Industria, la competitività viene dai servizi

Si continua a pensare solo all'innovazione di prodotto e di processo, ma in realtà in un’economia sempre più integrata, nella quale la produzione viene delocalizzata, è indispensabile puntare sulla capacità di fornire ai clienti servizi ad elevato valore aggiunto e sulla capacità imprenditoriale di sviluppare le componenti strategiche e direzionali

Il recente dibattito sui limiti alla crescita dell’economia italiana ha evidenziato una convergenza su almeno due aspetti strategici: 1) l’esigenza d’innovazione per migliorare la competitività dei nostri prodotti e servizi sui mercati internazionali; 2) l’insufficiente dotazione di esternalità materiali ed immateriali di cui soffre il sistema economico italiano.

In entrambi i casi, sono carenti i servizi sia come integrazione di questi ultimi nei manufatti e sia come loro presenza nelle esportazioni italiane. Il ritardo italiano nell’ambito dei servizi alle imprese è un fattore storico che ha sempre pesato sulla nostra competitività, poiché l’industria ha concentrato la sua strategia sull’offerta di prodotti manufatti, non sempre innovativi, mentre ha trascurato il completamento dell’offerta con i servizi( es. personalizzazione, differenziazione nella qualità, assistenza nella fase d’individuazione delle esigenze del cliente, vendita del servizio al posto del prodotto).

Si cominciano a vedere segnali corretti nelle imprese che sono riuscite a superare le difficoltà congiunturali e stanno avendo successo sui mercati esteri e questi casi di successo segnalano, appunto, la stretta connessione esistente fra industria e servizi nella creazione del valore. Tuttavia, si continua a pensare e ad impostare interventi pubblici centrati sull’innovazione di prodotto e/o di processo ma con scarsa attenzione all’innovazione organizzativa e con nessuna attenzione specifica all’integrazione funzionale fra manufatti e servizi.

Ugualmente il problema delle infrastrutture è stato affrontato verificando le mancanze di capitale fisico ma senza uno sforzo per rendere più efficiente l’uso delle scarse infrastrutture materiali e trascurando completamente le infrastrutture immateriali (ad es. sicurezza, istruzione, giustizia, e relative norme e regole) come elementi fondamentali per la crescita economica e sociale di un Paese moderno. Alcuni passi avanti sono stati fatti anche nell’ambito delle infrastrutture immateriali ma è mancata una specifica attenzione al problema dell’innovazione come canale per favorire la competitività delle imprese italiane.

Non vi è, infine, accordo sulla situazione dei distretti industriali e sul loro futuro poiché le esternalità che li caratterizzavano sono venute scemando e soprattutto si sono sviluppate anche presso i nostri concorrenti che usufruiscono di un costo del lavoro più basso. Alcuni recenti sviluppi segnalano la presenza di una media impresa di riferimento che traina la crescita delle imprese del distretto le quali usufruiscono, quindi, delle esternalità generate dall’impresa leader. Questa accentra le parti più rilevanti delle attività immateriali e in genere limita la collaborazione con le imprese del distretto alla fornitura di semilavorati sia nei beni e sia nei servizi.

Altri casi segnalano la creazione di strutture comuni per sviluppare la fornitura condivisa di servizi realizzando quindi una condizione di esternalità richiesta dalle imprese e sovente incentivata con finanziamenti pubblici. Infine, riprende vigore il tentativo di aggregare in un’area ristretta centri di ricerca pubblici e privati per favorire lo scambio di conoscenze e la creazione di imprese come spin off dei centri di ricerca.

In sintesi, il ritardo di innovazione che si osserva nel settore dei servizi, rischia di distorcere la percezione delle strategie, poiché si rischia di considerare questo ritardo alla stregua di un elemento strutturale difficilmente modificabile in un orizzonte di medio periodo. La singola impresa, perciò, affida all’innovazione puramente tecnologica la soluzione dei problemi di competitività e lo stesso atteggiamento si trasferisce sulle infrastrutture materiali e rinviando quindi alle politiche pubbliche la soluzione di problemi che invece appartengono a pieno titolo anche alle imprese sia individualmente e sia collettivamente.

E’, invece, indispensabile avere a tutti i livelli di responsabilità la chiara percezione che in un’economia sempre più integrata, nella quale la produzione viene delocalizzata nei paesi con minore incidenza del costo del lavoro, è indispensabile creare uno stabile vantaggio competitivo per le imprese italiane puntando sulla capacità di fornire ai clienti servizi ad elevato valore aggiunto, ma anche la capacità imprenditoriale di sviluppare le componenti strategiche e direzionali sia nella fase d’ideazione del prodotto/servizio e sia nella fase di marketing. Si possono, con questa strategia, sfruttare in pieno i vantaggi della delocalizzazione senza perdere il contatto con il mercato e razionalizzando, tramite le ICT, le diverse funzioni aziendali coinvolte.

