsi di una forza internazionale ai suoi confini. Ma Israele deve capire le conseguenze di questa sua accettazione…..Un accordo con i palestinesi e con i siriani, sulla base dei principi appena applicati, può rivelarsi urgente. Il declino dell'alleato americano dovrebbe affrettare i tempi. …Entrambi, Israele e USA, hanno constatato sul terreno che la dissuasione militare serve fino a che non ce ne si serve. Una pax esclusivamente americana in M.O. non è più possibile… perché l'America, dice Ben-Ami, non fa più paura,… ha perduto la capacità di essere un mediatore di pace e ha lasciato gli israeliani senza canali di comunicazione con i suoi nemici….". Gli Usa hanno "smarrito quella virtù" per la guerra in Iraq e la guerra mondiale al terrorismo " girando le spalle alla comunità internazionale" di cui hanno "...sottovalutato l'importanza; come Stalin quella del Vaticano, perché non aveva neanche una divisione." …."Israele ha applicato nel suo ambito l'unilateralismo che gli Usa hanno adottato a lungo su scala mondiale. …". Sharon si è ispirato a quel principio quando ha evacuato il Libano nel 2000, quando si è ritirato da Gaza, quando ha costruito il muro. "..I risultati sono stati disastrosi, perché bisogna essere onnipotenti quando si agisce da soli….e nessuno è a lungo onnipotente sulla Terra."… "Adesso bisogna trattare....è quello che Israele dovrebbe fare con i paesi nemici, adesso che si è riconciliato con la comunità internazionale."

Ennio Remondino (Il Manifesto 29/8): "…Io su quelle bombe ho rischiato di saltarci in aria. Non soltanto le ho viste ed evitate, ma le ho filmate e mostrate nel dettaglio….Che dovevo fare quel giorno a Bent Jbail, o tra le piantagioni di tabacco di Aita ech Chaab, cittadina che ora non esiste più, in mezzo alle Cluster inesplose? Di nuovo le tre scimmiette che non vedono, non sentono e non dicono? La questione vera… mi appare quella del dito che oscura la vista della luna. O ci ostiniamo alla propaganda dove ognuno rivendica il proprio diritto alla faziosità, oppure ci sforziamo tutti quanti di capire…."

Stefano Chiarini (Il Manifesto 30/8): "….1976, 1978, 1982, 1993, 1996 e ora 2006 - dice un anziano ragioniere con occhiali spessissimi in canottiera e pantofole -Ogni volta le bombe ci hanno colpito e ci hanno raggiunto azzerando tutto. Non credo che la pace sarà mai possibile finché non accetteranno di essere parte del Medio Oriente. E non credo che lasceranno mai in pace il Libano perché questo paese così debole, ma così ricco culturalmente, è l'opposto di Israele. Loro, gli eletti, escludono chi è diverso; qui invece c'è sempre stato posto, non senza problemi certo, per tutti."
 
Vorrei partire dall'ultima. Mi pare la più suggestiva e quella su cui riflettere di più. Forse, indirettamente, è utile anche per ragionare sulla richiesta di Pannella richiamata da Furio Colombo: fare entrare Israele nell'UE. Richiesta tutta politica; che guarda alla storia drammatica del passato; che proietta indietro anche il futuro di Israele. Di quell'Israele che non è più quella dei pionieri socialisti dei Kibutz, figli scampati o reduci essi stessi dal genocidio nazista in Europa; ma che non vuole essere un paese del Medio Oriente, capace di fare la pace con i propri nemici e di convivere con essi.

Richiesta, quella Pannella/Colombo, che mi sembrerebbe difficile accettare, da parte della UE, per molti motivi politici, compreso il fatto che Israele continua, dal '67, ad occupare un paese non suo, ad opprimerne e sequestrarne gli abitanti (i Palestinesi che, purtroppo, Colombo cita solo per sottolinearne la strumentalizzazione da parte dei nemici di Israele! Golda Meir ne negava l'esistenza). Tuttavia, anche se la proposta Pannella/Colombo fosse accettata, portata alla discussione in sede UE, approvata dagli organismi decisionali necessari, ecc. ecc., sarebbe un bene per il futuro di Israele? la domanda che pone il ragioniere in pantofole e canottiera di Chiarini, mi sembra la domanda giusta.

