Il Wto fra aperture e diritti negati

Inizierà tra poco più di un mese la sesta conferenza della World Trade Organization. E' dal dopoguerra che si lavora alla liberalizzazione del commercio mondiale, tra innumerevoli 'stop and go'. Le richieste dei paesi meno ricchi e il problema degli standard fondamentali
Dal 13 al 18 dicembre si riunisce a Hong Kong la sesta conferenza dei ministri dei paesi membri della World Trade Organization - WTO. La prima si tenne dieci anni or sono (Singapore 9 – 13 dicembre 1996), dopo la trasformazione del General Trade and Tariff Agreement GATT (inizio 1995), varata sotto la direzione dell’italiano Renato Ruggero.

Il WTO è nato dalla trasformazione del GATT, il suo illustre predecessore, costituito nel 1947, per creare, dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale e dopo i vent’anni di depressione economica tra le due guerre, un sistema multilaterale del commercio a scala mondiale, iniziando con il graduale abbassamento dei dazi che, elevando tra le due guerre muri di incomprensione tra le nazioni, avevano tanto contribuito a costruire un mondo di miseria e a preparare una guerra lunga e distruttiva.

Il compito è stato preso sul serio all’inizio: tre successive riunioni annuali (round) nel 1948 (Cuba), 1949 (Annecy), 1950 (Torquay). Poi, l’approfondirsi della “guerra fredda” ha gelato le buone intenzioni finali e per sei anni il GATT ha rallentato la sua corsa. Alla ripresa i tre round successivi si sono tenuti a scadenze molto più dilazionate (di 4 anni), nel 1956 (Ginevra), nel 1960 (Dillon), 1964 (Kennedy round).
 
Quest’ultimo round, chiamato con il nome del presidente USA (invece che con la località della riunione iniziale del round), sembrava dar impulso a un ciclo rinnovato: fu invece l’ultimo round di stampo keynesiano, condotto cioè secondo una logica di apertura dei mercati e di collaborazione tra le nazioni.

Bisogna chiarire a questo punto che il round comprende un periodo di lavoro racchiuso tra una riunione iniziale (nella quale si imposta il programma) ed una riunione finale (nella quale si traggono le conclusioni e si firmano accordi tra gli ormai più di cento membri dell’organizzazione (23 erano stati i paesi fondatori).

Il Kennedy round tuttavia si trascina per tre anni prima di concludersi e dar luogo all’ottavo round (Tokio, come i precedenti dal nome della sede della riunione iniziale), che inizia dopo ben sei anni dalla conclusione del Kennedy round e si trascina per i successivi sei anni (1973/79). Siamo ormai in pieno dominio del monetarismo: nel 1971 Nixon pone fine alla parità oro/dollaro e gradualmente si torna ai cambi liberi ed al disordine monetario. Ormai il ruolo del Gatt, di supporto agli altri due organismi guida dell’ordine internazionale keynesiano – Fondo Monetario e Banca mondiale di sviluppo – a loro volta svuotati di compiti strategici in un sistema internazionale monetaristico fondato sul principio “ognun per sé e dio per tutti” – non serve più, ed infatti il successivo, ed ultimo round (Uruguay) si trascina dal 1986 al 1994, senza veramente una conclusione che non sia la sostituzione del GATT con il WTO. In realtà la trattativa iniziata a Montevideo nel 1986 prosegue con tanti risultati parziali ma nessuno di rilevanza strategica, con un primo traguardo fissato al 2004 e successivamente protratto al 2006.

Siamo ora alla frutta, si direbbe, in quanto nel 2006, dopo vent’anni di trattativa, non si vede ancora un approdo significativo, ma si sente che ormai sarebbe ora di fare un punto e a capo. Nel frattempo ci si consola con la nozione che nei cinquant’anni di attività del Gatt/Wto (1948/1998) il valore monetario degli scambi internazionali è aumentato di ben 22 volte: ma dove è andato a finire il progetto di un ordine internazionale, progettato a Bretton Woods nel lontano 1944?

Intanto, il neonato Wto ha ripristinato un minimo di trattativa ad alto livello inventando la conferenza dei ministri dei 123 paesi membri, tenutasi per la prima volta a Singapore nel 1996, a dieci anni dall’avvio dell’Uruguay round ed a uno dalla trasformazione del GATT in WTO. Segue la conferenza di Ginevra nel 1998 ed ancora nel 1999 quella di Seattle, fallita sotto l’urto della contestazione dei no global. Dopo due anni di pausa la conferenza dei ministri si riunisce, non più a cadenza annuale ma biennale, nel 2001 a Doha, e poi ancora nel 2003 a Cancun. Dopo altri due anni siamo ora alla sesta di queste riunioni, quella annunciata a dicembre 2005 a Hong Kong, sede scelta se non altro per celebrare il recente accesso al Wto della Cina.

Intanto quest’anno è stato nominato direttore generale del WTO Pascal Lamy, un francese che nei precedenti quattro anni è stato commissario dell’Unione Europea, succedendo al tailandese Supachai Panitchpak, un politico/banchiere che dal 2002 al 2005 ha presieduto al periodo più incolore del WTO.

La preparazione della riunione in corso in questi giorni a Ginevra con la partecipazione dell’Unione europea, degli Stati Uniti e dei rappresentanti del cosiddetto gruppo dei "venti" (Brasile, India e Australia) è ancora una volta incagliata sul conflitto agricolo. I paesi in via di sviluppo chiedono una radicale riduzione delle tariffe e dei sussidi. L’Unione europea è divisa al suo interno. La Francia, insieme con altri paesi dell'Unione, sostiene che la Politica agricola comune (PAC) ha già definito gli spazi di movimento per i prossimi anni, e non intende riaprire il dossier. Gli Stati uniti sono a parole favorevoli alla riduzione delle tariffe, ma intanto Bush ha aumentato i sussidi per una serie di prodotti sensibili.

Sullo sfondo, non meno o anche più importante del dossier agricolo rimane quello dell’apertura dei mercati dei servizi che dovrebbe consentire ai paesi più sviluppati libero ingresso nei paesi del terzo mondo, occupando spazi che in larga misura sono ancora in mano pubblica. Infine, ma non meno importante, il tema delle garanzie degli standard fondamentali, fissati dall’Organizzazione internazionale del lavoro (lavoro minorile, libertà d’associazione sindacale e di contrattazione) che ristagna sin dal Consiglio dei ministri di Singapore del 1996, in una ragnatela di resistenze della parte più liberista dei paesi ricchi e di sospetti dei paesi poveri che v’intravedono un altro strumento nelle mani dei protezionisti.

Si tratta di dibattiti dall’apparenza arcana e tecnicamente sofisticati, ma che converrà seguire, perché dai loro esiti dipende anche il futuro dei rapporti economici internazionale e delle nuove forme che vengono assumendo la globalizzazione con l’emergenza di nuove regioni e blocchi di paesi, a cominciare dall’Asia (Cina e India) e dall’America latina, in primo luogo il Brasile.
Domenica, 23. Ottobre 2005
 

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