Immigrati, immaginazione e realtà

Come ogni anni la Caritas ha presentato il “Rapporto sull’immigrazione”, fonte autorevole di informazioni e proposte. I luoghi comuni leghisti ne escono a brandelli. Per esempio, il ritmo di aumento dei reati è metà dell’aumento degli stranieri. Che non sono un costo, anzi: ci guadagniamo da vari punti di vista

Davvero: meno male che c’è la Caritas. Ogni anno, siamo al diciannovesimo, sforna un “Rapporto sull’immigrazione” che è una fonte autorevole di informazioni e proposte.

 

Ma prima di ragionarne, mi sembra utile qualche riflessione sulle dichiarazioni di Fini e sul dibattito che ne è scaturito. Tra i commenti significativi quello di Francesco Merlo che, su Repubblica del 26 novembre, scrive: “Se avesse usato la parola e non la parolaccia, Gianfranco Fini sarebbe stato molto più offensivo, perché sempre il concetto offende più dell’umore. E difatti “stronzi” attenua l’idea fredda della spregevolezza umana dei razzisti che trattano i giovani immigrati come se fossero diversi dai giovani italiani, come se valessero meno. “Stronzi” è una parolaccia che brucia ma che non inchioda all’abiezione  sociale”.

 

 La questione è ben posta. Ma Fini non poteva dire “spregevole” o, addirittura, “abietto”: avrebbe significato una rottura definitiva con buon parte del suo mondo, mentre Fini coltiva il sogno di rieducare una destra italiana che sta pagando, allo “sdoganamento” e al populismo senza regole berlusconiano, una lunga stagione di smarrimento della sua identità. Comunque la parola è dura.  Il “Dizionario dei sinonimi e dei contrari” affianca al termine utilizzato aggettivi come “stupido, cretino, ignorante”, che definiscono cioè persona di “...scarsa intelligenza, mente tarda, che non conosce, ignora o conosce male quello che dovrebbe sapere”: manchevolezza grave per un politico. O ancora “odioso, maligno, carogna”, cioè persona “vile” (che se la prende con  più deboli), “perfida” (che muove da odio, malvolere o simili), molesta (degna di essere disprezzata). E tuttavia il termine volgare, cioè “popolaresco, plebeo, comune, corrente” ne nasconde un po’ il senso, consente un appello e spera in un ricongiungimento, mantiene traccia di un rimprovero duro ma amichevole. 

 

Infine non voglio evitare la dimensione più ardua della questione, per noi di sinistra: l’utilizzo della parolaccia. Siamo per il politicamente corretto, non ci piace essere confusi con i maleducati urlatori televisivi, parliamo sempre come se i nostri figli e nipoti fossero lì ad ascoltarci e giudicarci. Forse piuttosto che imporre un doppio linguaggio (dentro casa – fuori casa) dovremmo educarci ad un linguaggio nel quale la parolaccia, anziché intercalare noioso e volgare, si faccia evento raro che segnala meraviglia, condanna, esclamazione liberatoria che riscatta il momentaneo turpiloquio. Ci potremmo esercitare con certi scampoli venduti come “cultura padana” (fonti: internet, “Radio padania”) : “i cinesi, sono come la muffa….  purtroppo, essendo italiani, molti zingari, se non commettono reato, non puoi cacciarli… nel nostro sangue c’è scritto ciò che il nostro popolo deve mangiare, polenta e riso contro dieta mediterranea … la Cucinotta non rappresenta la bellezza   italiana, troppo scura… accoltellarli è troppo, però ai gay due calci nelle palle li darei anch’io… il terremoto in Abruzzo è il presagio di una imminente islamizzazione dell’Europa… niente tappeti di merda della tua religione, vucumprà terrorista, stattene a casa tua…”. Fino all’ineffabile Borghezio: “noi non siamo merdaccia levantina o mediterranea”. Purtroppo si potrebbe continuare a lungo.

 
Gli italiani sono un popolo di migranti e di immigrati

 

Al dunque i più ricchi della terra hanno paura della povertà e appaiono insicuri circa la propria identità. Ignorano che decine di razze italiche e altrettante sparse nel mondo hanno concorso alla sua definizione, come ignorano che tra il 1892 e il 1924 Ellis Island, la piccola isola nel porto di New York frontiera di ingresso negli Stati Uniti, vide transitare 399 Bossi, 128 Salvini, 196 Maroni, 136 Gentilini. E che sono 275.000 i lombardi sparsi nel mondo. Per dire.

