La famiglia: problemi e retorica

Non sono i "Dico" che danneggiano la famiglia, ma la mancanza di politiche in suo sostegno. Politiche che richiedono l'impiego di risorse pubbliche. Che certo non si trovano riducendo le tasse
C'è una evidente sproporzione tra i prudenti contenuti della proposta del governo per il riconoscimento di diritti e responsabilità individuali alla coppie di fatto e l'affollata polemica, non priva di intonazioni apocalittiche, che ne è seguita. Ciò che sorprende non è tanto l'esplicito intento dell'opposizione di utilizzare questo tema, alla pari di tanti altri, come un  pretesto utile per una spallata alla maggioranza, nella speranza che possa produrre una crisi di governo. Anche se è del tutto evidente che il superamento dell'anomalia politica italiana esigerebbe il riconoscimento che la competizione tra gli schieramenti può diventare rovinosa se prescinde dai problemi reali. Se diventa sempre e comunque strumentale. Se rifiuta di ammettere che la naturale "parzialità" di ciascuno schieramento su numerose questioni dovrebbe invece ricomporsi ed autenticarsi in una tensione motivata verso una sintesi generale e condivisa. Soprattutto quando si tratta dei "diritti di cittadinanza". Così che sia possibile riconoscere, senza insidie e sotterfugi, la volontà, la risposta delle istituzioni alle domande dei cittadini.

Sorprendono semmai le posizioni di alcuni gruppi o persone che pur dichiarando di ispirarsi alla cultura del cattolicesimo democratico la negano e comunque la contraddicono sul punto fondamentale del rapporto società-Stato. Nelle Lezioni di filosofia del diritto Moro scrive: "Lo Stato si presenta caratteristicamente come uno nato dal molteplice e che nel molteplice ancora si risolve". Vuol dire che, in buona misura, lo Stato non è altro dalla società. In questa visione aperta, processuale dello Stato, la necessità che sia il diritto a tutelare gli interessi si chiarisce e si prolunga in un compito più esauriente: che non vi sia alcun interesse, sia pure il più debole ed inascoltato, che non abbia tutela e rappresentanza nel diritto.

Si tratta, oltre tutto, di una concezione che dovrebbe essere considerata ineludile (anche da chi proviene da culture diverse dal cattolicesimo democratico); tanto più in una società tendenzialmente sempre più multietnica, multiculturale, multireligiosa.
 
La critica più diffusa alla proposta dei ministri Bindi e Pollastrini, varata dal Consiglio dei ministri, è che i "Dico" sarebbero un surrogato del matrimonio. Con il rischio per alcuni di svuotare il matrimonio religioso; per altri (agnostici, o atei devoti) di svuotare il matrimonio civile. L'accusa appare però assai poco fondata. Considerato che negli ultimi anni, anche in assenza di qualunque riconoscimento di diritti, le unioni di fatto sono aumentate con un parallelo aumento dei figli nati fuori dal matrimonio, mentre i matrimoni (tanto religiosi, che civili) sono diminuiti. Insomma, se si guarda la realtà, si arriva alla conclusione che le unioni di fatto, più che la causa della crisi del matrimonio, ne costituiscono semmai l'effetto. Le spiegazioni del declino vanno perciò cercate altrove.

Soprattutto in una duplice direzione. Primo: sul piano antropologico e culturale. C'è una evidente contraddizione tra la tendenza a promuovere (o anche assecondare acriticamente) una cultura individualista, una logica "dell'ognuno per sé e Dio per tutti", una propensione a considerare le diseguglianze un parametro positivo del dinamismo economico e sociale, salvo poi recriminare sul fatto che si affievoliscono i legami familiari e la coesione sociale. Secondo: sul versante delle politiche familiari. Quel che è accaduto alle famiglie italiane è ormai noto, grazie a numerosi studi e ricerche. In Italia si fanno meno figli che in ogni altro paese europeo, malgrado le donne che lavorano da noi siano solo il 40 per cento. Cifra più o meno stabile da anni e ben lontana dalla media europea. Addirittura lontanissima dalla Francia, o dai paesi del Nord Europa; che raggiungono, o superano il 60-70 per cento. Una delle spiegazioni è che da noi gli asili nido sono solo il 7 per cento rispetto ai bimbi che teoricamente potrebbero frequentarli. Il che ci pone al terzultimo posto in Europa. Ben al di sotto del 23 per cento della Francia. Dove per altro è ipotizzato un ulteriore incremento. I programmi della Royal e di Sarkozy prevedono infatti una aggiunta, rispettivamente, di 200 mila e 600 mila nuovi posti.

