I dati dei conti nazionali del quarto trimestre 2014 pubblicati da poco dallIstat mostrano in modo evidente che la crisi sta trasformando profondamente l'economia italiana. Se si guarda allandamento delle componenti del pil a prezzi costanti, il dato più evidente è che soltanto le esportazioni hanno riguadagnato il livello del 2007. Tutte le altre componenti si muovono su valori notevolmente depressi: i consumi della pubblica amministrazione, che saggezza vorrebbe si muovessero in modo anticiclico, sono 5 punti sotto il livello del 2009, i consumi delle famiglie 7 punti sotto il livello del 2007, le importazioni 14 punti, gli investimenti più di 30 punti.
Il quadro risulta ancor più nitido se osserviamo il contributo che ogni componente dà alla crescita tendenziale del pil. Nel quarto trimestre 2014 (ma è stato così anche nel secondo e nel terzo), soltanto le esportazioni nette e i consumi delle famiglie hanno offerto contributi positivi (molto modesti) all'aumento del reddito; mentre gli impulsi dei consumi della pubblica amministrazione, degli investimenti e ancor più delle scorte sono stati tutti depressivi. Del resto è dalla seconda metà del 2010 che il contenimento dei consumi della pubblica amministrazione deprime il reddito; mentre il contributo che gli investimenti danno allo sviluppo del reddito (con una breve interruzione a cavallo tra il 2010 e il 2011) è pesantemente negativo dal quarto trimestre del 2007.
Peraltro, la crescita delle esportazioni va sì salutata con favore, ma senza dimenticare che non è in alcun modo sufficiente a mantenere la quota dellItalia nel commercio mondiale: nel 2014 le nostre esportazioni sono cresciute del 2,4 per cento mentre il commercio mondiale, secondo lultima stima del WTO, aumentava del 3,1 per cento. La nostra quota, in calo da almeno un decennio, si è pertanto ridotta in un solo anno di un ulteriore 0,7% (circa due decimi di punto).
Dalla crisi l'economia italiana risulta profondamente trasformata. Lesito strutturale più evidente è una netta spinta del sistema economico su un sentiero di "mercantilizzazione povera": consumi pubblici e privati depressi, investimenti molto depressi, importazioni depresse ed esportazioni che svolgono un ruolo trainante non tanto per l'aumento del loro volume quanto per la compressione delle importazioni, legata ai bassi consumi e ai drammaticamente bassi investimenti. Del resto cosaltro può crescere, se non le esportazioni, quando la domanda interna è frenata, dal lato dei salari da disoccupazione e contrattazione asfittica, da quello della spesa pubblica dalle politiche di austerità, da quello degli investimenti dal credito anemico e ancor più dalle modeste prospettive di crescita?
Ecco un primo circolo vizioso: le imprese non investono perché le prospettive di crescita sono modeste, e certamente ci sono molti altri paesi con prospettive più rosee. Ma fuga di capitali e investimenti frenati deprimono ulteriormente la crescita. E il secondo circolo vizioso è quello della moderazione salariale: leconomia è poco competitiva e dunque bisogna comprimere i salari. Ma se si comprimono ulteriormente i salari leconomia, che è già frenata dal lato della spesa pubblica, crescerà ancor meno e gli incentivi a investire si ridurranno ulteriormente.
Quanto è dunque lontano il sorgere del sole? Indubbiamente parecchio. Gli interventi dallesterno del sistema economico per rompere i due circoli viziosi sono debolissimi. E senza interventi dallesterno del sistema economico, livelli di investimento così modesti promettono un netto impoverimento del nostro apparato produttivo e della qualità della nostra occupazione per parecchi anni a venire. E lo stesso assicurano i bassi consumi con riferimento alla qualità media della vita.
Poi, per fortuna, è probabile che landamento pur fiacco del commercio mondiale, leuro finalmente debole, il basso prezzo del petrolio e il quantitative easing del sistema di banche centrali europee riportino questanno il pil italiano ad un valore superiore allo zero. Ma il ritorno del reddito al livello precrisi è un cammino di 9,8 punti: cinque anni con un (ancora irraggiungibile) tasso di crescita di due punti l'anno per tornare al livello di sette anni fa; ovvero, tra cinque anni, di dodici anni prima. Un percorso di sviluppo che, secondo i dettami del neo-mercantilismo, si profila trainato dalle esportazioni nette, ovvero basato su bassi consumi, lavoro povero, spesa sociale compressa.
Sembra di leggere, e non è un caso, il Machiavelli del Ritratto delle cose della Magna. È questo che vogliono gli italiani? È tutto qui quello che lItalia può fare?