Sulla candida facciata del Ministero degli Esteri si sviluppa per 210 m. di larghezza e 6 piani di altezza la plancia di comando della diplomazia italiana. Su quel fronte imponente si affacciano gli uffici dell'alto comando che nell'ultimo quinquennio ha pilotato la politica estera italiana verso il naufragio. Ad evitare il naufragio non sono bastati gli sforzi di quei pochi graduati capaci di leggere il bollettino meteorologico piuttosto che il bollettino verde.
Per mezzo secolo il Titanic della Farnesina aveva navigato nelle acque perigliose del mondo con una certa perizia, contribuendo a traghettare l'Italia verso approdi di prestigio: tra i soci fondatori delle Comunità Europee (con protagonisti come De Gasperi, Martino e Spinelli), nella Nato (con Manlio Brosio nominato Segretario Generale), nei massimi fori dell'Onu con Ruggiero a capo dell'Omc, nel ristretto club del G7, nel Cern con Carlo Rubbia, nella Commissione Mondiale per lo Sviluppo Sostenibile, nell'Eurogruppo grazie al tandem Ciampi-Prodi.
Sono bastati 5 anni per dilapidare buona parte del patrimonio di credibilità internazionale acquisito in 50 anni di fatica diplomatica. Ora il Titanic della Farnesina giace su bassi fondali, in attesa che il nuovo governo ne tenti il recupero. Nel frattempo, chiunque voglia visitare il nobile relitto potrà immergersi in quell'ambiente ovattato, solcare i corridoi dei passi perduti, contemplare le opere d'arte ancora ai loro posti, tendere l'orecchio al mormorio, ai bisbigli che si levano dalle stanze dove operosi funzionari lavorano in apnea, in attesa che il bastimento torni a galla per navigare ancora. Questi mormorii, questi bisbigli vale la pena di raccoglierli e riferirli.
La gestione Ruggiero
"Nel 2001 l'avvento di un governo di centrodestra era sembrato a molti di noi un buon segnale - si confida un giovane diplomatico - Sì, un buon segnale! Perché credevamo di poter convogliare l'attivismo e le doti di comunicatore di B. a profitto di un'Italia che venisse più ascoltata nel mondo. Certo, la stampa internazionale guardava con scetticismo al fenomeno B. e si divertiva a registrare le sue sparate: "Non c'è nessuno sulla scena mondiale che può pretendere di confrontarsi con me, nessuno dei protagonisti della politica che ha il mio passato".(15) Certo, un giornale conservatore come l'Economist titolava "Why Berlusconi is unfit to rule Italy". Eppure eravamo convinti, grazie al peso specifico della Farnesina, di riuscire almeno a "contenere le uscite" oltre confine del presidente del Consiglio. Fra tanti ministri non esportabili, a noi era toccato in sorte il meglio del meglio, Renato Ruggiero: nome di prestigio e garanzia di continuità sulla scia del quinquennio precedente, quando il timone era saldamente tenuto nelle mani di uno statista come Lamberto Dini".
"Ma tu dimentichi - lo interrompe un collega - che la politica estera del governo B. è stata battezzata nel sangue sparso per le strade di Genova durante il G8. Voi non c'eravate, ma io che facevo parte dello staff organizzativo ho visto lo stupore negli occhi dei nostri colleghi stranieri; non si capacitavano come una democrazia europea potesse esprimere tanta violenza verso dimostranti inermi e tanta debolezza verso black-blocks aggressivi. Per mesi fioccarono in seguito le proteste della stampa, le note verbali delle ambasciate straniere, le denuncie delle Ong internazionali. Sapete come Amnesty International ha definito i fatti di Genova? "La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la II° guerra mondiale". Nei corridoi del ministero ci si chiedeva che ci faceva in quei giorni nel Comando dei Carabinieri di Genova il vice-presidente del Consiglio Fini: una presenza inaspettata e mai chiarita".