Per capire ancora meglio i termini della situazione italiana è sufficiente aggiungere che, dalle ricerche effettuate dall'Istat e dal Cnel, risulta che (nel 2003) con la nascita dei figli il 6 per cento delle donne ha perso il lavoro. Mentre il 14 per cento sono state costrette a lasciarlo. Le misure estemporanee adottate nei cinque anni del governo di destra non potevano costituire un rimedio a questo stato di cose. Non poteva certo esserlo il "bonus bebè" (mille euro per la nascita di un figlio), e nemmeno la detrazione dalle tasse sulle spese per i nidi privati. Misure puramente dimostrative e sostanzialmente propagandistiche. Quindi del tutto inidonee a colmare i gravi limiti della politica familiare italiana. Sappiamo bene infatti, da diverse indagini realizzate, che quando una donna rinuncia a fare figli è quasi sempre perché ritiene di non poter contare sul sostegno necessario. Non potrà mai perciò essere un premio improvvisato a farle cambiare idea.

Il caso francese ci aiuta a capire meglio i termini della questione. In Francia infatti l'architrave delle politiche di sostegno consiste nell'aiutare concretamente e stabilmente la donna che decide di avere figli. Innanzi tutto a mantenere il posto di lavoro, con nidi per l'infanzia, l'asilo pubblico gratuito dai due anni, colonie per le vacanze sovvenzionate, mense scolastiche. Inoltre, sulle famiglie, soprattutto quelle che vanno oltre il primo figlio, "piovono" sussidi, contributi, assegni, riduzioni: da quelle tariffarie, alle tasse, ai trasporti, alle piscine, ai consumi culturali, ai libri di testo scolastici. Per giungere fino all'acquisto degli elettrodomestici. Infine un progetto di legge, attualmente in discussione, prevede che lo Stato rimborsi fino a 7500 euro di spese per la baby sitter. Anche alle famiglie fiscalmente incapienti. Politica di sostegno familiare molto articolata dunque. Il che spiega perché il tasso di natalità francese sia del 2,1 (tra i più alti in Europa), mentre quello italiano è fermo all'1,4.

Naturalmente la maggiore natalità francese non risolve i problemi del matrimonio (le sue forme e la sua stabilità) che dipendono da molti fattori, inclusi quelli sociali e culturali. Tuttavia, assicura quanto meno il ricambio generazionale ed un maggiore equilibrio solidale, anche ai fini previdenziali, tra giovani ed anziani. Che resta invece un altro nostro problema irrisolto. Problema che non sembra risolvibile, come invece alcuni immaginano, riducendo sbrigativamente le prestazioni previdenziali a tutti. Giovani e meno giovani.
 
Intendiamoci bene. Il sostegno materiale alle famiglie non è tutto. Ma è sicuramente un elemento di grande importanza. Naturalmente la condizione essenziale per attuare una politica in questo senso è che siano mobilitate adeguate risorse pubbliche. Il che esige che sia affrontato in un'ottica diversa il problema delle entrate. Vale a dire delle tasse. Incominciando dalla evasione fiscale. Che non può essere amministrata con indulgenza. Quasi come se si trattasse di un fenomeno riprovevole, ma tutto sommato comprensibile. Se non addirittura giustificabile. Quando dovrebbe essere assolutamente chiaro che l'evasione fiscale costituisce sempre un furto alla collettività. Per l'ordinamento civile essa è un reato. Per la legge morale è  addirittura la violazione di un comandamento divino. Settimo: Non rubare! Motivi più che sufficienti per non condividere l'atteggiamento di tacita condiscendenza verso un fenomeno tanto diffuso, quanto grave.

