La guerra anglo-olandese del petrolio

C’è bufera nella Royal Dutch Shell, gigante petrolifero mondiale. Non solo per la decisione di trasferire la sede dall’Aia a Londra per risparmiare sulle tasse, che costituivano un’importante entrata per il governo olandese. I dissensi sono anche strategici, sui problemi sempre più pressanti della transizione ecologica

The Financial Timesha dato nella prima pagina e anche nelle colonne Lex dedicate ai commenti, informazioni sulla sorte di Shell. Nel FT del 16 novembre si è potuto leggere che la sede legale della multinazionale petrolifera si sarebbe spostata da quella tradizionale dell’Aia a Londra. Era un segno di tale importanza da aprirvi il giornale della City; rilevante al punto che perfino il governo dell’Aia ha manifestato il proprio disappunto. A insistere – sempre secondo il FT – sarebbe stato un Fondo attivista, Third Point, che avrebbe lamentato la scarsa aggressività attuale di Shell, attribuendone la responsabilità alla parte olandese del gruppo.

Come molti sanno, Shell è da oltre cento anni un gruppo bicefalo, in particolare è anglo-olandese. Con la sua eccezionalità mitologica è sopravvissuto a due guerre mondiali, guerre dovute secondo alcuni pensatori proprio a una difficile spartizione del petrolio mondiale; e per buon peso inglesi e olandesi hanno superato anche due decolonizzazioni. L’origine, racconta la leggenda, della fusione i tra due gruppi petroliferi, l’uno dei quali ricavava petroli dall’Indonesia, colonia olandese, mentre l’altro si serviva della marineria inglese per trasportare petrolio in giro per il mondo. Il matrimonio anglo-olandese nasce  in un incontro segreto, clandestino, tra due personaggi eminenti delle due società: l’inglese Salomon e l’olandese Detering, in un luogo nascosto in Scozia, tanto per non essere intercettati dal furioso Rockefeller, capo della Standard Oil, avido di tutto il petrolio del mondo e molto contrariato da accordi che lo escludessero. I due pescavano petrolio in giro per il mondo, ma si trattava di assicurarsi quello russo zarista. Royal Dutch e Shell; i capitali e barili conferiti dagli olandesi erano assai rilevanti, più rilevanti di quelli inglesi. Si è parlato allora di un rapporto 60/40 e di interessi diretti con la corona olandese a far da cappello. In definitiva il nome e la sede espressero per decenni il rapporto di forze tra i due soci. Anche i consigli di amministrazione che si sono succeduti, in tempi meno internazionalistici degli attuali, hanno spesso mostrato la continuazione di tale rapporto di forze, di cui il titolo reale, il nome della società e la sede storica erano una sorta di conferma.

Dello spostamento di sede si interessa anche Reuters, la pettegola agenzia d’informazione. Veniamo a sapere che Shell ha tenuto oltre 100 incontri con azionisti per assicurarsi l’appoggio nell’assemblea prevista con il compito di deliberare il trasferimento della direzione a Londra e anche la semplificazione del nome, da Royal Dutch Shell a Shell plc. L’obiettivo è dunque l’assemblea del 10 dicembre; gli argomenti del lato Shell sono le imposte olandesi che improvvisamente appaiono esagerate e un provvedimento di un tribunale olandese critico per l’insufficiente propensione ambientalista della società che denoterebbe un atteggiamento ufficiale della governance olandese ormai sensibile al pensiero gretatumberiano.  Quelle del lato Royal Dutch sono probabilmente diverse, meno radicali: al contrario si vorrebbe sede immutata, continuità nelle imposte, e un piano dolcemente inclinato nel tentativo di mantenere tutto immutato e poi remare poco a poco, senza muovere la superficie dello stagno, verso un approdo ambientalistico opportuno.

Nel suo insieme Shell, la seconda compagnia petrolifera del mondo occidentale, vuole mostrare buone disposizioni ambientali.  Non tutti le credono, anzi quasi nessuno. Il passato indica una serie lunga cent’anni di attività connesse al petrolio, con totale disinvoltura sui temi ambientali, assai fastidiosi e tutto considerato costosi. Ora però c’è un cambiamento. La società è diventata solerte sostenitrice del grande patto di Parigi. Perché non crederle, almeno una volta, perché insistere con i casi degli ogoni nigeriani e del loro poeta Saro Wiwa, impiccato, nonostante il suo comportamento umano?