"Non c'è dubbio - interviene un terzo, esperto di Medio Oriente - che le violenze al G8 offuscarono la nostra immagine in Occidente. Ma pensate al danno che subì la nostra immagine in Medio Oriente, quando due mesi dopo B. se ne uscì, in una conferenza stampa a Berlino, con queste parole: "Dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà, che ha dato luogo al benessere e al rispetto dei diritti umani, religiosi e politici. Un rispetto che certo non esiste nei paesi dell'Islam. Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà sullo stesso piano. La libertà non è patrimonio della civiltà islamica
L'Occidente è destinato a conquistare i popoli. L'ha fatto col mondo comunista e l'ha fatto con una parte del mondo islamico." Chi di noi stava al Cairo quel 26 settembre non può dimenticare la sfuriata che fece Amr Mussa a nome dell'intera Lega Araba. Chi di noi stava in altre capitali arabe ricorda ancora le dure richieste di spiegazioni che fioccavano dalle cancellerie e dalla stampa locale. I consiglieri diplomatici di Palazzo Chigi avrebbero potuto neutralizzare la gaffe se avessero, seduta stante, invitato ad un incontro riconciliatorio i capi missione musulmani accreditati a Roma. Ebbene, lo fecero con una settimana di ritardo".
"Tu la chiami gaffe - insiste un altro - ma in realtà fu come dare libero sfogo a quegli "animal spirits" che erano rimasti acquattati nel nuovo governo finché non crollarono le Torri Gemelle. Tant'è vero che già una settimana dopo l'11 settembre Bossi aveva proclamato la sua jihad leghista, invocando "guerre di religione contro l'Islam". E soprattutto, vi rendete conto che dichiarazioni del genere minavano la strategia occidentale mirata a coinvolgere i governi dei paesi musulmani nel contenimento dell'integralismo islamico?"
A questo punto si leva un brusio più accalorato dai corridoi dove lavorano in apnea i funzionari addetti ai dossier europei. "Già in ottobre Renato Ruggiero confessava a chi di noi gli era vicino che la luna di miele fra lui e il governo stava finendo male. Non passava Consiglio dei ministri senza scontri sui punti cruciali del nostro "stare in Europa": scontri con Martino (che voleva uscire dal consorzio europeo dell'Airbus 400M per inseguire le sirene americane), con Tremonti (che attaccava l'euro mentre stava per entrare in circolazione), con Castelli (sul mandato di cattura europeo), con Buttiglione (sulle deleghe relative ai dossier comunitari), con Bossi (su tutto).
Vi ricordate la legge sulle rogatorie internazionali votata in Parlamento il 3 ottobre? Dovendosi ratificare con legge l'accordo italo-svizzero del 1998 sulle rogatorie, il testo stabilì una procedura bizantina di accertamento della autenticità delle prove documentali fornite dalle autorità straniere, sancì la retroattività delle nuove norme in modo da "coprire" processi in corso contro B. e soci, suscitò un vespaio internazionale che imbarazzò anche il MAE. Il Parlamento Europeo votò una Risoluzione che invitava Roma a non frapporre "ostacoli legali che compromettano" la cooperazione giudiziaria tra i paesi membri. Berna bloccò la ratifica dell'accordo e il Procuratore Generale di Ginevra, Bernard Bertossa, dichiarò: "Questa legge non ha nulla a che vedere col diritto. E' una misura la cui natura politica è chiara, mira a salvare certe personalità vicine al governo". "(16)
Proseguono a raccontare altri funzionari: "Dopo il Capodanno si consumò il divorzio, dirompente per la diplomazia italiana, tra Ruggiero e il governo. Nel dimettersi il ministro ci lasciò un testamento di poche indimenticabili righe:
"La mia breve permanenza al ministero non mi ha consentito di dare a questa amministrazione la volontà, le risorse e le metodologie di lavoro necessarie per realizzare ulteriori progressi verso una nuova professionalità che l'attuale evoluzione della politica estera richiede Raccomando a tutti voi, e in particolare ai giovani, di continuare a servire lo Stato e i suoi governi democraticamente costituiti, con passione, lealtà e trasparenza. Rifiutate di assecondare giochi di potere nell'esercizio delle vostre funzioni Ricordatevi di essere orgogliosi del paese che servite e della missione che ciascuno di voi è chiamato a svolgere."
