Inganni e imboscate nella guerra del Tfr

Come si è arrivati allo stallo di una riforma discutibile. Un fiume di denaro di 13 miliardi di euro l'anno che tutti vorrebbero accaparrarsi, dimenticando che si tratta di una parte del salario dei lavoratori
Forse era prevedibile. Ma il rinvio della riforma della previdenza complementare e del Tfr ha creato un certo scalpore. Elsa Fornero, docente di economia a Torino e responsabile del Cerp, uno dei più prestigiosi istituti di ricerca sui sistemi previdenziali, ha parlato sul Sole 24ore di "resa della politica", mentre altri studiosi e commentatori cercano di giustificare il gran lavoro di pressione sul Parlamento delle varie lobby - e in particolare le assicurazioni e le banche, che sono coinvolte direttamente nella partita del Tfr - e delle agevolazioni alle imprese, con le teorie del libero mercato e della concorrenza. Si vedano su questo tema i contributi pubblicati per esempio sul sito della Voce. La confusione è totale e non aiuta certamente i soggetti più deboli di questa storia, che sono, tanto per cambiare, i lavoratori e in particolare i lavoratori giovani e i precari.

Cerchiamo quindi di spiegare qualcosa sullo scontro in corso. La prima osservazione da fare riguarda proprio l'oggetto del contendere. E qui si nota subito una deformazione ottica molto grave, una "distorsione", direbbero gli economisti. L'oggetto della partita sembra essere infatti - secondo la ricostruzione che ne stanno facendo i principali media - il valore complessivo del Tfr dei lavoratori dipendenti privati e la sua destinazione finale. Per quanto riguarda il trasferimento ai Fondi pensione delle liquidazioni "maturande" dei privati si parla infatti di una cifra che si aggira sui 13 miliardi di euro, l'anno. Questo è il bottino su cui stanno puntando un po' tutti, Fondi pensione chiusi (quelli di categoria), Fondi pensione aperti (quelli delle banche e delle assicurazioni), compagnie di assicurazione che vendono polizze previdenziali individuali, i cosiddetti "pip" (piani previdenziali individuali) o "fip" (Fondi previdenziali individuali).
 
La distorsione sta nel considerare questa partita legandola direttamente al business, piuttosto che alla realizzazione delle riforme degli anni Novanta, che hanno ridotto i rendimenti delle pensioni pubbliche e introdotto il sistema della previdenza complementare come elemento di integrazione. Quello che avrebbe dovuto essere l'applicazione di un diritto per i lavoratori è diventato solo scambio di mercato.

Questa "distorsione" ci aiuta a spiegare il colpo di scena che si è determinato mercoledì 5 ottobre con la decisione del Consiglio dei ministri di rinviare di trenta giorni il varo della riforma Maroni attraverso i decreti attuativi. Un colpo di scena che ha avuto anche un corollario interessante. Il premier Berlusconi, al momento del voto sul testo di Maroni, è uscito dalla stanza di Palazzo Chigi per cercare di non confondersi nel nuovo film del conflitto di interessi. Tutti sanno infatti che all'interno dell'impero economico del capo del governo c'è anche Mediolanum, gruppo assicurativo leader nel campo delle polizze (21% circa dell'intero mercato attuale). Il tentativo goffo del presidente del consiglio di crearsi un'immunità non è riuscito perché la pressione delle assicurazioni (Mediolanum in testa) e delle banche sul governo e il Parlamento è ormai sotto gli occhi di tutti. D'altra parte è un fatto quasi ovvio in una democrazia avanzata. Le lobby acquistano centralità, mentre la regolazione del conflitto sociale tende sempre più ad essere bollata come "degenerazione corporativa". I sindacati confederali sono infatti accusati di voler difendere il loro spazio di potere determinato dai Fondi pensione "chiusi".

L'altro elemento che potrebbe spiegare lo scontro in corso riguarda il cuore della riforma immaginata dal ministro Maroni. Il discorso è abbastanza semplice: siccome le pensioni "private", che dovrebbero creare una pensione di riserva accanto a quella pubblica (che si ridurrà al 50% dell'ultima retribuzione), devono essere foraggiate con risorse finanziarie consistenti e siccome il livello del risparmio dei lavoratori è ormai ridotto all'osso, allora l'unica vera fonte di finanziamento possibile per lanciare i Fondi pensione è il Tfr, elemento della retribuzione. Per questo la riforma si sta arenando e gli esiti dello scontro sono ancora parzialmente imprevedibili.
 
