Tornando però allimmaginario che oppone un presente sempre più dominato da un lavoro incerto, intermittente, precario rispetto ad un passato dove, al contrario, il lavoro risultava sostanzialmente sicuro, stabile, salta agli occhi una tendenza alla generalizzazione che non aiuta a capire le dinamiche reali. Intanto la comparazione si fonda su una ricostruzione del passato che, con quelle caratteristiche, non è mai esistito. Come sanno bene gli storici del lavoro, cinquantanni fa (allepoca della prima grande inchiesta parlamentare sulle condizioni di lavoro) loccupazione era in gran parte precaria. Basti pensare allagricoltura che assorbiva ancora la maggioranza degli occupati. Il grosso dei braccianti non aveva contratti a tempo indeterminato e spesso nemmeno a tempo determinato, ma addirittura a giornata. Tutti ricordano, quanto meno per averlo visto al cinema, la pratica incivile ed avvilente dei caporali che, con facce torve, si presentavano al mattino presto sulla piazza dei paesi del Sud e lì reclutavano i braccianti tastando loro i muscoli. Per quanto riguarda, invece, ledilizia la durata del lavoro era prevalentemente condizionata sia dalla durata dei cantieri che dallandamento meteorologico. Infine, nella nascente industria manifatturiera la stragrande maggioranza delle donne veniva assunta solo con contratti a tempo determinato, o stagionali nei settori dellagroalimentare. Per di più la flessibilità agiva indiscriminatamente non solo in entrata ma anche in uscita. I licenziamenti non venivano fatti con i guanti. Non erano infatti richieste particolari procedure. Esisteva, come i più vecchi ricordano certamente, il licenziamento
ad nutum (al cenno). Si poteva così venire licenziati per i motivi più banali: per un ritardo, per una protesta, per liscrizione al sindacato. Ci sono voluti anni di battaglie per conquistare il riconoscimento che i licenziamenti dovevano essere motivati da una giusta causa. Per arrivare, infine, allo statuto dei diritti dei lavoratori.