Infortuni, il danno è anche economico

L’attuale situazione degli incidenti sul lavoro comporta una perdita stimata in 4 punti percentuali di prodotto interno lordo. Le strategie della Ue e i risultati di un'indagine sulla percezione del rischio e i disturbi professionali

Quasi la metà degli occupati percepisce la presenza di rischi per la propria salute durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Questo aspetto allarmante emerge da un’indagine ISTAT del 2007 i cui risultati sono stati diffusi alcuni giorni fa.La piaga degli infortuni sul lavoro, che ha occupato recentemente fin troppo spesso le prime pagine dei quotidiani, non può essere ridotta al rango di tragica fatalità ma è diretta conseguenza di un ambiente di lavoro che non riesce a garantire l’incolumità di chi vi opera.

 
L’ILO (International Labour Office), storicamente sensibile alle tematiche riguardanti la sicurezza sul lavoro, inserisce questo aspetto al pari della disoccupazione, della precarietà e di altri fattori tra gli elementi fondamentali sui quali basare la misurazione di quello che viene definito come il decent work.

L’Unione Europea, dal canto suo, ha da tempo preso a cuore il tema della salute e sicurezza sul lavoro, sia perché rientra abbondantemente tra gli aspetti di ambito sociale innervati nel suo Dna e sui quali può riscuotere più agevolmente un ampio consenso tra i paesi membri - viatico fondamentale al fine di emanare regolamentazioni  - e sia perché negli ultimi tempi si è tentato di  stabilire un nesso tra infortuni e perdita economica che è questione particolarmente sensibile per le orecchie dei governanti. La precedente strategia comunitaria per la salute e sicurezza 2002-2006 si prefiggeva di “adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società” ovvero di conseguire il benessere sul luogo di lavoro attraverso il rafforzamento della cultura della prevenzione, il miglioramento dell’applicazione della giurisprudenza già esistente in materia, la costituzione di partenariati tra i soggetti che hanno voce in capitolo sull’argomento (istituzioni, parti sociali, imprese, ecc.), lo sviluppo della cooperazione internazionale perché il problema è ancora più grave nei Paesi più deboli economicamente. La strategia attuale, che copre, il periodo 2007-2012, si propone di “Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro” e ha tra i vari obiettivi quelli di garantire la buona attuazione della legislazione UE nei vari ambiti nazionali, sostenere le piccole e medie imprese nell’applicazione della legislazione in vigore, favorire l’attuazione e lo sviluppo di strategie nazionali, mettere a punto metodi per l’identificazione e valutazione dei nuovi rischi potenziali.

 
La nuova strategia raccoglie sostanzialmente gli impegni di quella precedente cercando di renderli più fattivi, tanto più che la Commissione si pone l’ambizioso scopo di una riduzione del 25% degli infortuni (per 100 mila lavoratori) tra il 2007 e il 2012. Un elemento di novità è, però, rappresentato dall’identificazione dei rischi potenziali. Se il conteggio degli eventi manifesti a livello UE è ben documentato dal sistema informativo ESAW (European Statistics on Accidents at Work) al quale afferiscono i dati forniti da INAIL, sul fronte del potenziale di rischio non vi sono fonti altrettanto robuste da poter fornire il reale quadro della situazione. Il modulo ad hoc approntato dall’Istat sotto la regia della Commissione europea ha il compito di produrre ulteriori informazioni su questo ambito di estrema importanza. Questo supplemento d’indagine del 2007, inserito nel novero della Rilevazione sulle forze di lavoro ha permesso, inoltre, di tracciare un consuntivo della strategia 2002-2006 mostrando più ombre che luci sugli effetti che le misure dell’Unione hanno prodotto in termini di sicurezza sul lavoro. I risultati prodotti dalla rilevazione sono ancor più avvalorati dalla consistente dimensione del campione pari a circa 170 mila individui.

 
L’esposizione ai fattori di rischio per la salute dei lavoratori e cioè, più semplicemente, la percezione da parte dei lavoratori della presenza di elementi di rischio per la salute nello svolgimento della propria attività lavorativa, riferisce sui rischi potenziali ai quali si è sottoposti. Il 44% degli occupati, cioè oltre 10 milioni, avverte la presenza di elementi di rischio (di natura fisica o psicologica) nello svolgimento del proprio lavoro. Nella suddivisione tra fattori di rischio per la salute fisica e quelli di natura psicologica emerge che i primi riguardano quasi 9 milioni di lavoratori (il 37,4%) mentre i secondi ne toccano 4 milioni circa (il 17,4%).

 
Gli uomini sono esposti ai fattori fisici in misura superiore delle donne in virtù dei lavori manuali ad alto rischio che svolgono in settori quali quelli delle costruzioni, dell’agricoltura, dei trasporti e nell’industria manifatturiera. Sul fronte dei rischi psicologici la differenza tra i generi è annullata e, infatti, nei settori dei servizi come la sanità, l’istruzione e la pubblica amministrazione in senso stretto sono le donne che si sentono maggiormente esposte.

