Linterpretazione dei dati statistici ha da sempre permesso alle varie forze politiche di sostenere le proprie ragioni. Negli ultimi anni loccupazione è stata contraddistinta da un unico segno, quello positivo, che si presentava puntualmente anche quando leconomia subiva momenti di stanca se non vere e proprie battute darresto. Anche in quei frangenti dietro al dato complessivo si celavano diversi fenomeni, che unanalisi che andasse a scavare sotto il sottile strato superficiale poteva rilevare e far collimare con le tendenze economiche in atto in quei periodi.
Al cospetto di una crisi che si preannuncia tra le più drammatiche di tutti i tempi nessuno è in grado di poter esprimere delle previsioni sulle conseguenze che la collettività ne dovrà sopportare. In questo momento appare comunque ozioso e persino inutile cercare di indovinare quanti verranno lasciati a piedi dalla crisi prima che questa si esaurisca; piuttosto appare già evidente, dai dati a nostra disposizione, che cosa questa stia producendo nellambito delloccupazione.
Gli ultimi dati Istat su questo fronte riguardano il 4° trimestre 2008 e sono stati diffusi pochi giorni fa insieme alle prime stime dei dati di media danno. Più che il dato annuale - che incorpora anche la situazione relativa al primo semestre dellanno passato in cui si potevano avvertire solo i prodromi del mutato scenario delleconomia - sono gli ultimi due trimestri quelli più rappresentativi di ciò che ci aspetta per il 2009.
LIstituto nazionale di statistica riferisce per il 4° trimestre del 2008 di una crescita tendenziale (rispetto allo stesso periodo dellanno precedente) delloccupazione di 24 mila unità, ma specifica che il dato è frutto di una combinazione che vede una crescita delloccupazione straniera di 280 mila unità e un calo di quella nazionale pari a 256 mila unità. Lo stesso effetto era già in atto dal trimestre precedente quando, a fronte di una crescita degli occupati stranieri di 285 mila unità, si contrapponeva una diminuzione di quella italiana di 184 mila producendo una crescita complessiva di 101 mila unità che rappresentava, a crisi già in atto, un risultato ancora confortante se preso in termini complessivi.
Lungi dallintento dellautore laddebitare agli stranieri la responsabilità dellaccaduto, la questione merita ulteriori approfondimenti prima di trarre qualsiasi conclusione. Infatti è necessario capire meglio chi cresce e chi cala e soprattutto perché.
Il ritorno al segno negativo della dinamica occupazionale ribalterebbe un trend crescente che aveva preso avvio nel 4° trimestre 1995 e, nonostante gli alti e bassi del ciclo economico, tale è rimasto fino al 2008. Anche se lIstat diffonde stime delloccupazione disaggregate per cittadinanza soltanto dal 2005, non cè motivo di pensare a momenti di diminuzione delloccupazione nazionale durante il periodo perché gli aumenti tendenziali che venivano registrati ogni trimestre risultavano decisamente consistenti e, inoltre, lapporto degli stranieri ha assunto notevole rilevanza soprattutto negli ultimi anni. Quindi, quello che potrebbe accadere sin dal prossimo trimestre rappresenterebbe uno scenario che non si presentava da oltre 13 anni.
Liniezione straniera fornisce stimoli anche alla crescita della popolazione attiva che però, per il secondo trimestre consecutivo, vede la componente dei disoccupati fornire il maggior contributo allincremento. Inoltre, il numero dei disoccupati risulta in crescita per tutto il 2008 dopo anni di ridimensionamento del fenomeno. Come dire che cresce la popolazione residente grazie agli immigrati (se oggi abbiamo raggiunto la significativa quota di 60 milioni lo dobbiamo esclusivamente a loro), che generano una spinta al rialzo della forza lavoro e degli occupati, controbilanciata dal declino delloccupazione italiana e dallirrobustimento della schiera dei disoccupati che a questo punto assume carattere strutturale.
Leffetto della crescita delloccupazione straniera lo si intuisce anche nei dettagli. Stando sempre agli ultimi dati pubblicati dallIstat, che fanno riferimento allultimo trimestre del 2008, cresce esclusivamente loccupazione alle dipendenze (+1,1%), mentre quella autonoma è in calo (-2,7%); forte aumento del settore delle costruzioni (+1,6%), più lieve nei servizi (+0,4%) e se si considera solo loccupazione alle dipendenze la crescita si estende anche allagricoltura (+0,3%). Inoltre, il segno positivo nel complesso riguarda solo il lavoro part-time (+1,3%), mentre quella a tempo pieno ripiega dello 0,1%. Ma il dato più preoccupante è che la crescita delloccupazione si concentra prevalentemente nel Nord-Centro del paese (è lì infatti che è preminente il peso della manodopera straniera) mentre, sempre negli ultimi due trimestri, il Mezzogiorno mostra un segno negativo (-1% nel terzo e -1,9% nel quarto trimestre). Insomma, piove sul bagnato.
In sintesi, il tasso di occupazione riferito alla popolazione attiva (tra 15 e 64 anni) flette per il secondo trimestre consecutivo attestandosi al 58,5%, che in poche parole significa un ritorno ai livelli poco entusiasmanti di fine 2006. Già, perché il nostro paese raschia da anni il fondo del barile nella classifica europea su questo indicatore e ora più che mai sembra un miraggio quel 70%, che è il parametro fissato dagli accordi di Lisbona, che tutti i paesi dovrebbero raggiungere entro il 2010 e che rappresenta uno degli indicatori più significativi sul livello di equilibrio e benessere di una società, punto di partenza verso i traguardi sempre più ambiziosi nellintegrazione tra gli Stati dellUnione.
La questione si fa ancora più drammatica se si pensa che lItalia si sta affacciando alla crisi con un mercato del lavoro che mostra ancora parecchi problemi da risolvere. La crescita di unoccupazione di piccolo cabotaggio, in settori a scarsa spinta propulsiva, mette in luce ancora di più le fosche prospettive che ci aspettano nel prossimo futuro. Inoltre, tutto ciò evidenzia che lunica risposta ad una fiacca domanda di lavoro arriva dalla presenza del fenomeno migratorio sul nostro territorio; gli stranieri risultano al momento gli unici ad essere flessibili, più adatti e anche più disposti a rispondere al basso profilo delle aspettative che contraddistinguono lattuale panorama lavorativo.
* Lautore è ricercatore dellIstat - L'articolo è presentato a titolo personale e non impegna la responsabilità dell'Istituto.