La cosmesi fiscale di Berlusconi

Basta fare due conti: la manovra aumenta la pressione fiscale, non la riduce. C'è però chi ne trarrà vantaggio: i più benestanti, soprattutto quelli che riescono a occultare al fisco parte dei redditi. Quanto agli effetti di rilancio dell'economia, saranno inesistenti

Ad una delle prime presentazioni del bikini un cronista scrisse: "quello che rivela è suggestivo, ma quello che nasconde è essenziale". La medesima considerazione può essere fatta per la cosiddetta riforma fiscale di Berlusconi. Può darsi che, come pensa il capo di Forza Italia, possa risultare elettoralmente suggestiva. Rimane il fatto che occulta l'essenziale.

L'essenziale è che quella varata dal governo non è una "riduzione delle tasse", ma semplicemente un cambiamento della struttura del prelievo. La ragione è presto detta. Nel 2005, a parità di gettito, avremo un po' meno tassazione sui redditi e un po' più di imposizione indiretta. Non solo sul tabacco, o sul gioco del lotto, ma anche per le accise sulla benzina, o i per ticket sulle ricette e sulle visite mediche, e così via. Ci saranno, dunque, un po' meno di imposte centrali ed un po' più di imposte locali. A cui occorrerà  però anche sommare un aumento delle tariffe (acqua, spazzatura, trasporti, ecc.). Sicché, alla fine del prossimo anno il prelievo complessivo sarà uguale e probabilmente superiore (di 4 - 5 miliardi di Euro, secondo i calcoli del centro-sinistra) a quello del 2004. Così la  stragrande maggioranza delle famiglie italiane, invece della riduzione attesa, si ritroverà  gravata da un aumento della pressione fiscale.


Per capirlo non servono doti da chiromante e nemmeno una predisposizione per i calcoli particolarmente complicati. Basta saper fare addizioni e sottrazioni. Si può quindi provarci. La manovra complessiva, prospettata con la Finanziaria 2005, è pari a 30,5 miliardi (24 per tenere il disavanzo pubblico entro i limiti del 3 per cento; 6,5 per la cosmesi alle aliquote fiscali). In che modo verranno messi assieme questi 30,5 miliardi di Euro?  Con una somma algebrica tra nuove entrate e tagli di spese. Ora, poiché sulla carta le nuove entrate sono intorno agli 11 miliardi (e quindi assai di più dei 6,5 miliardi previsti per la riduzione delle aliquote), è evidente che a fine anno saranno state prelevate dalle tasche dei contribuenti più risorse di quante ne venivano prese in precedenza. Quindi, anche se a titolo diverso alla fine moltissimi avranno mediamente pagato di più.

Naturalmente, come tante altre, anche questa è una "media del pollo". Perché non tutti perciò pagheranno nella stessa proporzione. Sfortunatamente, tra coloro che dovranno pagare di più si ritroveranno soprattutto quelli che hanno di meno. Il governo ha infatti pensato bene di mettere il costo dell'aggiustamento finanziario a carico dei redditi più bassi. Non solo perché per loro non ci saranno reali benefici fiscali, ma perché su di loro ricadranno anche le maggiori conseguenze dei tagli di spesa. Come dice la saggezza popolare, "piove sempre sul bagnato". In effetti, anche ammesso che una parte dei tagli sia soltanto (come sostiene il governo) una "riduzione di sprechi", ce n'è pur sempre un'altra che comporta una contrazione di prestazioni e servizi pubblici. Tale dimagrimento ha un effetto collaterale. Cioè uno sgradevole peggioramento della condizione di molte famiglie. Per intenderci, in primo luogo, quelle dei disoccupati, dei pensionati, dei lavoratori dipendenti.

In ogni caso, un punto risulta evidente: la manovra fiscale del governo non cambia il prelievo complessivo. Cambia invece la sua struttura e quindi gli effetti redistributivi. Vediamo allora di capire meglio a vantaggio di chi andranno questi cambiamenti. 

Secondo i conti del ministero dell'Economia, i vantaggi andrebbero al 40 per cento dei contribuenti con i redditi più elevati. Per così dire, vengono favoriti i benestanti "bisognosi". Ebbene, una parte di questo 40 per cento di contribuenti dovrebbe poter contare su un risparmio "nominale" di imposte all'incirca di 350 euro all'anno. Più o meno un euro al giorno.  Una valutazione più analitica e precisa è difficile anche perché i parametri e le variabili sono piuttosto  numerose. I "risparmi" d'imposta possono perciò risultare diversi anche per contribuenti appartenenti alla stessa classe di reddito.

Tuttavia, senza perderci in inutili dettagli, si può dire che per questa particolare categoria di beneficiari la riduzione delle tasse dovrebbe essere, grosso modo, una semplice partita di giro. A meno imposte dirette dovrebbe infatti corrispondere una  parallela crescita delle imposte indirette. Perciò, a fine 2005, la manovra fiscale non produrrà conseguenze migliorative, ma nemmeno peggiorative, sul loro reddito "spendibile".  Ovviamente, stiamo parlando di quella particolare fascia di contribuenti che, pur disponendo di un reddito medio-alto, sono sottoposti al prelievo fiscale "alla fonte". Si tratta, insomma, di gente che ha stipendi alti, ma sui quali paga le tasse. Magari malvolentieri. Ma le paga.

