Indovina chi viene al lavoro

Piuttosto che affrontare seriamente la questione dei migranti, in questa fase di crisi è molto più semplice ed elettoralmente pagante fomentare l'intolleranza. Eppure non ci sono problemi di ordine pubblico (dal 2000 i reati sono in costante calo) e nemmeno di "concorrenza", dato che gli immigrati, pur mediamente ben instruiti, sono confinati nel lavori più dequalificati

Mi occupo di politiche migratorie da ormai dieci anni e, in tutta onestà, posso affermare che non è mai stato semplice affrontare tali tematiche in un paese come il nostro. Complice anche un’informazione che ha sempre descritto gli immigrati in termini a dir poco sensazionalistici, il dibattito finisce spesso per risolversi nell'inconciliabilità di posizioni preconcette sulla necessità o meno della loro presenza in Italia, celando più o meno consapevolmente quella che è, invece, l’evidente realtà dei fatti: come tutti i rapporti per “addetti ai lavori” continuano a dimostrare, gli stranieri in Italia sono presenti da decenni, continuano ad incrementare la propria presenza e, se stanno ormai sfiorando la ragguardevole cifra del 6% sul totale della popolazione italiana, con un milione circa di giovani della cosiddetta seconda generazione, devono finalmente essere considerati a tutti gli effetti come nostri concittadini e non come un fenomeno congiunturale.

 

D’altra parte, è necessario essere perfettamente consapevoli di quanto sia difficile proporre un ragionamento simile in questo momento storico, caratterizzato da una ben nota crisi finanziaria internazionale che si sta manifestando con preoccupanti segnali di recessione anche nelle aree storicamente più forti del nostro paese: in effetti è molto più semplice, come del resto risulta evidente dal gradimento espresso dall’elettorato, scatenare la guerra tra poveri, soffiando sugli istinti più elementari di chiusura verso l’esterno e di autoconservazione, attraverso irrealistici proclami di sbarramento delle frontiere che hanno come unico, grave risultato quello di fomentare paura e intolleranza nei confronti degli immigrati. Bisogna, quindi, partire da una vera e propria rivoluzione culturale, scardinando ad uno ad uno, con pazienza e determinazione, tutti quei luoghi comuni che, strumentalmente o per ignoranza del fenomeno, sono stati assunti a verità indiscutibili.

 

Qualche esempio? Innanzitutto, gli immigrati non rubano il lavoro agli italiani, dal momento che, nonostante il 53% dei lavoratori stranieri possieda un titolo di studio superiore alla licenza media, continuano ad essere confinati rigidamente nelle occupazioni più dequalificate e gravose, senza alcuna prospettiva di mobilità professionale: una specializzazione lavorativa su base etnica che genera una stratificazione del mercato del lavoro a rischio, tra l’altro, di conflitto sociale, se si considera che le seconde generazioni esprimono sempre più insofferenza e voglia di riscatto nei confronti dei percorsi lavorativi e sociali dei propri genitori.

 

In secondo luogo, i clandestini non sono delinquenti: lungi dall’accezione negativa che la maggior parte dei mass-media ha irresponsabilmente contribuito a diffondere, soprattutto in coincidenza con i periodi di campagna elettorale, il termine identifica semplicemente una persona che si trova in Italia senza regolare permesso di soggiorno; un reato, di natura giuridico-amministrativa e non penale, che tra l’altro è imputabile, nella stragrande maggioranza dei casi, non alla volontà del singolo lavoratore straniero di vivere in una condizione che lo priva di ogni diritto, ma all’inadeguatezza di un sistema normativo che non solo è incapace di regolamentare il flusso di immigrati regolari verso il nostro paese, ma neppure riesce ad impedire l’arrivo degli irregolari, nonostante le tonanti dichiarazioni di chi sostiene la necessità di proseguire sulla linea della fermezza.

 

Infine, visto che spesso si cade nella tentazione di associare il tema dell’immigrazione a quello della sicurezza, è utile ribadire con forza che in Italia non esiste alcuna emergenza in tal senso, nulla che giustifichi misure eccezionali e dispendiose quali, per esempio, l’impiego dell’esercito nelle strade delle nostre città, a fronte, peraltro, di un taglio sostanzioso dei fondi alle forze dell’ordine previsto dall’ultima finanziaria: le indagini dell’ISTAT, così come le inchieste condotte dallo stesso Ministero dell’Interno, continuano a confermare, infatti, che tra il 2000 e il 2008 sono costantemente diminuiti non solo gli omicidi e le rapine, ma anche scippi, furti di veicoli e di oggetti dai veicoli e furti nelle abitazioni, reati “minori” che tra l’altro sono solitamente attribuiti agli stranieri.

 

D’altra parte, dal momento che nessun governo avrà il coraggio di ragionare finalmente in termini di integrazione e di cittadinanza, almeno fino a quando il diritto di voto non sarà esteso anche agli stranieri, è il sindacato che, infondendo nuova linfa alla propria azione e reinterpretandola in chiave moderna, può giocare un ruolo fondamentale, muovendosi con determinazione su almeno due fronti: innanzitutto, proponendosi come luogo di riflessione e di dibattito a partire dai propri iscritti, per superare le paure dell’altro e i conflitti potenziali in nome della necessità di difendere i diritti di tutti i lavoratori, soprattutto in un momento storico come quello presente, in cui la carenza di tutele ed il rischio di perdere il posto di lavoro accomuna, senza distinzioni, italiani e stranieri; in secondo luogo, forte delle competenze maturate nel corso di questi anni, ribadendo con forza la necessità di una serie di modifiche alla normativa in materia di immigrazione, per renderla finalmente aderente alla realtà del nostro paese: a partire dall’organizzazione delle Ambasciate Italiane, ormai incapaci di gestire il flusso di richieste dei visti di ingresso per l’Italia perché ancora strutturate per rispondere alle esigenze degli italiani emigrati all’estero, per arrivare al meccanismo del "decreto flussi", alla stretta connessione tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro o alla durata limitata degli stessi permessi di soggiorno, strumenti del tutto inadeguati perché troppo rigidi rispetto alla flessibilità dell’attuale mercato del lavoro.

 

Una buona parte del nostro futuro si gioca, infatti, sulla capacità di tutelare anche questi lavoratori, con tutti gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione: in un film uscito recentemente, si racconta della paralisi che mette in ginocchio la California quando, un bel giorno, spariscono tutti i “latinos”… Certo, si tratta di una favola, ma si pensi a cosa potrebbe succedere in Italia se il sindacato riuscisse a far scioperare tutti i lavoratori stranieri, regolari ed irregolari?

 

(Maurizio Bove fa parte del Dipartimento per le politiche migratorie della Cisl di Milano)

Mercoledì, 3. Dicembre 2008
 

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