"La mia breve permanenza al ministero non mi ha consentito di dare a questa amministrazione la volontà, le risorse e le metodologie di lavoro necessarie per realizzare ulteriori progressi verso una nuova professionalità che l'attuale evoluzione della politica estera richiede Raccomando a tutti voi, e in particolare ai giovani, di continuare a servire lo Stato e i suoi governi democraticamente costituiti, con passione, lealtà e trasparenza. Rifiutate di assecondare giochi di potere nell'esercizio delle vostre funzioni Ricordatevi di essere orgogliosi del paese che servite e della missione che ciascuno di voi è chiamato a svolgere."
Era un avviso ai naviganti che avrebbe dovuto ascoltare con maggior attenzione chi stava in plancia di comando alla Farnesina. B. infatti aveva deciso di assumere ad interim il portafoglio degli Esteri. E nella veste di ministro degli Esteri si presentò a noi il 9 gennaio, scegliendo di recitare il suo primo numero proprio di fronte alle 52 reclute diplomatiche che dovevano prestare giuramento quel giorno. Davanti agli attoniti giovinetti B. tratteggiò lo stile del diplomatico "nouveau régime": essere soprattutto un venditore del "made in Italy". "Attenzione, alito fresco e mani non sudaticce! E mai più panciotti come quello " indicando il segretario generale Baldocci, cioè il funzionario al vertice del ministero, che indossava un normalissimo gilet. Infine concluse dichiarando: "Sono l'uomo giusto al posto giusto, e per giunta mi diverto".
Questo approccio ludico alle questioni internazionali era la chiave per capire quale rotta avrebbe preso la Farnesina. E chi stava in plancia avrebbe dovuto prepararsi a controsterzare ad ogni manovra avventata di Palazzo Chigi. Più di una volta nella storia della Repubblica l'ammiragliato della Farnesina aveva ovviato con prontezza alla inesperienza di ministri capitati lì per caso. Questa volta no. Questa volta il comando della nave venne trasferito a Palazzo Chigi, senza mai tentare di correggerne la rotta. "
La Reggenza Berlusconi
"Ricapitoliamo - sintetizza un funzionario di buona memoria - B. assunse l'interim il 6 gennaio 2002 dichiarando che sarebbe rimasto il tempo necessario ad avviare la riforma del Mae e di volerlo fare con l'ausilio di due società di consulenza specializzate, tra cui la McKinsey. Ahi - si pensò subito noi - la faccenda si fa critica: la riforma è stata appena varata e già se ne vuole avviare un'altra? E chi pagherà per le consulenze se mancano i soldi per la normale amministrazione?
Il 5 febbraio B. illustrò le linee di programma di politica estera davanti alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato. Fu in quell'occasione che B. illustrò come si era svolto, a novembre a Downing Street, il pranzo cui Blair aveva invitato Chirac e Schroeder (ma poi esteso su giusta insistenza di Roma ai principali colleghi europei) per discutere di terrorismo dopo l'11 settembre. Davanti ai parlamentari allibiti B. raccontò di aver redarguito uno per uno, in separati colloqui, i propri colleghi europei: "Che non succeda più quel che è successo finora! Noi avremmo dovuto concordare gli aiuti da offrire agli Stati Uniti e incaricare Solana di presentare a Washington la nostra offerta. E invece prima è andato Blair, poi Chirac (che pure al telefono mi aveva escluso di volerci andare), poi Schroeder e alla fine son dovuto partire anch'io, perché l'opinione pubblica e la stampa già chiedevano: come mai B. non ci va? C'era stato quell'appuntamento che non avevo chiesto, venuto fuori chissà come. Pareva che Bush non volesse darmi l'appuntamento, invece me l'ha dato il giorno stesso che gli ho telefonato".
Quel teatrino fantastico - e persino contraddittorio (era stato Bush a invitare B. a Washington o era stato B. a chiedergli un appuntamento?) - aveva messo in ombra le poche linee di politica estera abbozzate dal Ministro-Presidente:
- attueremo una "rivoluzione copernicana" alla Farnesina, affiancando agli ambasciatori esperti economici assunti dal settore privato (sul modello canadese);
- il governo sarà europeista, ma non "eurofanatico";
- proporremo a Bruxelles la convocazione di una Conferenza di Pace per il Medio Oriente presentando un nostro "Piano Marshall" per i palestinesi.
