La Dc del terzo millennio

Quello di Renzi è un partito nuovo, che ha abbandonato le eredità culturali di quelli che gli hanno dato origine e che occupa tutto il centro dello schieramento politico, lasciando poco spazio sia a destra che a sinistra. Non sarà facile scalzarlo: forse prima o poi dall’interno, ma con molta fortuna

In mezzo alle polemiche sull’articolo 18 e sullo scontro fra Matteo Renzi da una parte e la minoranza di sinistra del Pd e la Cgil dall’altro, si sta perdendo di vista ciò che di incredibile sta avvenendo proprio sotto i nostri occhi: la nascita di un  nuovo partito. Il Pd di Renzi è un work in progress di cui però già si possono intravedere le caratteristiche di fondo. Vediamole.

 

1) È un partito che non parte dall’eredità culturale che si porta dietro (nel bene e nel male), ma che si muove come se nascesse oggi ex novo dalla gestazione dello stesso Renzi (e di coloro che, a quanto pare, lo stanno seguendo senza se e senza ma). Si spiegano così gli strappi prima con la riforma del Senato, che ha gettato a mare la cultura del bilanciamento dei poteri che il vecchio Pci-Ds-Pds-Pd ha sempre seguito. E poi con la riforma dell’articolo 18, che nasce così, da un momento all’altro, senza alcuna precedente elaborazione concettuale; anzi, di più: in contrasto con ogni elaborazione precedente.

 

2) Più che un partito di sinistra sembra un partito di centro che non disdegna di guardare anche a destra, facendo propri alcuni dei temi classici di questa parte politica, a cominciare appunto dalla licenziabilità dei dipendenti. Non può non aver colpito l’immaginario di quanti hanno votato nel corso del tempo per questo partito il vedere l’on. Sacconi esibirsi in un’appassionata difesa della scelta del governo sull’articolo 18.

 

3) Che sia un partito di centro è evidente anche dal fatto che oggi, sia a destra che a sinistra, non esiste alcuna alternativa plausibile. Dunque di fatto il Pd occupa, anche elettoralmente secondo i sondaggi, tutto lo spazio di centro destra e centro sinistra che un tempo era occupato dagli accoliti di Berlusconi da una parte e dai vari spezzoni di sinistra (compresa quella interna al Pd) dall’altra. Lasciando a queste frange presenze soltanto marginali.

 

4) La continua enfasi - da parte di Renzi e dei suoi uomini più vicini - sul fatto che l’attuale Pd sia davvero un partito di sinistra è in qualche modo (excusatio non petita accusatio manifesta) un segnale di quanto invece ne sia lontano. Tuttavia, il fatto stesso che dica di essere di sinistra significa che vuole presidiare quest’area. Il che significa che è sempre pronto, laddove occorresse, a prendere misure inequivocabilmente vissute come di sinistra.

 

In conclusione, il Pd di Renzi appare certamente un partito di centro che guarda a sinistra secondo la formidabile definizione che diede della Dc il suo fondatore. Il Pd di Renzi è il partito che più assomiglia, come collocazione nello schieramento politico, alla Dc di De Gasperi, che non a caso aveva una larga maggioranza relativa nel paese. Naturalmente da allora le cose sono molto cambiate: l’Italia, le classi sociali, la cultura sono completamente diverse. E anche questo partito è diverso, nuovo, più adeguato ai tempi. Incarna una nuova centralità. Mentre la sinistra non ha per ora da offrire né alcuna nuova elaborazione né alcun homo novus che ne incarni la proposta. Quindi nessuna chance di contare qualcosa nello scenario politico. Del resto, molto semplicemente, se la sinistra avesse avuto sia una chiara proposta politica che un uomo in grado di rappresentarla, forse Renzi non sarebbe mai emerso come leader.

 

Di più: siccome il Pd di Renzi guarda a sinistra, non sarà facile per una sinistra che volesse creare un proprio partito differenziare la propria proposta politica da quella del Pd al punto da non rimanere una frangia marginale e diventare invece un partito di massa qual è oggi il Partito Democratico. Naturalmente tutto è possibile e in politica le cose cambiano. Ma ci vuole tempo, e molta fortuna. Più facile, sulla carta, il percorso interno che potrebbe portare la sinistra un domani a riprendere le redini del Pd. Del resto, quando, negli anni Settanta, la Dc dorotea entrò in crisi, la sinistra del partito riuscì a prendere il comando nominando Zaccagnini segretario. Ma anche questa non è una strada né facile né breve. E anche questa non si percorre senza un po’ di fortuna.

Venerdì, 24. Ottobre 2014
 

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