Per quanto almeno dipenda da Israele stesso e non solo dai suoi vicini che lo combattono, non  sarà forse che Israele potrà raggiungere un futuro di pace quando si riconoscerà, lui stesso, come un paese pienamente collocato nel Medio Oriente; un paese molto particolare; ma che lì vuole avere il proprio futuro? Allora anche Israele potrà guardare ai propri vicini, oggi nemici, come a quelli con cui bisogna trovare vie di convivenza, di pace, di cooperazione. Allora, forse, potrà abbandonare l'idea (suicida) di procedere solo con atti unilaterali, perché disprezza i suoi nemici, in primo luogo i palestinesi, con i quali non vuole avere niente a che fare. Allora, forse, non darà per scontata l'idea che la soluzione è quella di blindarsi con muri invalicabili, oggi verso i Territori palestinesi, domani verso Libano e Siria (ci sarà qualche novella ebraica che spiega come, una volta fatto un muro, ci sarà sempre qualcuno che pensa a come superarlo; quando non ci riesce inventa qualcosa che lo superi; magari un missile!).

Per questo mi sembra più acuta e più proiettata in avanti l'osservazione dell'anziano ragioniere. La non-vittoria di Israele è, per le sue leadership, una grande opportunità. Non perché, come semplifica provocatoriamente Furio Colombo ("con il diritto alla faziosità" direbbe Ennio Remondino!), Israele sia "cattivo" ed Hezbollah "un benevolo ente di protezione civile"; ma perché la fine del mito dell'invincibilità e dell'onnipotenza, può, forse, riportare in campo la "Politica", che, dopo l'assassinio di Rabin, da troppo tempo è stata sostituita dalla pura azione militare.

Come ricorda Shlomo Ben-Ami, la pura azione militare ha mostrato i propri limiti: l'incapacità di battere il nemico. Con grande ottimismo Bernardo Valli si dice fiducioso che si possano riaprire prospettive di trattativa, sia su un piano più ampio, con i paesi nemici, sia su un piano più ravvicinato, con i rappresentanti politici e istituzionali dei Palestinesi di West Bank e Gaza. In fondo anche Ben-Ami, che ricorda come, in Israele, le svolte politiche, per aprire trattative serie che portarono ad accordi seri, avvennero dopo "non-successi" militari, come la Guerra del Kippur, 1973 (dimissione del governo di Golda Meir e Moshé Dayan, ma pace con l'Egitto), o dopo l'incapacità a dominare una rivolta, anche armata, come la prima Intifada (Conferenza di Madrid e accordi di Oslo, 1993).
 
Spero che Valli abbia ragione. Si muovano in questa direzione, con sicurezza e convinzione, sia Prodi, sia D'Alema. Fino ad oggi hanno dimostrato grande intelligenza e lungimiranza politica e, insieme, grande abilità tattica nella gestione della intricata questione diplomatica, anche per quanto riguardava la formazione e l'invio della forza di interposizione. Il prestigio acquisito dall'Italia negli ultimi due mesi, sia presso Onu e Usa, sia presso tutti i paesi dell'area, fa rientrare il nostro paese nei grandi giochi internazionali che riguardano Mediterraneo e Medio Oriente.

Diamo un rapido sguardo alle (grandi!) novità registrate sul piano politico-diplomatico internazionale. La svolta è radicale; sia per quanto riguarda gli Usa; sia per quanto riguarda l'Europa, che, trascinata dall'Italia, rientra in gioco; sia, soprattutto, per quanto riguarda Israele e il Libano. Infine, sono molto importanti anche le novità politiche che si stanno tentando nelle istituzioni e tra le forze politiche palestinesi .

In primo luogo: il governo Usa si fa promotore di una iniziativa Onu "vera", d'accordo con la Francia (con la quale, al tempo dell'Iraq, aveva avuto i contrasti più duri, nel Consiglio di Sicurezza). Dopo molti anni passati a denigrare ruolo e funzioni dell'Onu , quella realizzata dal Segretario di Stato Condoleeza Rice sembra una svolta politica interessante. Anche se suggerita, probabilmente, dalla scadenza delle elezioni di medio termine di novembre in Usa.

E' la prima volta, credo dal '48, che il governo di Israele accetta una risoluzione Onu; anzi: la sollecita per uscire dalla situazione militarmente e politicamente molto difficile nella quale si è venuto a trovare in Libano; su questa situazione si discute oggi nel paese con accanimento. Ed è la prima volta, almeno da tre decenni, che il governo del Libano prova di nuovo a "fare il governo"; soprattutto grazie alla figura del suo primo ministro, Fouad Siniora, sunnita, filo-occidentale, indipendente, deciso a tenere insieme questo paese (segmentato, anche dal punto di vista istituzionale, in comunità definite dalla fede religiosa delle famiglie di appartenenza); con grande autonomia. Nessuno si ricordava che esistesse quell'esercito libanese che si muove per difendere il confine sud con Israele, non delegando più compiti militari e/o di polizia alle milizie dei singoli gruppi etnico/religiosi. Naturalmente dovranno difenderlo anche dalle armi di Hezbollah: questo sarà il problema più complesso.