Bisogna tuttavia anche dire che, per assicurare il livello di spesa pubblica necessaria ai bisogni sociali, a cominciare dalle famiglie, occorre anche andare oltre la pur indispensabile lotta all'avasione. Servono infatti risorse sensibilmente maggiori rispetto a quelle attualmente disponibili. Nelle scorse settimane alcune migliaia di personalità francesi (tra le quali moltissimi cattolici, compreso Jaques Delors) hanno lanciato una petizione che dovrebbe indurre anche gli italiani a riflettere. I suoi sottoscrittori affermano, innanzi tutto, di "essere orgogliosi di pagare le tasse sui loro redditi per contribuire alla spesa pubblica, necessaria per il progresso, la coesione sociale e la sicurezza della Francia". Aggiungono poi che: "vedere dei candidati alla presidenza della Francia proporre misure demagogiche in materia fiscale (…) ci lascia interdetti. I nostri redditi non vengono solo dal nostro talento personale (…) che non porterebbe frutti senza le infrastrutture, le innovazioni, le conoscenze, la capacità imprenditoriale, i legami sociali che ci sono stati trasmessi dalle generazioni precedenti. E' soprattutto quest'eredità comune che dobbiamo preservare e sviluppare (…). E questo è possibile solo attraverso un livello elevato di spese pubbliche. E' per questo che ci diciamo favorevoli alle tasse e contrari alla loro riduzione. Abbassarle significherebbe solo meno risorse per i più poveri, per le famiglie, per l'istruzione, per la ricerca, per la salute, per l'edilizia e per l'ambiente".

La posizione dei sottoscrittori non potrebbe essere più chiara. Per quel che ci riguarda, la conclusione da trarre è che per il sostegno della famiglia non bastano gli inchini retorici. Che invece nel dibattito italiano di queste settimane sovrabbondano. Perché occorre assicurare le entrate pubbliche che lo rendano concretamente possibile. La conseguenza diventa ovvia. Il miglioramento della situazione economico-finanziaria non può costituire l'occasione per "ridurre le tasse". Al contrario esso va colto come una provvidenziale possibilità per fare finalmente ciò che finora non è stato fatto. O è stato fatto in misura assolutamente inadeguata. A cominciare da: una politica seria per la famiglia; un welfare in grado di accompagnare i cambiamenti del lavoro; una riduzione significativa del debito. Anche perché è cattiva abitudine quella di assolverci, pensando di poter impunemente continuare a scaricare sulle nuove generazioni le conseguenze delle nostre sregolatezze.
 
Considerata la precarietà degli attuali equilibri politico-parlamentari è arduo fare previsioni sull'esito del dibattito per il riconoscimento dei diritti e doveri di cittadinanza alle coppie di fatto. Si può comunque dire fin d'ora che solo un'idea distorta di potere assoluto, solo la pretesa di un potere illimitato, può ritenere che quando la società pone problemi, anziché cercare di risolverli,  sia possibile "raddrizzare" la società. Magari con la presunzione di potere imporre a tutti i propri schemi di giudizio e di valore. Mentre la storia della democrazia si dispone invece sempre sul lato modesto, e tuttavia rassicurante, di una instancabile disponibilità alla correzione. Nel senso di una crescita di persuasione ed allo stesso tempo di capacità rappresentativa.

Anche per questo motivo, una cosa appare assolutamente certa. Se disgraziatamente il Parlamento si dimostrasse incapace di pervenire ad un approdo ragionevole non si rafforzerà la famiglia, ma si indeboliranno ulteriormente i fattori di coesione sociale. Perché  fuori da un confronto coraggioso, con il dovere  dei cambiamenti appropriati, ci sono soltanto finte soluzioni. E le finzioni in politica sono solo un modo come un altro per aprire la strada ad intenzionali e sempre più diffusi comportamenti sregolati.
 
Martedì, 20. Febbraio 2007
 

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