 
Se si scende nel dettaglio di quali fattori di rischio affliggono i lavoratori si scopre che quello più frequente è proprio il rischio di infortunarsi avvertito da un lavoratore su 5 e cioè da quasi 5 milioni di lavoratori. Pochi meno sono coloro soggetti ad assumere posture dannose o a spostare e movimentare carichi pesanti. Questi dati ci fanno ben comprendere quanto ampio sia il bacino di chi è potenzialmente esposto al rischio di infortunio e che ogni anno si traduce in circa 900 mila lavoratori vittime di incidenti sul lavoro.

 

Anche i fattori di rischio relativi alla sfera psicologica coinvolgono milioni di lavoratori. Lo stress dovuto a carico di lavoro eccessivo riguarda oltre 3 milioni di occupati mentre circa un milione sono quelli soggetti a discriminazioni o atti di prepotenza fino a chi denuncia di essere esposto a  minacce o addirittura violenze fisiche (quasi 400 mila). Per quanto riguarda le questioni legate alla discriminazione, le donne risultano maggiormente sottoposte a questo fenomeno in particolar modo nella pubblica amministrazione e nel settore finanziario dove le proporzioni doppiano quelle dei colleghi di sesso maschile.
 
Visti i numeri salta all’occhio l’anomalia che deriva da un cospicuo contingente di occupati stressati dall’eccessivo lavoro in un contesto di bassa e declinante produttività che affligge l’economia nazionale. Si intuisce allora che buona parte della forza lavoro viene fatta girare a vuoto da una dirigenza incapace di organizzare e gestire il lavoro dei sottoposti che dovrebbe, invece, generare maggiore efficienza. Su altri fronti la consistenza dell’elemento discriminatorio, preponderante nel terziario e nelle posizioni dirigenziali e impiegatizie, ben si associa ad un sistema di progressione delle carriere scarsamente ispirato al tanto sbandierato paradigma meritocratico e più incline alla promozione di chi detiene peculiarità che poco hanno a che vedere con le posizioni che devono essere ricoperte, tipico nel nostro panorama lavorativo.

 
Ulteriori informazioni raccolte con il modulo ad hoc riguardavano anche gli infortuni e i problemi di salute derivanti dal lavoro. Sul primo aspetto il dato riflette sostanzialmente quelli pubblicati dall’INAIL (oltre 900 mila sono coloro che dichiarano di aver subito infortuni sul lavoro in un anno). I problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa hanno afflitto, invece, quasi 3 milioni di lavoratori tra il 2006 e il 2007. Tra questi è presente una quota rilevante di persone che, pur avendo concluso l’attività lavorativa, hanno segnalato l’esistenza di un problema di salute collegato al lavoro svolto in precedenza. In questo caso le due fonti ISTAT e INAIL divergono enormemente a causa di una diversa definizione dell’oggetto della rilevazione. Infatti, nell’indagine ISTAT andava menzionato un qualsiasi tipo di malessere fisico o psicologico e, quindi, un fenomeno ben distinto da quello delle malattie professionali rilevato dall’INAIL(1). Da qui si intuisce che la stragrande maggioranza di problemi di salute hanno consentito al lavoratore di prestare la sua opera quotidianamente convivendo con il problema stesso come poi dimostrato dal fatto che per oltre la metà di costoro il disagio non ha comportato alcuna assenza dal lavoro. I problemi di natura osteo-muscolare rappresentano la maggior parte di quelli denunciati ma è rilevante anche la proporzione dello stress (il 16,2% di tutte le malattie). Se ci si limita a coloro che avevano un’occupazione al momento dell’intervista, la quota dello stress raggiunge il 21% e coinvolge in misura maggiore le professioni dirigenziali mentre i problemi alla struttura osteo-muscolare si legano principalmente a chi svolge lavori di tipo manuale.

 
Il principale limite dell’indagine ad hoc è rappresentato dal suo essere una tantum e quindi dal non poter fornire nessuna informazione analizzabile in serie storica. Soprattutto sul fronte dell’esposizione ai rischi un monitoraggio continuo sarebbe quanto mai opportuno ai fini della valutazione dei pericoli latenti come, pure, la costituzione di una base informativa su un fenomeno sul quale si potrebbero adottare misure di intervento. La percezione dei rischi per la salute rappresenta un termometro della sicurezza dell’ambiente lavorativo, uno strumento in più oltre alla macabra conta di chi quei rischi li ha visti tramutarsi in tragica realtà. Ad oggi Eurostat ha riproposto una riedizione del modulo su salute e sicurezza sul lavoro per il 2013. E’ molto probabile che gli Stati membri approvino la proposta anche perché rappresenterebbe un efficace strumento di valutazione degli effetti della strategia 2007-2012 ed un utile elemento di raffronto con la situazione fotografata dal modulo 2007.

 
Al di là degli aspetti numerici risulta palese che la sicurezza sul lavoro è un problema. Si tratta semmai di sottoporre la questione in termini di costi-benefici: se a livello macro l’attuale situazione degli infortuni comporta una perdita stimata in 4 punti percentuali di prodotto interno lordo è a livello micro che bisogna intervenire imponendo di adottare misure di sicurezza a quelle aziende che attualmente le disattendono al fine di ridurre i costi e guadagnare maggiore competitività sulle spalle dei lavoratori.

 
Nota

(1) Anche sul fronte delle malattie professionali l’INAIL contribuisce a fornire dati al sistema informativo di riferimento dell’Unione Europea (EODS – European Occupational Diseases Statistics ).

Sabato, 28. Febbraio 2009
 

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