- attueremo una "rivoluzione copernicana" alla Farnesina, affiancando agli ambasciatori esperti economici assunti dal settore privato (sul modello canadese);
- il governo sarà europeista, ma non "eurofanatico";
- proporremo a Bruxelles la convocazione di una Conferenza di Pace per il Medio Oriente presentando un nostro "Piano Marshall" per i palestinesi.
Due giorni dopo, al Consiglio dei ministri degli Esteri della UE organizzato dalla presidenza spagnola a Càceres, B. passò alla cronaca non per la sua proposta di rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, bensì per la foto di gruppo in cui faceva le corna all'ignaro Ministro spagnolo Piqué per divertire una squadriglia di boy-scouts. Solo per quello? No, passò alla cronaca anche per essersi tolto una scarpa in sala stampa a riprova che non portava i tacchi, contrariamente alle insinuazioni di certi "giornali comunisti". "
Il 2002 fu un anno vissuto all'insegna dell'euforia. Era iniziato con un'intervista a Playboy: "Sono il migliore del mondo, solo Bill Gates può farmi ombra
Riformerò i codici come Giustiniano e Napoleone". Un giorno sì e l'altro pure la Lega strologava contro l'Europa, definita da Bossi "Forcolandia" oppure "Unione Sovietica d'Occidente".
"Fu in una di quelle occasioni - ricorda con amarezza un altro diplomatico - che l'ex-ministro Ruggiero uscì dal suo riserbo (eravamo a marzo, mi pare) per dichiarare a Repubblica: "Credo sia ormai chiaro a tutti il motivo delle mie dimissioni; se non l'avessi fatto allora l'avrei dovuto fare oggi di fronte alle mostruosità di Bossi. Mi hanno indignato non solo le affermazioni sull'Europa, ma anche le altre contro il mondo islamico, contro gli immigrati musulmani e altre cose incredibili sulle qualità della razza padana che si contrapporrebbe alla gens italica". Ormai il nostro premier rilasciava interviste a ruota libera, meglio se sulla stampa di proprietà (a Panorama il 10 maggio): "La prima riforma di cui l'Italia aveva bisogno era proprio quella della nostra politica estera. Lo dico senza falsa modestia: è grazie al lavoro di questo governo e al mio impegno personale che l'Italia si è dotata finalmente di una politica estera propositiva e ha rioccupato il posto che le spetta sulla scena internazionale".
Il 29 maggio l'Italia ospitò a Pratica di Mare un Consiglio Atlantico straordinario per formalizzare l'istituzione di un Consiglio Comune Russia-Nato. B. spese tutte le sue energie (e il pubblico denaro) in una scenografia che i nostri colleghi stranieri definirono "da Cinecittà". Davanti alla stampa si lasciò prendere dall'enfasi: "A questa firma di respiro planetario si è arrivati grazie alla sollecitudine del governo italiano La Russia è praticamente entrata nella Nato". Ma a parte quest'ultima uscita un po' azzardata, l'evento di sostanza si era già svolto il 14 maggio in Islanda con la firma dell'Accordo da parte dei ministri degli Esteri. B. aveva ottenuto di ospitare in Italia la cerimonia della firma: onore al merito comunque, anche se oggi l'evento viene ricordato più che altro come "quella volta di Romolo e Remolo". "
Il 3 maggio apparve sul Corriere della Sera un articolo, anzi una lettera-autodafè intitolata "La nuova Farnesina" e firmata del segretario generale Baldocci (sì, proprio colui che davanti alle giovani reclute B. aveva preso in giro perché indossava il panciotto): "Si deve al presidente del Consiglio, anche nella sua veste di ministro degli Esteri, l'iniziativa di promuovere una riforma incisiva ed ambiziosa." (Ma come - veniva spontaneo chiedersi - se la riforma è stata appena ultimata l'anno scorso?!). Questo infatti Baldocci lo sottolineava, spiegando però qual era il "valore aggiunto" della nuova riforma. Era "l'apertura delle Ambasciate e dei Consolati all'apporto delle migliori professionalità, provenienti non solo dalla P.A. ma anche dall'esterno; l'istituzionalizzazione di forme di collaborazione tra il pubblico e il privato, riuniti in apposite Fondazioni operanti in Italia e all'estero; l'assegnazione ai nostri rappresentanti diplomatici di precisi obiettivi di promozione economico-commerciale degli interessi italiani". Naturalmente - terminava Baldocci - "la nuova Farnesina avrà bisogno, per far fronte ai compiti che il governo intende affidarle, di finanziamenti aggiuntivi".
