Jimmy Carter: cosa serve per la pace in Palestina

"Peace Not Apartheid" è il titolo del saggio dell'ex presidente americano di cui qui vengono tradotti alcuni brani significativi. Il libro, uscito a metà novembre e ancora non disponibile in italiano, è un duro atto d'accusa contro la politica israeliana
Carter, che oggi guida la Carter Foundation, è il presidente americano che fece da mallevadore all'unico accordo effettivo di pace del '79 tra Israele ed Egitto (Land for Peace: scambio tra Trattato di pace e riconoscimento diplomatico e politico e restituzione di un territorio occupato: nel caso, il Sinai)
 
La verità sul riconoscimento arabo di Israele… (p. 14)
La maggior parte dei regimi arabi ha accettato come fatto indisputabile l'esistenza permanente di Israele e non chiede più la fine dello Stato di Israele: almeno da quando concordarono in un vertice arabo del 2002 una dichiarazione comune che propone pace e relazioni normali con Israele entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti (quelli di prima della guerra del '67, n.d.t.) in adempienza alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
 
Israele occupa ancora un pezzo di Libano (pp-98-99)
Dal 1924, la zona delle cosiddette fattorie Shebaa è stata considerata territorio libanese, ma la Siria la occupò  negli anni '50 e ne ha tenuto il controllo fino all'occupazione israeliana, avvenuta nel 1967 insieme a quella delle alture del Golan. Abitanti e proprietà erano libanesi e lo Stato libanese non ha mai riconosciuto il controllo siriano delle Shebaa Farms. Ma i siriani, ora, riconoscono  ufficialmente che sono parte del Libano.
 
I termini veri offerti a Camp David, e da chi, poi… (pp.151-52)
L'offerta migliore (fatta a Camp David, n.d.t.) ai palestinesi - e da Clinton, non da Barak - era stata quella di ritirare il 20% dei coloni, lasciandone più di 180.000 in 209 insediamenti che coprivano più o meno il 10% dei territori occupati, comprese le terre da cedere in "affitto" ed alcune aree nella vallata del Giordano e a Gerusalemme est…
Il dato percentuale è fuorviante, giacché include esclusivamente l'area vera e propria degli insediamenti. Intorno ad ogni insediamento, in realtà poi vige una zona larga circa quattrocento metri entro la quale ai palestinesi è proibito entrare. E ci sono anche larghe aree che sarebbero state messe da parte e contrassegnate per l'uso esclusivo di Israele, strade di collegamento tra gli insediamenti stessi e con Gerusalemme ed "arterie vitali" di connessione con le infrastrutture (acqua, fogne, elettricità e comunicazioni) dei vari insediamenti di coloni.
Questa struttura a nido d'ape degli insediamenti, delle loto interconnessioni e dei loro collegamenti avrebbe in realtà spaccato la Cisgiordania in due aree territoriali non contigue ed in tanti diversi frammenti, spesso inabitabili e addirittura irraggiungibili; e il controllo della valle del Giordano avrebbe negato ai palestinesi ogni accesso diretto verso est al Giordano. Circa cento checkpoints militari avrebbero totalmente circondato i palestinesi e bloccato le strade d'entrata e d'uscita fra le comunità palestinesi. Il tutto in combinazione con altre centinaia di strade rese impercorribili in permanenza da grandi blocchi di cemento e cumuli di terriccio e di rocce.  
 
La leggenda del rifiuto palestinese dell'offerta "generosa" del primo ministro Barak (p. 152)
Nel gennaio del 2001, a Taba, negli ultimi giorni della presidenza Clinton si tennero una serie di colloqui fra il presidente Arafat ed il ministro degli Esteri di Israele. Più tardi venne affermato che i palestinesi avrebbero respinto l' "offerta generosa" avanzata dal primo ministro Barak. Prevedeva che Israele mantenesse solo il 5% della Cisgiordania. Ma il fatto è che non venne mai fatta alcuna proposta del genere. Barak, più tardi, ha scritto: "Mi era chiaro che a Taba non esisteva alcuna possibilità di raggiungere un accordo. E' per questo che dissi che non ci sarebbero stati negoziati, che non ci sarebbe stata alcuna delegazione, che non ci sarebbe stata alcuna discussione ufficiale né alcun documento. E che non ci sarebbe stato nessun americano presente ai colloqui. L'unica cosa effettivamente accaduta a Taba sono stati contatti assolutamente non vincolanti tra alti esponenti israeliani e palestinesi.
 
