La Fiat nella giungla competitiva

Non è vero che il Lingotto non avrebbe nulla da offrire in una eventuale alleanza, ma questa sarà possibile solo se si risolverà la difficile situazione finanziaria, per esempio con un intervento pubblico temporaneo

Malgrado l'annuncio del divorzio consensuale fra Fiat Auto e General Motors, con il recupero della piena libertà d'azione da parte del gruppo torinese, gran parte della nostra opinione pubblica ha difficoltà a formulare giudizi e valutazioni sul futuro di Fiat Auto, per la complessità della situazione: ci si rende conto che, dalle gravi perdite finanziarie già emerse nella primavera del 2002, la crisi si è trascinata fino ad oggi, ma che l'intrico e le insidie nella giungla della competizione internazionale non sembrano offrirle molte vie di uscita.

Una domanda può essere esemplificativa di questo disorientamento, mentre i tempi stringono per trovare sbocchi a soluzioni: come mai l'alleanza costruita nel 2000 con "Re Leone", per essere in grado di affrontare la giungla della globalizzazione, non ha dato i frutti sperati ed è fallita su un' "opzione put" che ha rischiato di scivolare verso le carte bollate?

Coloro che hanno qualche velleità di pronunciarsi  si dividono per lo più fra i vecchi torinesi ottimisti (questa è l'ultima crisi, e la Fiat riuscirà in qualche modo a salvarsi come in passato) ed i cosiddetti  pessimisti illuminati (salvare solo il salvabile, ossia le produzioni eccellenti o di lusso coma Alfa, Ferrari, Maserati e poco altro come polo automobilistico italiano). Cerchiamo di chiarire il panorama con qualche approfondimento su quanto avvenuto,  per poter poi guardare in avanti.

1 - Da una parte la casa del Lingotto non ha più lo stesso "perimetro societario" di 5 anni fa, perché è diventata più leggera a seguito delle cessioni obbligate, in particolare il 51% della Fidis finanziaria del Gruppo, e l'aumento di capitale del 2003, operazioni queste che erano contestate  dalla casa di Detroit. Questo cambio di orbita Fiat è avvenuto negli anni del 2000, ponendo fine a una serie di avventure del gruppo torinese, quando ancora era presieduto dall'Avvocato, che riguardavano l'acquisto a prezzo strapagato di Case New Holland, leader mondiale nel settore macchine per movimento terra, le grandi risorse impegnate nella scalata a Montedison per costruire Italenergia che doveva diventare punto di riferimento nel mercato energetico, e ancora gli investimenti fatti in Argentina.

Il tutto è crollato nel 2002 quando il gruppo, a fronte delle gravi perdite finanziarie nel settore auto, ha dovuto dichiarare lo stato di crisi. E allora è incominciata l'avventura a ritroso delle dismissioni, fino ad arrivare alla vendita dei cosiddetti "gioielli di famiglia" (come l'immobiliare  Ipi, Toro Assicurazioni, la già ricordata finanziaria Fidis ceduta alle banche creditrici mantenendo però il diritto a riacquistarla entro il 31 gennaio 2006, e ancora il settore Avio, Fiat Engineering, e le quote di partecipazione in Montedison e nei supermercati).  Gli analisti hanno calcolato  che queste operazioni, che tendevano a focalizzare l'attività della Fiat sul settore "automotive", abbiano restituito liquidità in cassa per circa 7 miliardi di euro, impiegati per l'abbattimento del debito del Gruppo.

Questa è una parte della storia che riguarda la ritirata strategica sul settore auto, ma che non ha arrestato la crisi di Fiat Auto rispetto al mercato ed ai problemi finanziari già aperti. Si è così reso evidente che negli anni in cui si largheggiava nella diversificazione degli investimenti, si risparmiava invece dove era necessario spendere, ossia sui modelli nuovi per restare sul mercato, nazionale ed europeo, in modo competitivo.Gli errori manageriali si sono manifestati in modo clamoroso: il conflitto sul no all' "autocentrismo" della Fiat aveva non solo creato vittime (come Ghidella), ma aveva favorito fughe di idee e progettualità verso la concorrenza; e col crollo della politica dei vincitori (come Cantarella) si è determinata una turbinosa caduta a domino nei vertici del gruppo, che ha destabilizzato per due anni uomini e programmi dell'azienda.