Due giorni dopo arrivò la prima bordata - a firma di Furio Colombo sulle colonne dell'Unità - annunciata da un titolo ("Il crepuscolo della Farnesina") che col senno di poi appare profetico: "L'odore del regime si sente nel plauso iniziale al Capo. Il Capo viene indicato come l'Ispiratore. L'ispiratore di che cosa? Qui si tocca subito il fondo di una visione umiliante sia per i diplomatici sia per il paese che rappresentano. La 'riforma incisiva e ambiziosa' attribuita al Capo è 'suscettibile di introdurre un valore aggiunto quantificabile in termini di risultati e di giusti ritorni'? Ritorno è una parola estranea alla vita pubblica. Significa in gergo aziendale: io ti pago un tanto e tu quanto farai guadagnare a me come ritorno? Quanto ha fatto incassare oggi al paese il tale o tal altro ambasciatore? Una visione così rozza delle relazioni internazionali non si ricollega ad alcuna pratica della diplomazia o della politica. Purtroppo l'intervento forzato di un alto diplomatico al servizio della stravagante proposta di un miliardario incompetente travestito da ministro degli Esteri, l'ossequio subito offerto a una riforma che non esiste, tutto ciò è una brutta rivelazione. Ti dice che si deve stare al gioco perché il miliardario sarà incompetente, però non scherza. Per uomini e donne del servizio diplomatico, abituati a girare il mondo, i confini si fanno stretti, la professione umiliante, la disciplina inevitabile."
"Perché non iniettare un po' di "privato" nella torre d'avorio del ministero? - si domanda un giovane ambasciatore - E' vero che tra noi i pareri erano discordi, ma molti confidavano che quello sarebbe stato un modo per iniettare, assieme al "privato", un po' più di meritocrazia: obiettivo che la riforma Vattani aveva sancito a parole ma negato di fatto. Tutti, comunque, aspettavamo con ansia la Conferenza annuale degli Ambasciatori, fissata per il 24 luglio col titolo attraente di "Innovazione ed esperienza per far crescere l'Italia nel mondo". Tre giorni prima B. lasciò intravedere - con una tonante dichiarazione all'Ansa - come si sarebbe svolta: "Aver costruito un impero è una qualità, non un peccato: ho trasformato lo Stato e adesso gli altri capi di governo mi chiedono consigli!".
La Conferenza si aprì con un discorso-fiume di B. sui suoi personali successi diplomatici: l'aneddoto della famosa cena a Downing Street ("ai premiers che guardavano me non solo come rappresentante dell'Italia ma anche come qualcuno che aveva un passato dissi: adesso basta!"); e gli abbracci con l'amico Putin ("che ha la faccia dell'agente del KGB"); e le confidenze con l'amico Bush. E poi l'invito pressante a noi di fare da supporto al sistema Italia, all'esportazione dei prodotti italiani. Noi ci chiedevamo stupiti: ma questo non fa già parte del nostro mestiere? Infine arrivò al dunque, sulle risorse da stanziare per la "nuova Farnesina", iniziando con queste parole: "Lo Stato investe oggi nel ministero solo lo 0,3% del PIL, mentre la media all'estero è dell'1,5%". Noi ci aspettavamo a lume di logica che la frase continuasse così: "Ergo dal prossimo anno aumenteremo lo stanziamento fino a raggiungere l'1,5%". No, la frase fu: "Ma poiché le casse dello Stato non versano in condizioni floridissime la riforma è aggiornata e per ora ci atterremo a una filosofia orientativa"(sic). E concluse consolandoci paternamente: "Sto per andare in vacanza e con me viene Tremonti; glielo chiederò io di dare più soldi alla Farnesina".