La Roadmap verso la pace… e chi l'ha fatta fallire (p. 159)
Nell'aprile 2003 il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, annunciò, per conto di USA, ONU, Russia ed Unione europea (il "quartetto"), la definizione di un percorso verso la pace, una roadmap… I palestinesi la accettarono nella sua interezza ma il governo di Israele avanzò quattordici caveats e precondizioni, alcune delle quali in grado di precludere qualsiasi colloquio di pace conclusivo.
 
La vera natura del Muro… (p. 174)
Muro di recinzione, di imprigionamento, è dizione molto meglio descrittiva della situazione com'è che quella di "recinto di sicurezza".
 
… e il "ritiro" da Gaza (p. 176)
Gaza mantiene un tasso di crescita demografico del 4,7% all'anno, uno dei più elevati al mondo, tanto che più della metà della sua popolazione ha meno di quindici anni. E' una popolazione strangolata da quando gli israeliani si sono "ritirati", circondata da una barriera di separazione penetrabile solo attraverso varchi controllati dagli israeliani stessi attraverso un unico punto di passaggio (e solo per personale ufficiale) nel Sinai egiziano come unico accesso al mondo esterno. 
Non c'è stato alcun gesto da parte di Israele per consentire trasporti via mare o via aerea. Ai pescatori non è permesso di lasciare i porti, a chi lavora di andare a lavorare all'esterno (di Gaza) ed è severamente ristretta l'importazione e l'esportazione di cibo e di altri prodotti: e, spesso, è completamente proibita; polizia, insegnanti, personale infermieristico e dell'assistenza sociale non ricevono alcun salario.
Il reddito pro-capite è sceso del 40% negli ultimi tre anni e il tasso di povertà ha raggiunto il 70%. Il rapporteur speciale dell'Onu sul diritto all'alimentazione asserisce che a Gaza lo stato di malnutrizione acuta ha raggiungo già il livello constatabile nei paesi più poveri del Sahara meridionale, con la metà della famiglie palestinesi che hanno ridotto i pasti quotidiani ad uno.     
 
Il Muro: barriera della segregazione (pp.192-3)
L'area che passa tra barriera di segregazione e confine israeliano (perché è, comunque, in territorio palestinese: non tra quello israeliano e quello palestinese, n.d.t.) è stata designata per un periodo di tempo indefinito come regione militare chiusa. Le direttive israeliane prevedono che, per continuare a vivere nella propria casa in questa zona chiusa, ogni residente palestinese sopra i dodici anni sia obbligato ad ottenere un "permesso di residenza permanente" dall'amministrazione civile. Sono considerati stranieri, senza i diritti dei cittadini israeliani. In sintesi: qualsiasi pezzo di territorio Israele decida di confiscare sarà dal suo lato del Muro, ma gli israeliani manterranno il controllo dei palestinesi che resteranno dall'altra parte, contenuti tra il Muro e le forze israeliane nella vallata del Giordano.
    
La discriminazione che colpisce anche i cristiani (pp.194-195)
Il Muro, lungo il suo tortuoso percorso, deturpa una quantità di luoghi, importanti per i cristiani. Oltre a circondare Betlemme in una delle sue intrusioni più rilevanti, una spaccatura particolarmente accorante è quella con cui divide il fianco meridionale del Monte degli Ulivi, uno dei luoghi favoriti da Gesù e dai suoi discepoli, molto vicino a Betania, dove si recava spesso in visita a Maria, Marta ed al loro fratello Lazzaro.
Lì c'è una chiesa che porta il nome di una delle sorelle, il monastero di Santa Marta, spaccata in due fisicamente dai dieci metri del muro di cemento armato israeliano. Il luogo di culto oggi è dalla parte di Gerusalemme, coi parrocchiani che non vi possono accedere perché non hanno il permesso di entrare nella città…
Il parroco, padre Claudio Ghilardi, racconta: "Per novecento anni abbiamo vissuto sotto governi turchi, britannici, giordani e israeliani e nessuno ha mai impedito alla gente di venire a pregare. E' uno scandalo. Non si tratta per niente di una barriera. E' proprio un confine. Perché non dicono almeno la verità?". Contraddicendo gli argomenti israeliani che il Muro serve a tenere i bombardieri suicidi palestinesi fuori dal territorio di Israele, padre Claudio aggiunge un commento che descrive il tracciato del Muro nella sua interezza: "Il Muro non separa palestinesi da ebrei; separa palestinesi da palestinesi". Lì accanto ci sono altri tre conventi che saranno anch'essi separati dalla gente che servono. 2.000 cristiani palestinesi hanno perso così i loro luoghi di culto ed i loro centri spirituali.
    