2 - Guardiamo ora ai rapporti con General Motors. Nel marzo 2000 Gm aveva firmato un accordo con Fiat che le assicurava un buon alleato in Europa, in quanto nella fascia medio-bassa i prodotti Fiat-Lancia avrebbero potuto contrastare la concorrenza francese  e tedesca, evitando costi di progettazione a proprio carico e  mettendo in atto sinergie con Fiat per i propri marchi europei (Opel e Saab) sia per la meccanica che per le motorizzazioni. Il successo di questa joint venture  avrebbe poi potuto portare Gm a rilevare al cento per cento la proprietà dell'alleato (la cosiddetta "opzione put").  L'accordo con il Lingotto aveva dato vita a una comune iniziativa industriale chiamata Gm-Fiat Powertrain; ma i vantaggi sperati sono rimasti al di sotto delle aspettative, perché nel vecchio continente la stasi del mercato e la necessità di rinnovo della gamma di modelli hanno trascinato nella crisi non solo Fiat Auto, ma anche le controllate europee di Gm (Opel, Saab e Wauxall). Queste con i loro stabilimenti in Germania, Belgio, Spagna, Portogallo, Svezia e Gran Bretagna, assommano 40 mila dipendenti, e le ristrutturazioni per il loro rilancio comporterebbero il taglio di 12 mila posti.

La crisi del Lingotto e la sua ricapitalizzazione nel 2003 hanno visto Gm ritirarsi dalla partecipazione alle vicende finanziarie italiane, non solo per i problemi delle consociate europee, ma anche per l'affacciarsi della crisi al proprio interno, in particolare la crescita dei costi e della concorrenza sul mercato USA. Dopo un secolo di dominio sul mercato interno e mondiale da parte delle "tre sorelle" Gm, Ford e Chrysler, a partire dalla fine del secolo scorso esse hanno subito in casa un assalto spietato da parte dei produttori giapponesi e coreani. E nelle ultime settimane Gm, da prima azienda automobilistica a livello mondiale, è stata superata da Toyota.

Negli anni 2000, dopo l'accordo con Fiat, Gm aveva cercato di difendersi acquisendo la coreana Daewoo, il cui salvataggio aveva però comportato l'accollo di un pesante debito: principalmente per questo motivo il colosso americano aveva declinato l'invito a partecipare alla ristrutturazione di Fiat Auto. Infatti Daewoo era diventata per Gm l'alternativa a Fiat, e il contenzioso era iniziato proprio di lì e dal successo  del modello Matiz (che era stato progettato da Giugiaro per sostituire la Seicento, ma scartato da Fiat Auto e acquistato dai coreani). Era un cavallo vincente, con cui Fiat non intendeva collaborare perché fuori dagli accordi del 2000 con Gm (e si trattava della fornitura dei motori diesel costruiti a Torino dalla Powertrain per la Matiz).

Siamo così arrivati al divorzio fra Fiat e Gm, quest'ultima anch'essa soffocata dai debiti, dalla crisi della progettazione statunitense e assediata dall'affidabilità e dai prezzi allettanti dei costruttori asiatici. In questo quadro per Gm era importante risparmiare al massimo sull'eventuale penale da pagare a Fiat, mentre per quest'ultima non era opportuno aprire una causa legale davanti a un tribunale statunitense, che sarebbe potuta durare anni e perciò logorante e costosa più per Fiat che per Gm.

3 - Il raggiunto accordo per una separazione consensuale tra Fiat Auto e Gm ha fatto esprimere dichiarazioni di grande soddisfazione al gruppo dirigente Fiat, per la finita "prigionia" accompagnata da un risarcimento di 1,55 miliardi di euro. Positivi commenti sono stati espressi da tutti, anche da chi cinque anni fa aveva coltivato la possibile vendita a Gm e ripete oggi che fu una scelta giusta. L'inventore del "put" (Paolo Fresco, allora presidente di Fiat) lo giustificò nel marzo 2000 come un paracadute per gli azionisti Fiat, per sapere di che morte morire in caso di malasorte. Al tempo del 2000 per l'Avvocato e per Fresco, che proveniva dal mondo americano, gli Stati Uniti rappresentavano ancora il centro del mondo per l'auto.

Lo scioglimento delle due joint venture paritetiche (una per gli acquisti e l'altra per la produzione di motori e cambi) mette in risalto anche sulla stampa internazionale che Gm, che aveva già pagato 2,4 miliardi di dollari per la propria quota del 20% in Fiat Auto, deve ora ripagare il partner per uscire dal matrimonio. E ciò dopo che Gm aveva prima svalutato al 10% e poi azzerato la sua quota in Fiat Auto, mentre Fiat s.p.a. aveva ceduto a Merril Lynch le proprie azioni in Gm pari al 6%.

