La laicità serve alla libertà religiosa

Come ha detto il rabbino di Francia (ma anche la nostra Corte Costituzionale): "compito della laicità non è costruire degli spazi svuotati dal religioso, ma offrire uno spazio in cui tutti, credenti e non credenti, possono trattare di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è"
Da qualche tempo il tema della laicità ha ripreso rilievo nel dibattito politico culturale. Occorre però dire che le questioni evocate dalla laicità sono molto antiche e complesse. Da secoli appassionano infatti i filosofi, i teologi, i giuristi. Tuttavia di recente esse sembrano avere assunto un rilevo politico cruciale in rapporto alla vita della polis e delle istituzioni. La spiegazione è abbastanza semplice. Alcune vicende hanno contribuito a chiamare in causa il rapporto tra visioni del mondo (religiose e non) da un lato e politica ed istituzioni dall'altro.
 
Basti pensare: alla disputa sulle radici cristiane nella costituzione europea; alla rilevanza del fattore religioso nelle elezioni americane; al movimento dei "teocon" e "atei devoti", promosso dall'ex presidente del Senato Pera con il proposito di reclutare i cristiani e la Chiesa a difesa dell' "occidente cristiano" minacciato dalla guerra di civiltà ingaggiata dal nemico islamico; alla bocciatura di Buttiglione come commissario europeo. Episodio in sé e per sé sicuramente insignificante, ma che l'interessato ed i suoi sodali hanno interpretato come una conferma del "pregiudizio anticristiano". Naturalmente alla centralità  politica del tema della laicità ha contribuito la vivace discussione  sui temi "eticamente sensibili". Anche qui, basti pensare al rapporto tra la vita e la morte ed al riconoscimento di diritti alle unioni di fatto. Questioni che spingono le moderne società democratiche (eticamente incerte e socialmente frammentate) alla ricerca di una sorta di "religione civile", di un ethos condiviso, di un legame sociale che attinga ai mondi vitali e perciò anche alle esperienze religiose.
 
Si torna dunque a discutere di laicità e di Stato laico. Ma cosa significa laicità? La prima cosa da dire è che "laicità" è parola inflazionata. Utilizzata perciò a proposito ed a sproposito. Ma proprio per questo è  innanzi tutto opportuno intendersi sul suo significato. Per farlo si deve prendere le mosse dalla sua radice etimologica. Laicità viene da laico e laico viene dal greco laikòs, che è aggettivo di laòs = popolo e significa quindi "del popolo", "comune", "volgare" (dal latino vulgaris che è esatta traduzione di laikòs, da vulgus = popolo). Si tratta dunque dello status ordinario, comune di tutte le persone.
 
I laici non sono quindi un gruppo particolare, una casta e nemmeno una nomenclatura sovraordinata al popolo. Non a caso, se si restringe il campo di osservazione alla Chiesa cattolica, considerata la sua secolare struttura gerarchica e clericale, si capisce come la parola "laico" abbia finito per indicare il fedele, il discepolo, il cristiano comune in opposizione al chierico, che appartiene ad una più ristretta élite di rango superiore. Oggi invece nel linguaggio corrente, sempre più impreciso ed approssimativo, laici sono quasi sempre denominati coloro che non professano una religione. In Italia, paese fino a non molti anni fa mono-confessionale, per laici si intendeva semplicemente i non cattolici. Si pensi ai cosiddetti "partiti laici" in opposizione al "partito cattolico", quale era considerato la Dc. E questo spiega la confusione.
 
Il punto che però qui interessa è il concetto di laicità in relazione con la politica e le istituzioni. Allo scopo di circoscrivere un oggetto altrimenti evanescente ed inafferrabile, occorre concentrarsi sull'idea di "laicità dello Stato". Essa attiene al rapporto dello Stato non solo con le religioni, ma anche con le ideologie e le visioni del mondo (comprese quelle non connotate religiosamente). Che significa quindi Stato laico? 
 
Sinteticamente, si può più o meno definirlo in questo modo: che non sposa una visione del mondo, una ideologia, una specifica morale, una religione; che si impegna a non privilegiare né, al contrario, a discriminare i cittadini sulla base di esse; che non solo rispetta, ma assai di più promuove  il confronto-diaologo tra le varie culture e le varie "famiglie spirituali". Dunque, l'opposto di uno Stato etico, ideologico, confessionale. In buona sostanza uno Stato liberale, democratico, pluralista. Il che significa che uno Stato laico non può essere scambiato con uno Stato che fa dell'agnosticismo, del laicismo (cioè del pregiudizio antireligioso) la sua ideologia (di Stato), il suo dogma, la sua bandiera. In definitiva uno Stato è laico quando è davvero casa di tutti. Quando riconosce, rispetta e valorizza tutte le espressioni autonome, ragionevoli e motivate del corpo sociale.
 
Quindi uno Stato laico comporta una visione ampia. Appunto liberale e pluralista, del rapporto Stato-società. In definitiva esso presuppone una idea di Stato che serve la società (e non viceversa). Che ne rispetta e ne valorizza l'autonomo dinamismo. E' esattamente l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, con una importante sentenza del 1989. Sentenza che contribuisce assai bene ad illuminare quella che deve essere la concezione della laicità.
 