Insomma, una Conferenza degli Ambasciatori trasformata in "Convention di DiploItalia" (definizione di Repubblica del 25 luglio). Più crudele ancora, il Corriere della Sera del 27 luglio pubblicò la foto finale della Conferenza: un B. che a braccia aperte imbonisce con un'ultima barzelletta il gruppo degli ambasciatori assiepati e doverosamente ridenti. Uno solo si rifiuta di ridere, è ben visibile nel gruppo, la sua carriera è bloccata dal 2002. "
Si fa avanti un giovane collega: "Immagino che Tremonti non abbia potuto rifiutare al suo premier quattro soldi per la Farnesina: insomma, come è andata a finire? " "E' andata a finire - è la risposta - che il successivo 25 ottobre il presidente del Consiglio mandò alla Camera il povero ministro Giovanardi a rispondere a una interpellanza di Rutelli, che chiedeva conto della "rivoluzione copernicana" promessa da B. in Parlamento. "In questa fase di ristrettezza di bilancio - recitò Giovanardi - non è possibile destinare risorse aggiuntive a nuove iniziative di riordinamento e rafforzamento". Reazione di Rutelli: "Non avete fatto la riforma della Farnesina. Non avete migliorato la capacità di penetrazione economica del paese all'estero. Non siete in grado di presentare un ministro degli Esteri. Ma che governo siete?" Quel giorno stesso B. era impegnato a Bruxelles ad esaltare il suo operato agli Esteri "sia per i risultati ottenuti sia per lo smalto dato all'Italia". "
"Ma fu tra agosto e dicembre - interviene un anziano funzionario - che B. raggiunse punte da parossismo, forse influenzato anche dai venti di guerra che cominciavano a soffiare sul Golfo. Il 23 agosto dichiarò all'Ansa: "Ho avuto personalmente dal Presidente Bush la garanzia che, prima di qualsiasi decisione sull'Iraq, ci incontreremo e lui ne discuterà con me". Il 25 agosto, intervistato dall'Unità: "Mi ero accorto che l'Italia era poco considerata. Ho telefonato ai leader degli altri paesi e ho detto: se fate così, non contate più sull'Italia. L'atmosfera da quel momento è cambiata!". Il 13 settembre all'Assemblea generale dell'ONU confermò il totale allineamento con gli Usa sulla questione irachena: "E' indispensabile una risposta per salvaguardare la comunità internazionale dal pericolo costituito da un accumulo di armi di sterminio da parte dell'Iraq".(17) Il giorno dopo riferì alla Camera che "se Saddam non cede, l'attacco sarà a gennaio e sarebbe inutile una seconda Risoluzione Onu come chiede la Francia, sarebbe un nonsenso".
Il 23 settembre al Consiglio Europeo di Copenaghen, dopo aver litigato con Chirac sul "first strike" contro Baghdad auspicato dagli americani: "Credo che ormai l'Italia dia del tu al mondo: una cosa di cui bisogna esser soddisfatti, visto che abbiamo portato nel nostro paese i personaggi più importanti, e l'Italia non era abituata a questo
A me sembra che siamo i più ascoltati e che tutti si voltino verso di me quando ci sono problemi di un certo tipo o situazioni divergenti: questo per la mia abitudine a mediare". In visita a Mosca il 16 ottobre B. si lasciò convincere da Putin, contrario ad attaccare l'Iraq, e dichiarò in conferenza stampa: "Credo che ormai in Iraq non ci siano più armi di distruzione di massa". Intervento immediato dell'ambasciatore americano Sembler; marcia indietro di B. che se la cavò sostenendo di aver soltanto espresso la posizione russa senza voler farla propria. "
Ecco un consuntivo dell'anno vissuto gloriosamente dall'artefice di una politica estera che la stampa anglosassone cominciava a definire "maverick". Ed ecco sorgere spontanee due domande: che ci stava a fare a Palazzo Chigi un intero ufficio di consiglieri diplomatici se non era in grado di consigliarlo?
La Luogotenenza Frattini
"Il 15 novembre 2002 - racconta un gruppo di giovani funzionari - il presidente del Consiglio passò la feluca al ministro Frattini con queste parole: "Credo di consegnare a Frattini un campo arato nel modo giusto e che saprà dare ottimi frutti". Noi assistemmo a questo cambio della guardia, sapendo che aveva un solo significato: la cabina di comando della diplomazia sarebbe rimasta a Palazzo Chigi. Infatti Frattini venne relegato ad un ruolo "luogotenenziale" e la Farnesina ad una cinghia di trasmissione puramente esecutiva, talvolta solo protocollare. Ma nessuno, a cominciare dal segretario generale, osava reagire alla confisca delle nostre competenze, se non a mezza voce. O con l'ironia del Giusti:
Al re Travicello - piovuto ai ranocchi
mi levo il cappello - e piego i ginocchi;
lo predico anch'io - cascato da Dio
oh comodo, oh bello - un re Travicello.