La seconda novità politico-diplomatica in Libano riguarda Hezbollah stesso, spesso considerato superficialmente solo come un'organizzazione terroristica finanziata dall'Iran. Accetta la risoluzione Onu e afferma che vi si atterrà; in modo esplicito per quello che riguarda sia il "cessate il fuoco", sia il dispiegamento a sud, oltre il fiume Litani dell'esercito Libanese, sia (ed è più impegnativo) la presenza di un importante contingente militare sotto le bandiere Onu come "forza di interposizione".
 
Per il disarmo delle milizie, il gruppo dirigente Hezbollah sostiene trattarsi di un problema interno al Libano. Di più: Nashrallah, il capo politico indiscusso di Hezbollah, usa il prestigio acquisito con la guerra "non persa" in modo intelligente: fa autocritica sui due soldati rapiti ("se avessimo saputo che la guerra durava tanto, non li avremmo rapiti"!) e, a differenza della maggior parte dei capi militari dei paesi dell'area, conclude la guerra "non persa" (quindi considerata "vinta" nella coscienza di molti) non facendo parate militari, tornando nell'ombra; non ostentando le armi; nascondendole.

Infine appare importantissima la risposta politica che sembra maturare nei Territori palestinesi, dove non va dimenticato che Israele ha arrestato metà degli esponenti del governo e molti parlamentari di Hamas, oltre al presidente del Parlamento stesso; intanto continua la "guerra" e ogni giorno le TV ci trasmettono burocraticamente il numero dei "miliziani" morti.

Il tentativo di formare un governo di coalizione tra Hamas e Fatah, sulla base del "documento dei prigionieri" , come proposto da Abu Mazen, sembra una forte risposta politica sia alle richieste americane (governo di tecnici), sia a quelle di Israele (scioglimento e messa fuori legge di Hamas stesso; partito che, con elezioni democratiche, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi nel Parlamento palestinese).

Anche  Hamas (partito), a Gaza, fa autocritica, sia sul rapimento del soldato, sia sulla presenza di bande armate di varia natura e in caotica concorrenza. E' indice che è in atto un mutamento profondo di Hamas, sempre più verso un ruolo politico.

I ministri degli esteri UE, riuniti insieme a Solana, trascinati dall'iniziativa che ha portato alla forza di interposizione, provano a comportarsi "come se" la UE esistesse davvero come entità politica, e si propongono di avere una iniziativa politica efficace anche nei confronti del problema Palestina.

E' il momento giusto; tanto più perché gli Usa hanno deciso di essere, in questa fase, più defilati (dopo la tragica palude della guerra in Iraq, non sono percepibili come "equidistanti" o "equivicini" ai diversi attori; inoltre le elezioni sono troppo vicine).Mentre nessuno ha più sentito parlare, in questa fase, della Gran Bretagna (politicamente e diplomaticamente "in sonno"!).

La storia, spesso, segue itinerari tortuosi per arrivare a risultati che hanno, sulla carta, una razionalità più semplice. Forse, da questa non-vittoria militare di Israele su Hezbollah, come abbiamo detto, possono nascere condizioni nuove che consentono la riapertura di una fase di trattative. Anche sullo Stato palestinese.

E' sul tema della soluzione della guerra o della pace tra Israeliani e Palestinesi che si giocherà il futuro dell'area; oserei dire il futuro di tutto il Medio Oriente e del Mediterraneo. E' lì che si continua a combattere senza che nessuna autorità internazionale sia oggi in grado di intervenire.

La tempestività con la quale i ministri degli Esteri UE hanno deciso di provare a intervenire è importante. Probabilmente il tempo a disposizione per la politica dei ministri UE scade con le elezioni Usa. Dopodiché gli Usa ritorneranno protagonisti centrali. Quanto a Chirac, probabilmente ha deciso di tentare un successo su questo scacchiere internazionale prima delle elezioni presidenziali in Francia.

Forse, tuttavia, la Politica può ritornare in campo per tutti gli attori decisivi dell'area e nell'area. Dopo anni di orge e di comizi per guerre totali, in nome di Allah e per la distruzione dell'Entità sionista, da un lato; contro il terrorismo e contro gli Stati canaglia, dall'altro, forse si può tornare a parlare di Politica.
Martedì, 5. Settembre 2006
 

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