 

Seguendo le tracce disegnate dal Rapporto della Caritas, una mappa per ragionare sull’immigrazione nel nostro paese, sui pregiudizi che sopravvivono come sui problemi che propone, potrebbe essere quella che segue.

 

Gli Italiani sparsi per il mondo sono oltre 3 milioni. Gli stranieri residenti in Italia sono 3.891.295, con un amento nel triennio 2005-2008 del 45,7% (nella  UE del 14,4%), ma stiamo solo recuperando il precedente ritardo. Se si tiene conto delle oltre 400.000 persone in attesa di essere registrate nelle anagrafi comunali, la popolazione regolare straniera è di 4.329.000 unità ed il 71% di questa è extracomunitaria. Oltre mezzo milione sono i nati in Italia. Per la prima volta l’incidenza degli stranieri in Italia (7%) supera quella della UE (6,2%). La società italiana si presenta insomma come una società multiculturale che incrocia collettività assai estese (800.000 rumeni, oltre 441.000 albanesi, 404.000 marocchini, 170.000 cinesi, 154.000 ucraini) e altre minori.

 

L’immigrazione, anche nel nostro paese, è destinata a non ridursi

 

La Caritas ci ricorda che l’ONU (nel senso dei paesi ricchi, compresa l’Ialia) non ha rispettato l’impegno di devolvere lo 0,7% del PIL per la cooperazione e lo sviluppo dei paesi poveri e che hanno fatto molto di più gli immigrati con le loro rimesse. Oggi, nei paesi a sviluppo avanzato, ogni persona ha in media a disposizione 100 dollari al giorno, mentre nel resto del mondo centinaia di milioni di persone non hanno neppure un dollaro al giorno. L’antropologa Genevieve Makaping, che è nata nel Camerum 51 anni fa e vive in Italia da oltre 25,  la chiama “sottovivenza”, vivere al di sotto delle possibilità di vita.

 

No, l’onda non si fermerà, ha un motore intelligente, e carburanti come la fame, le guerre, le persecuzioni politiche e religiose, la paura. Non saranno le navi militari libiche a fermarla, anche se ci sono costate 5 miliardi. I leghisti, quelli che sanno, sono degli imbroglioni. Dicono: non ci sono più immigrati a Lampedusa. Non dicono che gli sbarchi, pur in un anno di forte aumento come il 2008, sono stati solo il 10% dei nuovi arrivi. Che più della metà delle persone sbarcate ha richiesto asilo politico ed ha dunque diritto all’accoglienza e alla protezione. Che l’onda intelligente troverà nuove sponde per depositare la sua umanità dolente.

 

L’immigrazione nel nostro paese è una risorsa

 

E’ ancora la Caritas che parla.

L’immigrazione è una risorsa demografica. Gli anziani con più di 65 anni sono solo il 2% del totale, di questi pochissimi i pensionati. L’età media è di 31 anni. I minori figli di immigrati sono 862.000 , con un aumento di oltre 100.000 solo nel 2008, compresi i 72.472 nuovi  nati.

L’immigrazione è una risorsa culturale. Sono 629.000 gli studenti stranieri, il 7% del totale, 52.000 gli universitari, 6.000 i novi laureati. E sono 325 gli autori di origine straniera che scrivono in italiano.

L’immigrazione è una risorsa occupazionale. E’ Banca Italia ad affermarlo: c’è complementarietà tra il lavoro italiano e quello degli immigrati. Badanti e baby sitter consentono maggior autonomia per far fronte agli impegni  di famiglia e di lavoro. Sono l’ex capo degli industriali metalmeccanici Calearo e la Confindustria a dichiarare che, senza immigrati, interi settori produttivi si fermerebbero. E tutti sanno che gli immigrati (il 10% del totale ma con il 16,4% degli infortuni mortali) fanno lavori necessari ma che gli italiani in larga misura rifiutano.

L’immigrazione è una risorsa imprenditoriale. Tra titolari di imprese, soci, altre figure aziendali e relativi dipendenti, movimenta mezzo milione di persone. I titolari di imprese sono 187.466, poco più della metà sono artigiani.

 

Vanno combattuti i pregiudizi più diffusi: troppi criminali, “…e io pago…”

 

L’equivalenza tra immigrazione e criminalità è sbagliata. Una ricerca della Caritas condotta con l’agenzia Redattore sociale, ha dimostrato che: l’attuale livello delle denunce è lo stesso del 1991; l’aumento dell’immigrazione e della criminalità non vanno di pari passo (anni 2001-2005 aumento popolazione straniera 101%, aumento della criminalità relativa 46%); gli immigrati regolari hanno un tasso di criminalità simile a quello degli italiani.