Calò al ministero - con molto fracasso
cacciando Ruggiero - perché era gradasso;
ma subito sparve - e quando riapparve
vantava amicizie - a dir poco fittizie.
Da tutto il pantano - uditi quei vanti
levossi pian piano - un coro di pianti:
"L'Italia va a fondo - agli occhi del mondo:
lo chiaman zimbello - quel re Travicello."
Tacete, minchioni, - che la Farnesina
continui bocconi - a dar vasellina
a un re Presidente - gaffeur e ridente,
ma unto da Dio - con grazia e con brio.
Preferite quel Fini - che il sonno vi scuota?
dormite, lecchini, - costì nella mota.
Non siate esigenti! - per chi non ha denti
è fatto a pennello - un re Travicello.
Là là per la reggia - dal vento portato
tentenna, galleggia - e mai dello Stato
non pesca nel fondo: - che scienza di mondo,
che re di cervello - è un re Travicello!
Aveva ragione Giovenale: "Si natura negat facit indignatio versum". Si era già capito duemila anni fa che "l'indignazione incita a scrivere versi". "
Ma il tempo dell'ironia era ormai scaduto: il 2003 si apriva tra foschi presagi di guerra. Ne dà testimonianza un funzionario che ha servito a lungo nei paesi arabi:
"Tra di noi c'era chi conosceva i rischi tremendi che si sarebbe assunto l'Occidente ad attaccare l'Iraq senza solide motivazioni, mentre c'era chi riteneva che il gioco valesse la candela. Era contrario all'azione militare soprattutto chi aveva lavorato in Medio Oriente, e lo stesso valeva per i nostri colleghi americani in servizio in quelle capitali (ricordo ancora lo scoramento dell'ambasciatore Battle e di altri capi missione, inascoltati a Washington). Noi sapevamo che Saddam era ormai "unfanged", privo di artigli e di mezzi di sterminio; ne erano convinti gli stessi ispettori dell'Onu. Era una di quelle certezze che nel mondo arabo sono più certe di quanto possano certificare gli ispettori dell'Onu.(18) Ma sapevamo anche che Washington e Londra non avrebbero fatto marcia indietro. Anzi, Londra ispirò l'idea di una mozione d'appoggio agli Stati Uniti, cui Roma aderì entusiasticamente con altri sei partners europei: quel letale "documento degli Otto" sottoscritto il 29 gennaio scardinò la coesione comunitaria come pochi altri nella storia della UE. Il nostro ministero ne era consapevole; tentò forse di frenare l'entusiastica adesione del nostro presidente? Ci sono tracce scritte delle nostre riserve?
Chissà, forse il Min. Frattini - se debitamente briefato dai nostri - avrebbe saputo riportarlo alle ragioni del no. Ma era solo un "luogotenente" e come tale si esprimeva, adagiandosi sulle illusioni mediatorie del Capo: "L'Italia si è adoperata per convincere gli Usa ad aspettare la seconda Risoluzione dell'Onu; ma se il nuovo rapporto degli ispettori giudicasse ancora insufficiente la collaborazione irachena, ci stiamo adoperando perché nessuno al CdS faccia uso del diritto di veto La nostra mediazione è stata sollecitata con forza sia dagli Usa sia dalla Gran Bretagna anche nei confronti della Russia" (così il 13 febbraio). "
Nel frattempo, più che la diplomazia era il popolo a parlare il linguaggio della ragione, riempiendo le piazze d'Italia di bandiere arcobaleno (che divennero presto uno dei prodotti italiani più copiati ed esportati all'estero). Alla sfilata interminabile di Roma parteciparono con i loro gonfaloni centinaia di sindaci, presidenti di Province, governatori di Regioni e persino qualcuno del Mae, ma a nome proprio
Commentava B.: "Il desiderio di pace non è un'esclusiva della sinistra e delle anime belle dei pacifisti, è anche un obiettivo del nostro impegno di governo, alla luce della nostra coscienza cristiana"(1° febbraio). "E' stato difficile appoggiare la guerra perché avevo l'intera sinistra contro di me, ma ho tenuto la linea" (19 febbraio alla Camera). "L'azione militare di un paese al di fuori dell'Onu sarebbe un fatto talmente nefasto che non credo nessuno si caricherà di una così grave responsabilità" (27 febbraio). "Bush è il primo a non volere la guerra" (13 marzo). Ma con i primi bombardamenti su Baghdad arrivò anche per lui il momento di serrare i ranghi.(19) "Cedendo le nostre basi credo che abbiamo fatto un capolavoro diplomatico e politico" (20 marzo). "Ci siamo resi conto che c'è una determinazione assoluta degli Usa che non si può cambiare" (22 marzo). E rivolto a Prodi il 29 marzo: "Caro Romano, è vero: forse aveva senso insistere sul disarmo. Ma ormai è fatta e come facciamo a tirarci indietro?".