Non si tratta infatti di convincere i lavoratori a risparmiare qualche soldo per costruirsi una pensione integrativa. Si sta chiedendo ai lavoratori di rinunciare al loro Tfr per poter sperare nel futuro di avere una integrazione alle magre pensioni pubbliche. Nello stesso tempo le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, protestano perché sarebbe loro sottratto il Tfr dei loro lavoratori che oggi viene usato come fonte di finanziamento dell'impresa. La seconda "distorsione" della riforma sta quindi nel puntare tutto proprio sul Tfr, una "coperta corta", come è stato brillantemente definito. Era ovvio che in questo modo il Tfr sarebbe diventato un bottino da contendersi.

Su questo piano si stanno manifestando le cose peggiori. Inizialmente infatti il ministro Maroni aveva previsto di introdurre una norma sul trasferimento obbligatorio del Tfr ai Fondi pensione. Poi, per l'opposizione dei sindacati e di alcuni rappresentanti delle opposizioni (oltre ai giuristi che hanno parlato subito di incostituzionalità), si è passati al "silenzio-assenso". Ma è stato poi lo stesso ministro Maroni che ha introdotto la norma che prevede la perdita del contributo dell'azienda alla pensione complementare (intorno al 2%) nel caso in cui il lavoratore decida di accedere a un Fondo pensione aperto o a una polizza individuale piuttosto che al suo Fondo pensione, frutto della contrattazione collettiva.
 
Questa norma ha gettato altra benzina sul fuoco. Le assicurazioni sono insorte, parlando di una norma che distorce gravemente la concorrenza e limita la libertà di scelta dei lavoratori. Nella girandola perversa degli equilibri e della ricerca dei compromessi (a quanto pare impossibili), il ministro Maroni è incappato poi in un altro guaio. Il ministro del Welfare ha capito che i suoi colleghi di governo non gli avrebbero permesso di sforare dalle cifre stabilite per la copertura dei costi del trasferimento del Tfr ai Fondi pensione.
 
Pressato anche dalle banche che non hanno accettato di creare un sistema di credito agevolato alle imprese di tipo automatico (ovvero dare i soldi a tutte le imprese che cederanno il Tfr), il ministro Maroni si è allora inventato la limitazione dell'operazione, così come è stato suggerito dalle Commissioni parlamentari. In questo momento siamo quindi di fronte a un nuovo paradosso. Si dice che le imprese che non potranno permettersi di cedere il Tfr e che non potranno beneficiare del credito agevolato, potranno avere una proroga. Cosicché, come ha notato l'economista Marcello Messori, saranno i lavoratori che sulla carta hanno più hanno bisogno della previdenza complementare (quelli giovani impiegati nelle piccole e medie imprese) che non potranno crearsi il risparmio per i loro Fondi pensione perché le aziende non cederanno il Tfr.
 
C'è inoltre un'altra evidente distorsione in questa strana evoluzione delle riforme previdenziali degli anni novanta. E questa distorsione riguarda il pubblico impiego per il quale non è a tuttoggi previsto nulla. Tutto il settore del pubblico impiego è infatti per ora escluso dalla riforma in discussione. In questo scritto, come avete potuto notare, si è cercato semplicemente di descrivere i punti di criticità più importanti nello scontro in corso sul Tfr e i Fondi. Non si è entrati nel merito del tipo di strumento che si sta proponendo e sulle tante differenze al suo interno: c'è infatti una grande differenza tra Fondi pensione chiusi, Fondi aperti, polizze. E' evidente però che il sistema che si vorrebbe imporre fa acqua da tutte le parti. Si tratta di questioni molto importanti, che riguardano il destino di milioni di persone. Ridurle a una questione di business rischia di far apparire i politici dei venditori di prodotti taroccati.
Lunedì, 10. Ottobre 2005
 

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