 
E per amore di verità va pure detto che, ad oggi, sono gli immigrati a sostenere l’economia italiana, e non viceversa. Secondo l’Unioncamere l’incidenza sul PIL del lavoro degli immigrati è stato nel 207 pari a 134 miliardi. I versamenti contributivi all’INPS sono stati pari a 7 miliardi di euro. Il loro gettito fiscale pari ad almeno 3,2 miliardi. Ebbene: secondo Banca Italia le   spese sociali per gli immigrati, nel periodo corrispondente, sono state pari al 2,5% delle spese totali, pari a circa la metà del gettito da loro assicurato. Altro che togliere ai soli immigrati la cassa integrazione dopo sei mesi!

 
Dal pacchetto sicurezza ad un progetto integrazione

 

Perché tante cifre? La mia opinione è che sull’immigrazione, come su altri temi, un “narrato mediatico” abbia sostituito largamente il “vissuto”. Forse troppi vivono con gli immigrati in casa, o degli immigrati sul lavoro, e poi fanno i leghisti fuori. Fanno i clericali: la croce sulla bandiera, o sostengono le posizioni della Chiesa quando non sono toccati nei loro interessi e piaceri, e poi dimenticano  il Cristo emigrante e sputano sull’invito alla solidarietà. E’ chiaro che l’immigrazione offre opportunità e pone problemi, è stato sempre così, anche nei secoli passati. Ma politica migratoria ha il dovere di gestire in modo positivo queste complessità, anche per una efficace politica della sicurezza. Insomma ci vuol altro che un “pacchetto sicurezza” offerto ad una popolazione che si continua ad impaurire. Occorre un “pacchetto integrazione”, cioè un progetto per l’integrazione che parta dal riconoscimento, agli immigrati, dei diritti di cittadinanza di cui godono gli italiani: lavoro, sanità, scuola, assistenza e previdenza. Senza corsie privilegiate e senza ostacoli creati ad arte.Su questo percorso alcuni problemi appaiono già evidenti.

 

A premessa vanno riviste le norme che consentono l’immigrazione regolare: ci vuole molto a comprendere che se il 70% degli immigrati totali sono stati regolarizzati tramite sanatorie c’è qualcosa che non va? E poi sul lavoro: la differenza di trattamento, retributiva e normativa, riservata agli  immigrati, crea vaste zone di illegalità precarietà e sfruttamento.  In alcuni casi appare urgente intervenire anche sulle forme di illegalità  e di sfruttamento che si manifestano tra immigrati: gli insediamenti cinesi a Carpi come altrove lo testimoniano. Per quanto concerne la sanità, grande danno s’è fatto con le norme che chiedono al personale sanitario di denunciare gli immigrati clandestini che si presentano per chiedere delle cure. E’ vero che moltissimi medici  e istituti ospedalieri hanno esplicitamene dichiarato che loro unico dovere è guarire i malati, ma s’è ridotta la domanda sanitaria degli immigrati, e un malato che circola è pericoloso per sé stesso e per gli altri. Nella scuola si manifesta una dispersione scolastica degli immigrati superiore a quella degli italiani. Sono 628.937 i figli di cittadini stranieri iscritti a scuola (infanzia, elementare, secondaria): il 7% del totale. Si manifesta inoltre come tema da affrontare quello della densità di presenze di ragazzi stranieri nelle singole classi scolastiche. La presenza di più culture e linguaggi è positiva, ma mi sembrerebbe anche ragionevole (per la pedagogia e la didattica intendo) fissare definire la presenza massima di studenti di lingua non italiana (il 50%?). Nelle grandi città esistono quartieri con preponderante presenza di immigrati, ma con appositi servizi dei comuni le difficoltà potrebbero essere superate. Oppure si prevedano sistematicamente corsi di lingua italiana che integrino i normali contenuti formativi, o classi e scuole i cui insegnanti abbiano competenze specifiche per gestire situazioni così complesse.

 

Un progetto per l’integrazione propone inoltre questioni relative ai diritti-doveri di partecipazione alla vita istituzionale: acquisizione del diritto formale di cittadinanza  e  diritto di voto alle amministrative. C’è infine da riprendere un tema alto, che dovrebbe far sintesi sui percorsi di immigrazione:  ed è l’equilibrio da ricercare tra gli interventi tesi all’integrazione e quelli destinati a consentire e “istituzionalizzare” la multiculturalità.

 

Ovviamente si tratta solo di appunti e suggerimenti per un “progetto di integrazione” che ci consenta finalmente di non discutere solo dei temi imposti dal governo e dalla Lega.

Martedì, 5. Gennaio 2010
 

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