Ma quest'euforia perché la maggiore industria italiana non è stata venduta ed è ritornata con le mani libere, deve subito fare i conti con il difficile rapporto col mercato (crollo delle vendite a gennaio), con la montagna di debiti (almeno 7 miliardi per far fronte agli impegni più impellenti) e con i costi che bruciano risorse a un ritmo insostenibile. Cosicché le risorse finanziarie recuperate negli ultimi tre anni per oltre 10 miliardi di euro (di cui 3 per aumento di capitale e il resto per dismissioni), a fine anno 2004 erano scesi a meno della metà, e il raggiungimento del pareggio nel bilancio del gruppo Fiat (annunciato dall'amministratore delegato Marchionne per il 2004), superati i mesi di tranquillità che può assicurare l'indennizzo Gm, corre il rischio di sprofondare nuovamente in rosso nel corso del 2005, perché Fiat Auto pesa ancora per il 40 per cento del fatturato Fiat. Dunque si imbocca un tunnel stretto nei prossimi mesi.

Il gruppo dirigente Fiat respinge ora le joint venture e parla di articolate intese con partner sui singoli prodotti o segmenti di mercato. Del resto intese in questo senso sono rimaste in piedi anche con Gm per lo stabilimento polacco che produce motori diesel e per la comproprietà della tecnologia del motore Jtd diesel che non potrà essere prodotto fuori dall'Europa, e rispetto al quale, per la gran parte delle sue necessità in Europa, Gm si avvarrà della produzione dello stabilimento Fiat di Pratola Serra. Proseguirà infine lo sviluppo congiunto di piattaforme.

Ma questa impostazione viene presentata quando a livello mondiale si sono concluse la gran parte di alleanze e acquisizioni, cioè come si dice a giochi fatti; è vero che all'orizzonte esistono ancora candidati, ma certamente non emergono aspiranti ad avventure di cooperazione con Fiat Auto, proprio perché conoscono il gravame di debiti che la sommerge. Del resto il fallimento in passato di tanti tentativi di alleanze fu anche provocato dall'ambizione del gruppo Fiat di avere in mano proprie le leve di comando. Oggi forse l'approccio può essere più cauto dopo l'esaurimento di gran parte dell'esperienza con Gm, dove la cooperazione è stata troppe volte stoppata dai conflitti e dai veti incrociati. E l'annuncio di voler proseguire accordi mirati su singoli prodotti vuol forse evitare l'impasse del passato, come successe nella vecchia partnership fra Fiat e Peugeot.

La domanda più impegnativa è: sarà capace Fiat di dimostrare che è possibile arrestare  e raddrizzare il declino industriale italiano? La risposta implica che Fiat e i suoi azionisti investano sul settore auto, considerandolo un obiettivo di rilancio per il futuro e una prospettiva per tanti lavoratori che finora respirano e soffrono solo l'atmosfera della crisi, come crisi del lavoro e della fiducia. Ma si tratta anche di recuperare un diverso rapporto col mercato, con più competitività e sbocchi in aree di mercato più grandi.

Questo significa applicare un modello Renault, l'azienda francese che, data per spacciata, ha puntato da tempo sulla ricerca, l'innovazione e la qualità, realizzando un recupero sul mercato mondiale (oltre 2,4 milioni di auto vendute nel 2004 con un aumento del 4,2%) e risultati finanziari in crescita (utili per 3,56 miliardi di euro nel 2004). In questo circolo virtuoso dell'azienda come azionista di riferimento c'è lo Stato francese, che assicura un sostegno soprattutto agli investimenti in ricerca e innovazione.

Ma prima di parlare di eventuale alleanza con i francesi, bisogna che per Fiat si realizzino analoghi sostegni, e non solo con gli ammortizzatori sociali. Si può riprendere l'idea, già avanzata in questo forum, di partecipazione pubblica temporanea (attraverso lo Stato o gli enti locali) che orienti e accompagni la fuoruscita da quello stretto tunnel. Ed in questo delicato passaggio  il "prestito convertendo" delle banche se si trasforma in azioni Fiat Auto può fungere da traino per gli investimenti degli azionisti privati.

Molto dipenderà dalle capacità dei dirigenti del Gruppo e di Fiat Auto di impostare e realizzare un piano di rilancio, che può avvalersi del buon numero di modelli già in cantiere e delle tecnologie di cui Fiat Auto dispone. Cioè non  è vero che per possibili accordi con partner europei Fiat non abbia nulla da offrire. Questo va detto, anche per offrire qualche spazio di fiducia nel rapporto non solo con l'opinione pubblica, ma soprattutto con i lavoratori e con le organizzazioni sindacali. Convinti come sono tutti, credo, che se c'è la ripresa sono negoziabili e sopportabili anche i costi sociali delle necessarie ristrutturazioni.

(Giovanni Avonto - Fondazione "Vera Nocentini", Torino)


Torino, 15 febbraio 2005
 

Venerdì, 18. Febbraio 2005
 

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