Molto più fortunata invece la parte restante (che è anche le più numerosa) di quel 40 per cento di contribuenti. Non solo perché spesso è la più facoltosa, ma soprattutto perché verso di loro il governo ha avuto un "occhio di riguardo". Con loro infatti la "riforma fiscale" è stata più munifica. Quindi, i più ricchi, per reddito e patrimonio, beneficeranno di maggiori riduzioni fiscali. 

Questa scelta "preferenziale" per i ricchi (che, di norma, sono anche i maggiori evasori fiscali) non è casuale. Comunque, non è affatto sorprendente. Va infatti considerata uno sviluppo coerentemente, che fa seguito alla legge sul falso in bilancio; ai condoni; alla comprensione, alla giustificazione del presidente del Consiglio verso gli evasori. Cioè verso quanti hanno la possibilità e gli strumenti per potersi autoridurre le tasse. I più audaci riescono addirittura a non pagarle affatto.  Come è noto, si tratta di opinioni che Berlusconi non ha mai esitato ad esibire. Al punto che le ha ribadite persino in occasione di una cerimonia ufficiale della Guardia di Finanza. Cioè dell'istituzione alla quale è affidato, tra l'altro, il compito di perseguire l'evasione fiscale.

Non bisogna però commettere l'errore di considerare queste posizioni come pure e semplici manifestazioni di lassismo; di declino della moralità pubblica. A loro modo, esprimono infatti anche un calcolo politico. Del resto, per la sua stessa  esperienza personale, il premier sa bene che "anche i ricchi piangono". Anzi, essi sentono più profondamente dei poveri le ingiustizie di cui si credono vittime e la loro capacità d'indignazione non ha limiti. Al punto che, quando i poveri sentono i loro lamenti, incominciano a pensare che i privilegiati soffrano davvero e perciò diventano, a loro volta, più disponibili ad accettare la propria sorte con maggiore filosofia. Non siamo quindi in presenza di nulla di improvvisato e nemmeno di inatteso. Al contrario, "l'operazione aliquote" esprime bene la cifra politico-culturale della destra e la conformità della sua strategia.

Preso atto che dal punto di vista redistributivo la politica fiscale del governo Berlusconi ha effetti regressivi, è tuttavia utile verificare il suo possibile impatto sull'economia. I "cantori" berlusconiani assicurano che essa produrrà una "scossa" benefica sul ritmo di crescita. Non la pensano così i sindacati dei lavoratori, che hanno già promosso una prima iniziativa di protesta generale. E nemmeno le organizzazioni imprenditoriali, che non hanno potuto nascondere timori e fondate preoccupazioni.

Decisivo però è che persino lo stesso Berlusconi ha già messo le mani avanti. Tant'è vero che, senza perdere tempo, ha già scaricato sull'Europa (che non gli ha permesso di tagliare le imposte in disavanzo) la colpa del prevedile insuccesso economico della manovra. 

Per la verità, le istituzioni europee si sono limitate a ricordare al governo italiano che esistono un Patto e dei vincoli. Ed a ricordare che, dovendo mantenere il deficit entro il limite del 3 per cento, la riduzione (effettiva!) delle tasse, con il contemporaneo mantenimento dell'offerta pubblica dei servizi, non sarebbe risultata possibile. Perché è incompatibile con l'aritmetica. In effetti questo contrasto con l'abaco era talmente evidente che il governo, fingendo di ridurre la pressione fiscale, l'ha in realtà aumentata. Quanto meno ad una larga maggioranza di italiani. Inoltre, essendo costretto a riportare il disavanzo del bilancio pubblico sotto il tre per cento, ha dovuto aggiungervi  tagli di spese peri a circa due terzi dell'intera manovra.

Si può naturalmente essere devoti di tutte le teorie economiche. Comprese le più strampalate. Ma per sostenere che nuove entrate e tagli di spese per 30,5 miliardi di Euro possano avere effetti espansivi sull'economia, occorre soprattutto una grande "faccia tosta". Perché è come cercare di convincere anche gli adulti dell'esistenza della Befana, o dei folletti. Tanto più in un contesto economico caratterizzato dall'apprezzamento dell'euro sul dollaro. Sicché i pronostici sul futuro della nostra economia sono tutti orientati al brutto tempo. Non è un caso che il Fondo Monetario Internazionale, la Banca d'Italia e l'Ocse abbiano rivisto al ribasso le stime di crescita per l'Italia nel 2005. Se, queste correzioni all'ingiù delle previsioni si riveleranno fondate (come purtroppo è più che probabile) non è necessario essere economisti per capire che ad una crescita più bassa corrisponde anche un deficit più alto. E che perciò, al più tardi tra qualche mese, sarà necessaria una ulteriore manovra correttiva per tentare di rimettere in linea di galleggiamento i conti pubblici. Altro che scossa all'economia!

Come si dice di solito, al futuro bisognerebbe sempre guardare con ottimismo. Ma, perdurando l'attuale stato di cose, l'Italia sembra  sottrarsi a questa regola. Infatti, più passa il tempo e più la situazione economica e sociale tende a divenire complicata. I problemi (dallo sviluppo al lavoro, all'equità) diventano sempre più acuti e le soluzioni sempre più difficili. Dobbiamo metterci in testa che non c'è più molto tempo da perdere. Altrimenti è il tempo che rischia di perdere noi.

Lunedì, 6. Dicembre 2004
 

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