“La morte di Ken Saro Wiwa, nota internet, o meglio il suo barbaro assassinio, scosse profondamente la società civile globale, capace di lanciare la più grande campagna della storia contro una multinazionale, la Shell; una campagna di successo, se è vero che la società anglo-olandese fu costretta ad abbandonare l'Ogoniland, sebbene non in maniera definitiva”.

Poi le notizie internet proseguono, e così Shell è sempre in prima linea a difendere i diritti dei petrolieri, in ogni area del mondo, non distinguendo mai tra diritti, privilegi, soprusi. Un caso minore, ma significativo è quello del comizio del presidente Donald Trump, sempre in campagna elettorale, il 13 agosto 2019 in Pennsylvania, agli impianti Royal Dutch Shell. La direzione spiegò allora agli operai diretti e ai dipendenti degli appalti, i contractors, cinque o sei mila persone in tutto, che la presenza all’incontro con il presidente non era “obbligatoria”, ma che il salario dell’intero giorno, con annessi e connessi, era perduto per gli assenti. Per gli eventuali operai democratici sarebbe stato come sacrificare un centinaio di dollari a testa, ma senza che il loro partito ne ricavasse qualche vantaggio. Facile capire che Shell volesse affermare anche così (e a spese altrui) la propria fede repubblicana.

La Shell in Italia

Shell ha avuto una secolare – letteralmente – attività in Italia. Frequenti sono stati i casi di colleganza sotterranea e di scontro palese con i sistemi di governo che si sono succeduti: fascisti, democristiani, socialisti di varia tenuta, ulivisti. Shell ha sopportato tutti, o meglio l’ha raccontata agli azionisti anglo-olandesi; cose note ai lettori italici di oggi. I lettori di allora erano tutti assai fiduciosi nell’italica ricerca chimica, premiata dal Nobel di Giulio Natta; da qui la convinzione che non vi fosse nulla da imparare dai petrolieri. Molto noto è il breve trascorso di Monteshell che rievochiamo in questo breve intermezzo per i lettori troppo giovani o distratti per esserne al corrente. Montecatini era l’unica grande impresa chimica nazionale; era chimica all’antica, ma si comportava come se fosse da sola tutta la chimica. Alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso aveva seguito le mode del tempo e puntato un po’ troppo sul petrolio; sicura di sé aveva però preteso troppo dalla Borsa e si trovava indebitata: Così scelse la via di cedere a Shell metà della sua petrolchimica, in particolare gli impianti di Ferrara e di Brindisi. Nacque Monteshell. Poco dopo, per effetto di un colpo di stato nel consiglio di amministrazione, Montecatini si fece scalare dall’Edison, piena di miliardi per via della nazionalizzazione elettrica – voluta dai socialisti italiani di Riccardo Lombardi – e però priva di idee; la scelta principale fu allora quella di buttarsi anch’essa nel petrolio (e nella chimica), fondendosi con Montecatini appena scalata. Nacque così Montedison (all’insaputa di Shell). A sua volta, anche Montedison fu scalata, dall’Eni stavolta, un’impresa statale che aveva imparato il “come si fa” dalle sette sorelle, sue amiche-nemiche che allora andavano di moda. Ma tutti questi soprassalti passavano inosservati: la politica si occupava soprattutto degli studenti. Sì perché allora in Italia c’erano gli studenti in movimento: c’era chi alzava la bandiera rossa sulla Torre di Pisa e chi cantava a tutto spiano una stranissima canzone, dedicata a un improbabile personaggio, una “Contessa”: gli anni sessanta in Italia. Gli anni sessanta in Italia finirono ben presto; se ne sa anche la data, precisa, e il luogo: Milano, 12 dicembre 1969. Restò invece Monteshell, senza grandi slanci. Finì poi in occasione di una ennesima scalata, interpretata questa volta da altri poteri forti, con Gardini-Ferruzzi al timone, un grande tramestio bancario e la petrolchimica che passava un’altra volta di mano; e Shell a dire basta: “datemi i miei miliardi (vecchi miliardi di vecchie lire) e me ne vado”.

