Il paradosso dell’aumento dell’occupazione

Nel quarto trimestre 2008 24mila occupati in più: ma è il risultato di un forte calo di lavoratori italiani superato dall'aumento di quelli stranieri, con impieghi poco qualificati e prevalentemente part-time. Flette anche la popolazione attiva, ora al 58,5%

L’interpretazione dei dati statistici ha da sempre permesso alle varie forze politiche di sostenere le proprie ragioni. Negli ultimi anni l’occupazione è stata contraddistinta da un unico segno, quello positivo, che si presentava puntualmente anche quando l’economia subiva momenti di stanca se non vere e proprie battute d’arresto. Anche in quei frangenti dietro al dato complessivo si celavano diversi fenomeni, che un’analisi che andasse a scavare sotto il sottile strato superficiale poteva rilevare e far collimare con le tendenze economiche in atto in quei periodi.

 

Al cospetto di una crisi che si preannuncia tra le più drammatiche di tutti i tempi nessuno è in grado di poter esprimere delle previsioni sulle conseguenze che la collettività ne dovrà sopportare. In questo momento appare comunque ozioso e persino inutile cercare di indovinare quanti verranno lasciati a piedi dalla crisi prima che questa si esaurisca; piuttosto appare già evidente, dai dati a nostra disposizione, che cosa questa stia producendo nell’ambito dell’occupazione.

 

Gli ultimi dati Istat su questo fronte riguardano il 4° trimestre 2008 e sono stati diffusi pochi giorni fa insieme alle prime stime dei dati di media d’anno. Più che il dato annuale - che incorpora anche la situazione relativa al primo semestre dell’anno passato in cui si potevano avvertire solo i prodromi del mutato scenario dell’economia - sono gli ultimi due trimestri quelli più rappresentativi di ciò che ci aspetta per il 2009.

 

L’Istituto nazionale di statistica riferisce per il 4° trimestre del 2008 di una crescita tendenziale (rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) dell’occupazione di 24 mila unità, ma specifica che il dato è frutto di una combinazione che vede una crescita dell’occupazione straniera di 280 mila unità e un calo di quella nazionale pari a 256 mila unità. Lo stesso effetto era già in atto dal trimestre precedente quando, a fronte di una crescita degli occupati stranieri di 285 mila unità, si contrapponeva una diminuzione di quella italiana di 184 mila producendo una crescita complessiva di 101 mila unità che rappresentava, a crisi già in atto, un risultato ancora confortante se preso in termini complessivi.

 

Lungi dall’intento dell’autore l’addebitare agli stranieri la responsabilità dell’accaduto, la questione merita ulteriori approfondimenti prima di trarre qualsiasi conclusione. Infatti è necessario capire meglio chi cresce e chi cala e soprattutto perché.

 

Il ritorno al segno negativo della dinamica occupazionale ribalterebbe un trend crescente che aveva preso avvio nel 4° trimestre 1995 e, nonostante gli alti e bassi del ciclo economico, tale è rimasto fino al 2008. Anche se l’Istat diffonde stime dell’occupazione disaggregate per cittadinanza soltanto dal 2005, non c’è motivo di pensare a momenti di diminuzione dell’occupazione nazionale durante il periodo perché gli aumenti tendenziali che venivano registrati ogni trimestre risultavano decisamente consistenti e, inoltre, l’apporto degli stranieri ha assunto notevole rilevanza soprattutto negli ultimi anni. Quindi, quello che potrebbe accadere sin dal prossimo trimestre rappresenterebbe uno scenario che non si presentava da oltre 13 anni.

 

L’iniezione straniera fornisce stimoli anche alla crescita della popolazione attiva che però, per il secondo trimestre consecutivo, vede la componente dei disoccupati fornire il maggior contributo all’incremento. Inoltre, il numero dei disoccupati risulta in crescita per tutto il 2008 dopo anni di ridimensionamento del fenomeno. Come dire che cresce la popolazione residente grazie agli immigrati (se oggi abbiamo raggiunto la significativa quota di 60 milioni lo dobbiamo esclusivamente a loro), che generano una spinta al rialzo della forza lavoro e degli occupati, controbilanciata dal declino dell’occupazione italiana e dall’irrobustimento della schiera dei disoccupati che a questo punto assume carattere strutturale.

 

L’effetto della crescita dell’occupazione straniera lo si intuisce anche nei dettagli. Stando sempre agli ultimi dati pubblicati dall’Istat, che fanno riferimento all’ultimo trimestre del 2008, cresce esclusivamente l’occupazione alle dipendenze (+1,1%), mentre quella autonoma è in calo (-2,7%); forte aumento del settore delle costruzioni (+1,6%), più lieve nei servizi (+0,4%) e se si considera solo l’occupazione alle dipendenze la crescita si estende anche all’agricoltura (+0,3%). Inoltre, il segno positivo nel complesso riguarda solo il lavoro part-time (+1,3%), mentre quella a tempo pieno ripiega dello 0,1%. Ma il dato più preoccupante è che la crescita dell’occupazione si concentra prevalentemente nel Nord-Centro del paese (è lì infatti che è preminente il peso della manodopera straniera) mentre, sempre negli ultimi due trimestri, il Mezzogiorno mostra un segno negativo (-1% nel terzo e -1,9% nel quarto trimestre). Insomma, piove sul bagnato.

 

In sintesi, il tasso di occupazione riferito alla popolazione attiva (tra 15 e 64 anni) flette per il secondo trimestre consecutivo attestandosi al 58,5%, che in poche parole significa un ritorno ai livelli poco entusiasmanti di fine 2006. Già, perché il nostro paese raschia da anni il fondo del barile nella classifica europea su questo indicatore e ora più che mai sembra un miraggio quel 70%, che è il parametro fissato dagli accordi di Lisbona, che tutti i paesi dovrebbero raggiungere entro il 2010 e che rappresenta uno degli indicatori più significativi sul livello di equilibrio e benessere di una società, punto di partenza verso i traguardi sempre più ambiziosi nell’integrazione tra gli Stati dell’Unione.

 

La questione si fa ancora più drammatica se si pensa che l’Italia si sta affacciando alla crisi con un mercato del lavoro che mostra ancora parecchi problemi da risolvere. La crescita di un’occupazione di piccolo cabotaggio, in settori a scarsa spinta propulsiva, mette in luce ancora di più le fosche prospettive che ci aspettano nel prossimo futuro. Inoltre, tutto ciò evidenzia che l’unica risposta ad una fiacca domanda di lavoro arriva dalla presenza del fenomeno migratorio sul nostro territorio; gli stranieri risultano al momento gli unici ad essere flessibili, più adatti e anche più disposti a rispondere al basso profilo delle aspettative che contraddistinguono l’attuale panorama lavorativo.

 

* L’autore è ricercatore dell’Istat - L'articolo è presentato a titolo personale e non impegna la responsabilità dell'Istituto.
Domenica, 22. Marzo 2009
 

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