Secondo la Corte infatti: "il principio di laicità, quale fissato dalla nostra Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato  per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale culturale… (Tale laicità) risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità e di ostilità rispetto alla religione od a un particolare credo, ma si pone al servizio di concrete istanze della coscienza religiosa e civile dei cittadini".
 
Quindi a giudizio della Corte la laicità in positivo è quella di uno Stato che scommette con fiducia sul libero stemperarsi dello scambio sociale e culturale. In sostanza, l'opposto di uno Stato occhiuto, sospettoso e scettico. Solo preoccupato di fare la guardia ai labili confini tra civile e religioso. E' una concezione che si ritrova anche nelle importanti parole del rabbino capo di Francia: "compito della laicità non è costruire degli spazi svuotati dal religioso, ma offrire uno spazio in cui tutti, credenti e non credenti, possono trattare di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è. Delle differenze da rispettare e delle derive da impedire; e questo nell'ascolto reciproco, senza tacere le convinzioni e le motivazioni degli uni e degli altri, ma senza scontri né propaganda". Perciò la laicità, sono ancora parole del rabbino capo, va intesa come "arte di vivere il pluralismo nel confronto con gli altri; arte propria del dibattito pubblico".
 
Intendiamoci, l'esercizio di una laicità così concepita è esercizio difficile. Comporta l'impegno a contrastare ogni fondamentalismo, ogni pretesa totalizzante, ogni forma di indottrinamento e di prevaricazione della coscienza. Sia da parte dello Stato, che da parte dei gruppi culturali e religiosi. Tutti. Naturalmente si deve riconoscere il loro diritto di concorrere positivamente al perseguimento del bene comune della polis, ma (e la distinzione è fondamentale) nel rigoroso rispetto del metodo della libertà e della democrazia. Astenendosi dalla pretesa di imporre, con la forza del potere e della legge, ciò che è affidato alla libera adesione delle coscienze. Sulla base di motivazioni etico-religiose rigorosamente personali.
 
Custodire e rispettare questo limite non è (stando almeno a quanto si è manifestato fino ad ora) nelle corde dei regimi ispirati all'islamismo politico. La questione è rilevante perché non si può ignorare che il dibattito sulla laicità si è acuito, non solo a causa della reciproca strumentalizzazione tra religione e politica, ma soprattutto in conseguenza della crescente immigrazione e dell'avvento della società multietnica, multiculturale, multireligiosa. Che è sempre più corposamente visibile nelle nostre città e nei nostri Paesi.

Questo elemento di attualità induce ad un paio di puntualizzazioni. La prima attiene alla cosiddetta "reciprocità". E' giusto auspicare che anche i regimi islamici assicurino alle minoranze culturali e religiose interne ai loro paesi i diritti e le garanzie che i nostri ordinamenti democratici riconoscono (anche se a volte con esitazione ed affanno) alle comunità islamiche presenti sul nostro territorio. Ma non ci è invece assolutamente consentito di subordinare il riconoscimento di quei diritti alla "reciprocità". Perché quei diritti sono scolpiti nelle nostre costituzioni e nelle nostre leggi. Non sono disponibili. Sono inconfutabili. Sono, per così dire, "laicamente sacri". Per altro, in questo consiste la superiorità, non della "civiltà occidentale" (tesi che, malgrado i non pochi cultori tra i politici della destra, è assolutamente infondata ed irresponsabile), ma certamente la superiorità degli ordinamenti politici democratici rispetto ai regimi autoritari e fondamentalisti.

Seconda puntualizzazione. Non c'è dubbio che "il date a Cesare..", contestazione mossa da Gesù Cristo e dai primi cristiani alle pretese assolutistiche ed idolatriche dell'imperatore romano, è il germe dell'intuizione-valore della laicità della politica e dello Stato e contemporaneamente dell'autonomia della coscienza. Nello stesso tempo però non si può non riconoscere che storicamente quell'ammonimento non è bastato a scongiurare derive assolutiste anche da parte di sovrani o di politici che si professavano cristiani.
 
Di più, si deve malinconicamente costatare che ancora oggi la tentazione di violare quei "giusti limiti"  non sembra affatto estranea ad una parte del cattolicesimo italiano. In questo atteggiamento gioca forse un ruolo la storia lunga e controversa del peculiare rapporto del cattolicesimo italiano con la democrazia politica. Si tratta infatti di una storia che ha conosciuto molteplici stagioni. Segnate, prima dall'ostilità, poi dall'estraneità, infine dalla cooperazione. Un rapporto probabilmente non compiutamente pacificato e che perciò a tratti, ancora oggi, è sottoposto a tensioni ed a regressioni. Come per altro conferma la polemica corriva contro il "relativismo etico" che sarebbe insito nelle moderne democrazie.
 
Il tema è complesso e qui non può essere affrontato adeguatamente. Basterà dire che mentre la fede è orientata al trascendente e quindi "all'assoluto", la democrazia è l'espressione del "relativo". Perché in democrazia, ciò che alla fine conta, è la decisione della maggioranza. La laicità quindi è una chiave imprescindibile anche per cercare di comporre questa tendenziale contraddizione. In effetti essa è una faccia del grande prisma della libertà. Della libertà religiosa, come di quella civile e politica.
 
Lunedì, 29. Gennaio 2007
 

SOCIAL

 

CONTATTI