"Dunque - riprende il racconto del funzionario - prese corpo tra aprile e maggio l'idea di impiegare un contingente militare sotto le nobili vesti di intervento umanitario. B. infatti dichiarò il 7 aprile: "Ormai la guerra sta avviandosi alla conclusione. Dobbiamo concentrarci sui sei mesi alla guida della UE per assegnare un ruolo all'Europa nella ricostruzione dell'Iraq". Meglio ancora il 10 aprile: "Mi rallegro che la guerra è finita e che sia stata rapida e abbia prodotto meno vittime di quanto si poteva temere
La posizione filoamericana assunta dal governo italiano fin dall'inizio è stata vincente". In quei giorni perciò Frattini spedì una missione con 40 tonnellate di aiuti d'emergenza e successivamente una missione della Croce Rossa incaricata di montare a Baghdad un ospedale da campo. Benissimo, se non fosse che - come spiegò il ministro Martino in Parlamento il 14 maggio - "la vigilanza interna è affidata a 30 carabinieri, primo segno concreto della presenza militare italiana in Iraq con evidenti scopi umanitari".
Un'operazione della Croce Rossa sotto scorta militare?! La sede centrale a Ginevra non la prese affatto bene e convocò il nostro Rappresentante Permanente per mettere in guardia l'Italia da quella ambigua, inaccettabile commistione. Ma a parte l'incidente ginevrino, man mano che il contingente italiano forte di 3000 militari si installava in Iraq l'opposizione obiettava: come si può far passare per "forze umanitarie" (quindi neutrali) un contingente di militari che non sono Caschi Blu e che, anzi, integrano una coalizione di forze d'occupazione? A questa domanda la Farnesina, trincerandosi dietro l'ambiguità della Risoluzione 1511, non diede risposta. La politica ritenne di poter soprassedere. Dei disastri successivi siamo anche noi parzialmente corresponsabili".(20)
Approssimandosi il semestre di presidenza della UE, l'attenzione del MAE si riconcentrò sull'Europa e più prosaicamente sulla insufficienza del bilancio per far fronte ai mille impegni del semestre. Si era abbattuta sulla Farnesina la scure di Tremonti, malgrado le promesse di B. di portarselo in vacanza per convincerlo ad allargare i cordoni della borsa: la dotazione per il semestre era di soli 35 milioni di euro e anche il capitolo per le missioni a Bruxelles era stato decurtato. In compenso l'ambasciatore Vattani aveva ottenuto ingenti fondi per Europalia, il programma di eventi culturali a Bruxelles di accompagnamento del semestre di presidenza.
"Ecco perché - spiega un funzionario attivo nel sindacato - il 1° luglio decidemmo di dare un segnale visivo della nostra frustrazione, distribuendo fichi secchi sul piazzale della Farnesina. Purtroppo la frustrazione non fece che acuirsi il giorno dopo, quando B. si presentò al Parlamento Europeo, lesse l'inappuntabile discorso programmatico (farina del nostro sacco, of course) e poi si lasciò coinvolgere in quella degradante sceneggiata che marcò a fuoco l'intero semestre. Per dirla tutta, il semestre era cominciato male ancor prima dell'in
Giovedì, 27. Luglio 2006