Le violazioni specifiche del diritto internazionale (pp. 196-197)
Gli organismi umanitari internazionali stimano che dal 1967, nei territori occupati, più di 630.000 palestinesi (il 20% circa dell'intera popolazione) siano stati detenuti almeno una volta dagli israeliani, suscitando un profondo risentimento in seno a tutte le famiglie così coinvolte.
Anche se gran parte dei prigionieri sono uomini, vengono trattenute anche molte donne e molti bambini. Tra i 12 ed i 14 anni i bambini possono essere condannati fino a sei mesi di detenzione, dopo i 14 anni i bambini palestinesi sono processati come adulti, in violazione del diritto internazionale.   
 
La negazione israeliana della linea ufficiale degli Stati Uniti… e del mondo (pp.207-209)
La linea ufficiale, ed univoca, degli Stati Uniti, da quando Israele è divenuta Stato è rimasta che i suoi confini devono coincidere con quelli in vigore dal 1949 al 1967 (con le modifiche eventualmente concordate attraverso scambi di territorio tra le parti) e specificati nella risoluzione no. 242, adottata dall'Onu all'unanimità, che ordina il ritiro di Israele dai territori occupati.
Questo impegno è stato del resto riconfermato dai leaders israeliani negli accordi negoziati nel 1978 a Camp David e, nel 1993, ad Oslo: accordi per i quali essi ricevettero il premio Nobel per la pace. Impegni, l'uno e l'altro, ufficialmente ratificati dai governi israeliani. Membri - con Russia, Nazioni Unite ed Unione europea - del "quartetto" internazionale, gli Stati Uniti sostengono la roadmap per la pace che abbraccia precisamente questi stessi impegni. I leaders palestinesi hanno accettato senza alcun equivoco questa proposta, ma Israele ne ha rigettate ufficialmente le misure chiave con inaccettabili riserve e precondizioni.
…
Il problema dominante è che, per più di un quarto di secolo, le scelte di diversi leaders israeliani sono state in conflitto diretto con le politiche ufficiali degli Stati Uniti, della comunità internazionale e degli accordi internazionali da essi stessi negoziati. Il controllo e la colonizzazione persistenti da parte di Israele del territorio palestinese sono stati gli ostacoli principali ad un accordo di pace globale in Terra Santa. Per perpetuare la loro occupazione, le forze armate israeliane hanno sistematicamente privato i loro sudditi involontari dei loro diritti umani fondamentali. Non c'è osservatore obiettivo che abbia esaminato le condizioni esistenti in Cisgiordania e possa negare queste constatazioni.   
  
Il veto americano sempre, univocamente e contraddittoriamente a favore di Israele (pp. 209-210)
Gli Stati Uniti hanno usato il veto in Consiglio di Sicurezza dell'Onu pià di quaranta volte per bloccare risoluzioni critiche di Israele. Alcuni di questi veti hanno sicuramente portato discredito internazionale sugli Stati Uniti e non c'è alcun dubbio che la mancanza di un loro sforzo persistente per risolvere la questione palestinese sia una fonte maggiore di sentimento anti-americano e di attivismo terroristico in tutto il Medio Oriente ed il mondo islamico.
 
Allora? La pace? (p. 216)
Al fondo, è semplice: la pace per Israele e per il Medio Oriente verrà quando il governo di Israele sarà disposto a rispettare il diritto internazionale, la "roadmap" per la pace, la linea ufficiale degli Stati Uniti e la volontà stessa della maggioranza dei suoi cittadini - e ad onorare gli impegni che ha solennemente presi - accettando i suoi confini legali. Tutti i suoi vicini arabi devono impegnarsi a rispettare il diritto di Israele a vivere in pace, a queste condizioni. Gli Stati Uniti stano buttando via prestigio e amicizie internazionali ed intensificando il terrorismo globale anti-americano con la loro acquiescenza ufficiosa e la loro complicità nella confisca e nella colonizzazione israeliana dei territori palestinesi. 

Jimmy Carter
Palestine Peace Not Apartheid
Simon & Schuster 2006
pp. 288, 27 dollari
Giovedì, 15. Febbraio 2007
 

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