La concertazione ha bisogno di nuovi contenuti

Se le parti sociali non si presentano con un apporto specifico di proposte e decisioni unitarie, viene scaricato interamente sul governo il peso di far raggiungere qualche risultato al confronto
L'avvio dell'attività del governo Prodi e la ripresa del confronto con le parti sociali, hanno riaperto il problema della concertazione. Il governo, soprattutto tramite il ministro dell'economia Padoa Schioppa, chiede esplicitamente ai sindacati la moderazione salariale e agli imprenditori un impegno rinnovato per aumentare la produttività oltre i livelli modesti registrati nell'ultimo decennio, e rivendica, alla fine del confronto, il diritto del governo di decidere. Le parti sociali, nell'esprimere una serie di preoccupazioni per gli effetti negativi della manovra del governo sugli interessi dei loro associati, indicano vincoli da non superare e presentano richieste in parte alternative alle scelte indicate dall'esecutivo. Sono convinto che in tal modo si parta con il piede sbagliato e difficilmente si potranno ottenere risultati virtuosi per l'intero paese.

Da alcuni anni la rivendicazione del metodo concertativo è diventata una costante del rapporto parti sociali-governo, ma i risultati sono stati modesti. La criticità della concertazione è stata del tutto evidente nel rapporto con il governo di centrodestra che non credeva in tale metodo e l'ha realizzato (quando l'ha realizzato), in termini rituali e propagandistici. Ma una serie di problemi e di limiti  si sono verificati anche con il precedente governo di centrosinistra. In quei cinque anni la concertazione si è praticata incessantemente ma i risultati sono stati del tutto insufficienti rispetto alle premesse e alle aspettative della parti.

La ragione di ciò stava, a mio avviso, innanzitutto in un carente rapporto tra concertazione e contrattazione. Le parti sociali cioè non partecipavano con un apporto specifico di proposte e di decisioni unitarie, frutto di intese bilaterali, tali da contribuire ad innalzare la qualità e la praticabilità delle scelte da decidere, ma si presentavano al tavolo con posizioni contrastanti tra di loro e cercavano di farle passare, ognuno per proprio conto, nel confronto con il governo. Quest'ultimo, nei fatti, diventava l'unico soggetto responsabile degli esiti del confronto, sul quale gravavano pressoché tutti gli oneri, politici e finanziari di una eventuale intesa.

Questa qualità dei rapporti spiega gli scarsi effetti di alcune intese, come il cosiddetto "Patto di Natale" del 1998, costruito nel giro di pochi giorni e rimasto lettera morta.
Eppure quell'intesa conteneva parti di rilevanza non contingente, specie in materia di formazione, nel cui ambito, tra l'altro, si prevedeva di aumentare il contributo per la formazione continua dallo 0,30%  (che dura dal 1978) allo 0,50% della massa salariale dei lavoratori dipendenti. Tale risultato è stato pressoché dimenticato dai sindacati pur avendo un rilievo particolare, in una materia come la formazione che rappresenta un antidoto  diretto ed efficace alla precarietà del lavoro.

Del resto, pur essendo trascorsi sette anni da quando, tramite una legge, le parti sociali hanno ottenuto la gestione diretta, con i fondi interprofessionali, della formazione continua, essi non sono riusciti a far decollare questa attività, che rimane essenziale, dato il permanere di un basso grado medio di scolarizzazione dei lavoratori, per migliore la qualità complessiva dell'offerta di lavoro.

La ripresa del confronto con il governo di centrosinistra, dovrebbe perciò far tesoro dei limiti dell'esperienza passata ricostruendo un rapporto positivo tra scelte concertate e l'apporto della contrattazione.

La questione contrattuale viene affrontata attraverso l'ormai annosa riforma degli assetti contrattuali, riproponendo le note posizioni divaricanti, in particolare tra CGIL e CISL, circa i rapporti tra contratto nazionale e contrattazione decentrata, ed il loro peso politico specifico nel sistema contrattuale. Nutro ormai la convinzione che questo confronto, pur su problemi rilevanti per il futuro della contrattazione collettiva e del ruolo del sindacato, avvenga in un ambito  che non coglie tutte le novità presenti nel sistema produttivo e nella condizione dei lavoratori e che quindi si manifesti comunque un divario tra i problemi da risolvere e le soluzioni prospettate.

Tale divario, a mio avviso, si manifesta in due direzioni: nella carenza di contenuti della contrattazione e in un insufficiente rapporto tra contrattazione e concertazione.
Risulta abbastanza evidente che la contrattazione collettiva nel suo insieme soffre di una carenza complessiva di contenuti rispetto a quanto è maturato e si è affermato nella concrete condizioni di lavoro. Il contratto nazionale presenta serie difficoltà ad andare oltre gli aumenti salariali,  possiede una struttura eccessivamente rigida che rende limitata la sua efficacia regolativa. La contrattazione decentrata vive di alcune esperienze significative che difficilmente diventano linea strategica generale,  anche perché la cultura e la pratica contrattuale non occupano più un posto centrale nell'attività dei sindacalisti. Il dibattito sulla riforma degli assetti corre perciò il rischio di essere un confronto più di ingegneria contrattuale che di nuovi contenuti capaci di ridare vigore ed efficacia alla contrattazione nell'azione di tutela del sindacato.

Queste valutazioni mi portano a constatare che la questione cruciale del rapporto tra l'obiettivo di fare maggiore uguaglianza nelle condizioni complessive dei lavoratori e l'obiettivo di determinare più direttamente tali condizioni in relazione alle differenze ed articolazioni del sistema produttivo e dei luoghi di lavoro,  ha bisogno di un sistema contrattuale articolato, nel quale, oltre alla contrattazione decentrata, si determini una forte ripresa della contrattazione a livello confederale.
 
Solo con un apporto di  orientamenti e decisioni condivise tra le parti sociali il confronto con il governo acquista incisività ed efficacia, anche nella fase di gestione delle intese. Pensare che la sintesi tra posizioni contrastanti tra gli stessi sindacati e le controparti imprenditoriali possa essere realizzata dal governo, significa assegnare a quest'ultimo un compito di supplenza che, come l'esperienza ha dimostrato, non garantirebbe il valore di eventuali risultati raggiunti.

In tempi di particolare difficoltà e con i margini ristretti nei quali si deve praticare la politica economica e sociale, non esistono palliativi alla diretta assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori della concertazione, portando ognuno un apporto specifico alla decisione finale.
 
(Luigi Viviani è senatore dell'Ulivo)
Giovedì, 15. Giugno 2006
 

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