La battaglia anglo-olandese

I due partiti rimasti nella vecchia, grande e potente Royal Dutch Shell, il lato inglese e il lato olandese, sono ai ferri corti. Devono affrontare il pandemonio – Greta contro tutti – che emerso dal Cov 21 di Parigi del 2015, si è poi rinnovato con maggiore forza, nel Cov 26 di Glasgow. Si può tirarla per le lunghe, certo, ma non si può evitare una cattiva figura. Gli olandesi mettono in campo perfino il governo, perfino la loro corte suprema, tutto per condannare le scelte sconsiderate dei fratelli inglesi con cui c’era accordo in un passato talmente remoto che nessuno se lo ricorda più. Il lato inglese della società si rifiuta. Ne fa una questione di principio, certo, ma soprattutto una questione di finanza, di soldi. Nel corso dei decenni dalla Shell sono sorti nuovi rami: per esempio un ramo americano; per esempio un altro ramo canadese. Sono imprese autonome e forti che non si limitano all’attività nazionale, ma trafficano petrolio e gas, fanno affari, scavano e portano combustibili dappertutto nell’intero mondo. Il loro parere conta anche e più del dividendo che versano alla casa madre. Gli inglesi di Shell rappresentano meglio gli interessi di Shell Canada e Shell Usa (Shell Inc.) Anche in Usa i dirigenti Shell, pur amici di Trump, sono consapevoli che si debba fare qualcosa per ridurre l’inquinamento, che le rinnovabili siano nel futuro di tutta la professione; ma non subito, per favore. Essi pensano inoltre che le scelte spettino a chi se ne intende, a chi ha scavato petrolio e trovato gas per cento anni e commerciato e guerreggiato e non al primo venuto che ha solo letto un po’ di articoli e scavato carote di ghiaccio in Antartide. Tempi e modi per governare l’antropocene, sempre che esista davvero, sono compito di chi conosce la materia nei fatti. Gli altri, tutti gli altri, per favore si astengano. “Londra” quindi – chiamiamo così la linea Shell nella società comune – vuole segnare un punto fermo nei confronti dell’Aia, cioè Royal Dutch, la parte olandese della società. Se ci seguono, bene; altrimenti ognuno andrà per la propria strada.

Il FT è tornato sull’argomento con un grosso articolo che materializza tutto il contrasto su come, e quando, si può o si deve affrontare il cambiamento climatico e la necessità di ridurre e azzerare l’effetto serra: subito o doman l’altro. In sintesi, per il gran giornale si tratta di soldi; non c’è niente di scientifico. In Olanda le società, nazionali o straniere, pagano il 15 per cento di imposta sul reddito, ciò che è decisivo per il bilancio olandese, ma intollerabile per le multinazionali che lontane dall’Aia e da  Amsterdam potrebbero risparmiare l’inutile esborso. Prima di Shell anche Unilever, altra impresa bicefala, si è trasferita a Londra. Non farà così la furba Fca (ormai Stellantis) che si è trasferita da qualche anno in Olanda con gli uffici di direzione per trasformare i profitti multinazionali con canoni olandesi, ma ha trasferito a Londra la direzione finanziaria per evitare appunto ai propri azionisti quel maledetto salasso dell’imposta sul reddito. In altre parole, la spiegazione ufficiale, affidata al FT, è che “Londra” se ne va per non pagare l’imposta sul reddito, mentre la spiegazione vera è probabilmente una questione di strategia politica ed economica di fronte alla trasformazione del mondo, obbligata, immediata, a partire dalla rinuncia ai combustibili fossili, inquinanti in modo disperato, per dare energia in futuro al mondo. Le diversità di opinioni in tema sono talmente insuperabili che spaccano una delle più grandi imprese del mondo, una delle maggiori nel settore energetico. Una discussione vera, tra i principali convincimenti, tra le principali soluzioni, svolta nel grande gruppo energetico, apertamente, sarebbe stata molto utile per tutti. In questi frangenti abbiamo tutti bisogno di riflettere a partire da elaborazioni scientifiche e basate sui fatti: informazioni e dollari, miliardi di dollari. Si tratta di connettere e confrontare Scienza e Tecnologie, il Lavoro e il Domani da sistemare e far sopravvivere.

Peccato: per questa volta ne faremo a meno. La ritrosia, la vergogna della grandissima impresa hanno prevalso e Shell e Royal Dutch, di qua e di là della Manica (o English Channel che sia) non hanno saputo fare altro che nascondersi. 

Sabato, 11. Dicembre 2021
 

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