Quanto detto ha mostrato le difficoltà e le linee strategiche da seguire ma ha anche assegnato alle singole imprese il compito di realizzare una strategia che sia in grado di innovare nei servizi alle imprese e delle imprese. Una strategia richiede un percorso di cambiamento che deve essere indirizzato e monitorato dal top management poiché s’intendono modificare non tanto gli aspetti materiali di un’impresa (prodotti e processi) ma soprattutto gli elementi immateriali (organizzazione, condivisione della conoscenza, regole ) senza necessariamente abbandonare gli aspetti più profondi che rappresentano la tradizione e la continuità nei rapporti fra management e proprietà e nella gestione delle risorse umane.

Questo è il passaggio più delicato nel processo di rinnovamento del sistema produttivo italiano, poiché è indispensabile compiere un cambiamento nelle politiche economiche e nelle strategie imprenditoriali analogo a quello che l’Italia ha compiuto negli anni cinquanta, quando ha saputo affrontare e vincere la sfida della liberalizzazione negli scambi internazionali importando le tecnologie e i nuovi canoni organizzativi dall’estero e accettando uno spostamento dei rapporti economici dall’agricoltura all’industria e, all’interno di quest’ultima, dai tradizionali settori (alimentari, tessili, abbigliamento, ecc.) ai settori dei beni di consumo durevole, della meccanica, della chimica e dell’energia ma senza penalizzare le componenti dinamiche dei settori tradizionali.

La strategia che c’è imposta dai cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro e dalla moneta unica europea, punta sull’innovazione ma senza perdere di vista i punti di forza del nostro sistema produttivo e soprattutto delle singole imprese. A questo fine suggerisce un uso più esteso ed innovativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) quale condizione per favorire la diffusione della conoscenza, la delocalizzazione delle attività, l’acquisizione dei servizi ( R&D, ossia ricerca e sviluppo, marketing, logistica, ecc.) forniti da imprese innovatrici.

Queste indicazioni non vanno oltre le "prediche inutili" se non si parte dal presupposto che spetta all’alta direzione e al gruppo di controllo dell’impresa la definizione delle strategie, la direzione ed il coordinamento delle diverse attività, il monitoraggio ed il controllo della qualità, della quantità e della tempistica delle diverse componenti del processo aziendale. A volte è bene richiamare nozioni ovvie in questi momenti di confusione e di incertezza.

Un secondo elemento fondamentale è il richiamo all’esigenza che l’attuazione delle strategie ed il controllo sui tempi e modi delle realizzazioni richiedono risorse umane professionalmente appropriate perché dotate di strumenti conoscitivi in grado non solo di elaborare l’informazione e gestire la conoscenza ma anche perché in possesso di codici di comunicazione condivisi con altre imprese altrettanto innovative. Come tutte le strategie, l’innovazione nell’industria e nei servizi tramite le nuove tecnologie e i nuovi servizi, richiede, pertanto, non solo la piena e convinta adesione dell’alta direzione e del gruppo di controllo dell’azienda ma anche un rapporto diverso con il personale che non deve essere considerato passivo di fronte alle opzioni strategiche prescelte.

Gli sviluppi dei servizi all’interno dell’impresa ed in generale del settore terziario stanno mostrando che queste attività stanno assumendo un peso preponderante sia nell’occupazione e sia nella creazione del valore e, pertanto, sono indispensabili competenze specialistiche, per gestire l’impresa in un’economia "dematerializzata" che intenda sfruttare le opportunità di crescita procurate dai servizi di rete.

L’innovazione nell’economia dei prodotti/servizi richiede quindi lo sviluppo di processi basati sulla gestione della conoscenza, nei quali le competenze più tradizionali sono affiancate dall’analisi strategica del business, dalla gestione delle risorse umane, dal management dell’ICT ma non necessariamente dalla loro gestione, dal ricorso alla logistica integrata. Particolare attenzione deve essere posta, inoltre, sulle modalità di condivisione della conoscenza nell’ambito dei rapporti tra le imprese fornitrici e clienti.

Queste linee strategiche appartengono all’intero sistema produttivo italiano e il primo obiettivo di una politica di sviluppo industriale richiede l’identificazione non solo dei settori trainanti ma anche della struttura dimensionale appropriata per le diverse imprese ed, inoltre, dei territori in grado di percepire e cogliere tempestivamente le occasioni favorevoli. Data la rilevanza strategica dei temi affrontati e l’ampiezza delle applicazioni alla gestione delle imprese, le nuove competenze specialistiche devono essere inserite sia nelle aziende private di diversa dimensione, sia nelle aziende all’interno di distretti industriali e terziari e nelle aziende fornitrici di servizi integrati ed, infine, anche nelle amministrazioni che forniscono servizi alle imprese e alla collettività poiché queste ultime devono partecipare attivamente a questo processo d’innovazione in conformità ad un preciso indirizzo politico in quanto una strategia d’innovazione che deve coinvolgere l’intero Paese, anche se con tempi diversi, non può essere lasciata unicamente alla decisione del singolo imprenditore.

 

 

Domenica, 6. Luglio 2008
 

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